CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 dicembre 2019, n. 34725

Tributi – Accertamento – Rinvenimento di buoni consegna extracontabili presso la sede della società – Presunzione di contabilità parallela

Rilevato che

1. La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello principale proposto dalla Agenzia delle entrate nonché l’appello incidentale proposto dalla Società F.E.I.E. s.r.l, già F.E. s.a.s., e dai soci G.E. e C.E., proposto avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Caserta, che aveva accolto solo parzialmente il ricorso dei contribuenti contro l’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle entrate nei confronti della società e dei soci (per questi ultimi ai sensi dell’art. 5 d.p.r. 917/1986), per l’anno 2003, a seguito, tra l’altro, del rinvenimento di buoni consegna extracontabili presso la sede della società, svolgente attività di vendita di capi di abbigliamento usati. Il giudice di primo grado aveva rideterminato il reddito di impresa, in origine accertato in € 1.143.106 per Irpef, € 990.820 per Irap ed € 990.820 per Iva, in € 277.785,00. Il giudice di appello evidenziava, per quel che ancora qui rileva, che si trattava di “appunti interni”, “la cui attribuzione all’imprenditore non è stata dimostrata”. Peraltro, nei confronti di “buona parte” dei nominativi inseriti nei buoni di consegna era stata accertata l’emissione di regolari fatture.

Inoltre, l’esame delle schede contabili era avvenuto “a scandaglio”, senza rinvenire alcuna errata registrazione, con correttezza dei quantitativi di merce acquistate e vendute.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, depositando memoria scritta.

3. Resistono con controricorso i soci e la società, depositando memoria scritta.

Considerato che

1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “Omessa e/o insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio: con riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c.”, in quanto le argomentazioni del giudice di appello sono superate dagli elementi istruttori decisivi che non sono stati presi in considerazione. In particolare, la Commissione regionale non ha tenuto conto della circostanza che i “buoni di consegna extracontabile” già di per sé dimostravano l’esistenza di una vera e propria contabilità parallela. Inoltre, solo verso “alcuni clienti” era stata emessa regolare fattura, mentre gli “incassi” sono sempre risultati “inferiori” a quelli riscontrati sui buoni “extracontabili”. I clienti sentiti dalla Guardia di finanza hanno tutti confermato che si erano recati presso la sede della società per acquistare la merce riportata sui buoni extracontabili pagandola “61,00 (uno) per ogni Kg di indumenti usati”. Per “alcuni clienti”, non indicati nelle scritture contabili, era stata rinvenuta documentazione bancaria extra contabile, costituita da fotocopie di assegni e da distinte di versamento, in assenza della relativa fattura. I soci hanno effettuato versamento di notevole ammontare in favore della società. L’importo desunto dai buoni di consegna era di € 727.532,81, mentre dagli assegni emergevano ulteriori somme pari ad € 263.288,00, per un totale di € 990.820,00. Il giudice di appello non ha neppure considerato le risposte ai questionari inviate dai clienti, le dichiarazioni contraddittorie del legale rappresentante e l’ingiustificato finanziamento infruttifero dei soci (pari ad € 266.000,00. Il rinvenimento della contabilità parallela rendeva inattendibile quella ufficiale, mentre i contribuenti non avevano fornito la prova contraria.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della “violazione e falsa applicazione degli art. 39 comma 1 d.p.r. 600/1973, 54 d.p.r. 633/1972, 2700, 2702 e 2698 c.c.; con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.” in quanto il giudice di appello ha disconosciuto valore probatorio alla documentazione extracontabile rinvenuta ed acquisita presso la sede della società.

2.1. L’eccezione di giudicato “esterno” sollevata dai contribuenti solo in sede di controricorso è infondata.

2.2. Invero, i contribuenti hanno evidenziato che la Commissione tributaria regionale della Campania, in relazione all’anno 2004, in parziale accoglimento dell’appello proposto dagli stessi, ha determinato, in diminuzione, il reddito di impresa in € 277.785,00, dalla somma accertata inizialmente di € 1.032.317,00.

Tale sentenza, attenendo ad una annualità diversa (in questa sede il 2003 ed in quel caso il 2004), non può estendere i suoi effetti sul procedimento in esame. Infatti, per questa Corte, a sezioni unite, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d’altronde coerente non solo con l’oggetto del giudizio tributario, che attraverso l’impugnazione dell’atto mira all’accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell’annullamento dell’atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l’efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale “norma agendi” cui devono conformarsi tanto l’Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell’individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d’imposta (Cass., sez.un., 16 giugno 2006, n. 13916).

Nella fattispecie in esame, anche se i fatti contestati originano dal medesimo processo verbale di constatazione, tuttavia, trattasi della valutazione delle istanze istruttorie, che resta autonoma per ogni anno di imposta (Cass., 28 maggio 2008, n. 13987; Cass., 30 dicembre 2009, n. 28042).

2.3.Peraltro, il giudicato Iva non ha capacità espansiva per altri periodi di imposta. Invero, si è ritenuto che le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 cod. civ., e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano – secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08 – la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza comunitaria come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta (Cass., 5 ottobre 2012, n. 16996; Cass., 4 maggio 2016, n. 8855).

3.1. I motivi primo e secondo, che vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.

3.2. Invero, per questa Corte la contabilità in nero, costituita da appunti personali e da informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dall’art. 39 d.p.r. 60071973, perché nella nozione di scritture contabili, disciplinate dagli artt. 2709 e ss. C.c., devono ricomprendersi tutti i documenti che registrino in termini quantitativo o monetari, i singoli atti di impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, spettando poi al contribuente l’onere di fornire adeguata prova contraria (Cass.Civ., 23 maggio 2018, n. 12680; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27622).

Inoltre, si è affermato che, in tema di accertamento induttivo dei redditi di impresa, di cui all’art. 39 comma 1 lettera d d.p.r. 600/1973, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa (Cass.Civ., 22 dicembre 2017, n. 30803; Cass.Civ., 16 novembre 2011, n. 24051, con riferimento a brogliacci reperiti presso la sede della società; Cass.Civ., 27 febbraio 2015, n. 4080, in relazione ad un quadernone contenente l’indicazione degli effettivi quantitativi di materiale prodotto; Cass.Civ., 3 ottobre 2014, n. 20902, per la necessità della comparazione tra i dati acquisiti e quelli emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente).

Pertanto, nella specie, l’Agenzia, con il rinvenimento dei buoni di consegna extracontabile, ha fornito un elemento indiziario preciso e grave della esistenza della contabilità in nero della società.

3.3. Il giudice di appello, quindi, da un lato ha omesso di considerare tutta una serie di elementi indiziari che confermavano la legittimità dell’avviso di accertamento, in misura integrale, emesso dall’Agenzia delle entrate e, dall’altro, si è discostato dai principi della giurisprudenza di legittimità sopra indicati.

Invero, la Commissione regionale ha affermato che la “rinvenuta documentazione” non può “assurgere ad elemento indiziario fornito dei requisiti della gravità, precisione e concordanza”, mentre, in base alla giurisprudenza di legittimità sopra riportata, la presenza di contabilità in nero, rinvenuta presso la sede dell’azienda, può costituire anche da solo un indizio grave e preciso.

Inoltre, la Commissione regionale ha affermato che trattavasi di “alcuni appunti interni, la cui attribuzione all’imprenditore non è stata dimostrata”. In contrasto è sufficiente leggere il controricorso dei contribuenti, ove si riportano le dichiarazioni del legale rappresentante della società, da cui emerge che “i blocchetti di consegna che mi sottoponete in visione e rinvenuti all’atto dell’intervento del 13-4-2005 da parte della Compagnia di Caserta si riferiscono a degli appunti interni da parte di mio padre E.F., deceduto in data 15-6-2007”.

Inoltre, per il giudice di appello nei confronti di “buona parte” dei nominativi inseriti nelle annotazioni era stata accertata la emissione di regolare fattura. Dallo stralcio di processo verbale riportato nel ricorso per cassazione, in ragione del principio di autosufficienza, emerge però che solo “verso alcuni clienti” citati nei buoni di consegna, era stata emessa regolare fattura di vendita da parte della società. Peraltro, gli incassi relativi alle fatture erano sempre “inferiori” a quelli riscontrati sui buoni extracontabili.

Non si è, poi, tenuto del fatto che “alcuni clienti” hanno dichiarato di riconoscere il proprio nominativo sui buoni di consegna extracontabile, di avere acquistato la merce in sede e di aver pagato “mediamente 61,00 (uno) per ogni Kg di indumenti usati”. Inoltre, per “alcuni clienti” non indicati nelle scritture contabili era stata rinvenuta documentazione bancaria extracontabile, costituita da fotocopie di assegni e distinte di versamento, sicché la merce era stata pagata senza ricezione della relativa fattura (per € 263.288,00).

Né si è fatto menzione della circostanza che i soci hanno effettuato versamenti in favore della società per somme ingenti (€ 266.000,00), che hanno dichiarato di avere in casa e di versare nella società al momento del bisogno.

Neppure si è fatto riferimento in motivazione alle risposte dei clienti ai questionari loro inviati.

4. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione,cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.