CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 agosto 2021, n. 23591
Fallimento – Cancellazione della società – Trasferimento all’estero – Accertamento del credito per T.F.R.
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Napoli ha accolto l’appello dell’INPS ed ha respinto la domanda proposta da F.D., A.G. e A.D.C., eredi di A.P., diretta ad ottenere la condanna dell’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, al pagamento del T.F.R. maturato dal predetto per il lavoro svolto alle dipendenze della società D.N. sas;
2. la Corte territoriale ha dato atto che il lavoratore aveva ottenuto l’accertamento del credito per T.F.R. con decreto ingiuntivo n. 614/2009 emesso dal Tribunale di S. Maria C.V., dichiarato esecutivo per mancata opposizione in data 16.7.09;
che sulla base di un verbale di pignoramento negativo, il lavoratore aveva proposto ricorso per fallimento; che il ricorso era stato dichiarato improcedibile in data 24.2.12 con la seguente motivazione: “è risultato che l’attività risulta cessata in data 16.4.08 per trasferimento sede all’estero e, per come riconosciuto dalla stessa parte ricorrente, la stessa non risulta essere più continuata in Italia”;
3. ha respinto la domanda rilevando come non risultasse esperito un serio tentativo di esecuzione forzata, non solo nei confronti della società D.N. sas, che aveva trasferito la sede in Lettonia, ma neanche nei confronti del socio accomandatario V.L., illimitatamente responsabile;
4. avverso tale sentenza gli eredi di A.P. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da memoria; l’INPS ha resistito con controricorso;
5. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ..
Considerato che
6. con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2, l. n. 297 dei 1982, in relazione all’art. 1176 cod. civ.;
7. si censura la sentenza d’appello per avere negato l’accesso al fondo di garanzia senza considerare che il lavoratore aveva agito con l’ordinaria diligenza ed aveva proposto ricorso per la dichiarazione di fallimento nei confronti della società cancellata e trasferita all’estero, intrapreso la procedura esecutiva, del tutto infruttuosa e aleatoria, presso la sede legale italiana della società, inoltre allegato la visura catastale da cui risultava che la stessa non era titolare di beni mobili sul territorio nazionale;
8. la Corte di merito, addebitando al lavoratore la mancanza della ordinaria diligenza per non aver esperito azioni esecutive nei confronti del socio accomandatario V., non aveva considerato che, all’atto del trasferimento in Lettonia della sede legale della società, era mutato anche il socio accomandatario; il V.era stato sostituito da R.O., cittadino lettone, residente presso la ex sede legale italiana della società, luogo ove l’ufficiale giudiziario si è più volte recato senza mai rinvenire qualcuno;
9. col secondo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per errata percezione della documentazione in atti nonché omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti;
10. si denuncia ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., anche come difetto di motivazione, l’omesso esame del fatto che, al momento dell’accesso dell’ufficiale giudiziario per procedere al pignoramento presso la sede della D.N. sas (in Aversa, via D.), il socio accomandatario non era più V. bensì R.O., residente presso la predetta sede legale; con la conseguenza che il verbale di pignoramento negativo era stato redatto in relazione alla sede della società che era anche residenza del socio accomandatario dell’epoca;
11. i motivi di ricorso possono essere trattati unitariamente per ragioni di connessione logica, e risultano inammissibili;
12. anzitutto, perché essi non censurano la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto non assolto l’onere di preventiva esecuzione forzata nei confronti del socio accomandatario V.;
13. la parte ricorrente si è limitata ad argomentare, a favore della propria ordinaria diligenza, il fatto di avere agito in via esecutiva nei confronti della società presso la sede legale che, all’epoca del tentato pignoramento, non solo era chiusa ma era anche coincidente con la residenza del nuovo socio accomandatario;
14. tale adempimento, ove anche dimostrato (e al riguardo non risultano trascritti né depositati gli atti e documenti citati nel ricorso), non vale a smentire o contraddire l’affermazione dei giudici di appello sulla mancata esecuzione nei confronti del Vaiano quale socio accomandatario, quindi illimitatamente responsabile, atteso che la cessazione della qualifica di socio accomandatario non comporta il venir meno della responsabilità per i debiti contratti nel periodo di partecipazione alla società;
15. il motivo è comunque infondato, alla luce dei principi affermati da questa Corte (v. Cass. 11379 del 2008; n. 17593 del 2016) secondo cui il lavoratore, creditore del trattamento di fine rapporto nei confronti di datore di lavoro non soggetto a fallimento, per poter chiedere il pagamento del trattamento al Fondo di garanzia istituito presso l’I.N.P.S., è tenuto a verificare la mancanza o l’insufficienza della garanzia del patrimonio del datore di lavoro attraverso un serio tentativo di esecuzione forzata e, qualora, eseguita infruttuosamente una forma di esecuzione, si prospetti la possibilità di ulteriori forme di esecuzione, è tenuto ad esperire quelle che, secondo l’ordinaria diligenza, si prospettino fruttuose, mentre non è tenuto ad esperire quelle che appaiano infruttuose o aleatorie, allorquando i loro costi certi si palesino superiori ai benefici futuri, valutati secondo un criterio di probabilità;
16. a tali principi si è attenuta la Corte d’appello laddove ha rilevato come, mancando un qualsiasi tentativo di esecuzione forzata nei confronti del socio accomandatario V., non potesse dirsi soddisfatto l’onere, gravante sul lavoratore, di dimostrare l’insufficienza delle garanzie patrimoniali risultante da un serio e adeguato esperimento dell’esecuzione forzata;
17. per le considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile;
18. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
19. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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