CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 gennaio 2019, n. 2894
Tributi – Imposta di registro – Accertamento – Plusvalenza – Maggior reddito – Contenzioso tributario
Rilevato che
V.A. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 151/32/11, depositata il 17.11.2011 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia; la controversia traeva origine dalla notifica dell’avviso di accertamento n. R2D01TD00192/2009, relativo all’anno d’imposta 2004, con il quale si contestava in capo alla contribuente un maggior reddito, a titolo di plusvalenza, di € 248.548,50; la plusvalenza era generata dalla cessione, con atto del 5 aprile 2004, di un terreno a vocazione edificatoria, nella titolarità della contribuente per la quota di 1/2. Alla rideterminazione del reddito per plusvalenza si procedeva a seguito del maggior valore del cespite concordato tra l’acquirente e l’Agenzia ai fini dell’imposta di registro.
la contribuente-venditrice, che aveva fruito della facoltà prevista dall’art. 7 della l. n. 448/2001, versando a titolo di imposta sostitutiva il 4% del valore del terreno determinato con perizia giurata di stima, impugnava l’atto impositivo;
la Commissione Tributaria Provinciale di Milano con sentenza n. 287/02/2010 annullava l’avviso di accertamento, riconoscendo le ragioni della V.; l’appello della Agenzia era stato invece accolto con la pronuncia ora oggetto di ricorso. La sentenza accoglieva le ragioni dell’Ufficio, ritenendo inapplicabile il valore dichiarato ex art. 7 cit., perché la cessione era avvenuta ad un prezzo inferiore a quello individuato nella perizia di stima, nonché per la legittima determinazione del valore effettivo del terreno, desunto da quello accertato in sede di imposta di registro.
La contribuente censura la sentenza con tre motivi:
con il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 7, co. 6, della l. n. 448 del 2001, e dell’art. 4 del d.l. n. 209/2002, conv. in l. n. 265 del 2002, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per aver erroneamente disconosciuto il valore iniziale del bene ceduto, come rideterminato dalla contribuente mediante perizia giurata redatta ai sensi della normativa suindicata, ai fini della plusvalenza tassabile ex art. 68 TUIR;
con il secondo per violazione e falsa applicazione dell’art. 68 co. 1 TUIR, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per aver erroneamente ritenuto determinabile la plusvalenza sulla sola base del valore definito con l’acquirente ai fini dell’imposta di registro;
con il terzo per omessa o insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per non aver spiegato la ragione secondo cui gli elementi addotti dalla contribuente non fossero sufficienti a dimostrare il valore dichiarato in atti.
Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza.
Si è costituita l’Amministrazione, contestando i motivi di ricorso, del quale ha invocato il rigetto.
Considerato che
Il primo motivo del ricorso è fondato.
La vicenda si inserisce nel contesto della fruizione da parte della contribuente della disciplina agevolativa introdotta con l’art. 7 della l. n. 448 del 2001. La norma, per i titolari di terreni lottizzati o suscettibili di utilizzazione edificatoria alla data dell’1.1.2002 (poi prorogata sino all’anno seguente ex d.l. 209 del 2002), aveva previsto la possibilità di calcolare la plusvalenza derivante dalla successiva alienazione, assumendo come valore iniziale non più il costo di acquisto del terreno medesimo, secondo i criteri individuati nell’art. 68 del TUIR (già art. 81), ma quello determinato sulla base di una relazione giurata di stima alla data dell’1.1.2002, previo pagamento di una imposta sostitutiva del 4% sul nuovo valore del terreno risultante dalla perizia. La stima emergente dalla perizia giurata ed il pagamento della imposta sostitutiva identificava il nuovo valore minimo legale, così che l’alienante, al momento della vendita del terreno, si sarebbe affrancato dalla tassazione della plusvalenza generata ai sensi dell’art. 67, co. 1, lett a) e b) del d.P.R. n. 917/1986 (salvo ovviamente la pattuizione di un prezzo di cessione superiore a quello stimato, nella quale ipotesi la plusvalenza sarebbe stata riconosciuta per la differenza tra il valore di stima della perizia e il maggior valore di cessione).
Tuttavia, secondo l’interpretazione della Agenzia delle Entrate, come anche desumibile dalle difese del controricorso, il comma 6 dell’art. 7 cit. implica che, se la cessione avvenga ad un corrispettivo inferiore a quello dichiarato nella perizia giurata, l’Ufficio non deve più tener conto del valore della perizia di stima e della imposta sostitutiva versata secondo il valore minimo legale così determinato, dovendo invece procedere alla determinazione della plusvalenza, in forza dei criteri desunti dagli artt. 67 e 68 del TUIR, sulla differenza tra il prezzo di cessione e il vecchio valore di acquisto (per atto tra vivi o mortis causa), o, per i terreni lottizzati, il valore del terreno nel quinto anno anteriore all’inizio del procedimento di lottizzazione. Tale interpretazione, secondo l’Agenzia, si fonda sulla considerazione che il valore in perizia non è immodificabile, potendo verificarsi eventi che incidano sul bene deprezzandolo; in questo caso tuttavia, trattandosi di valore non più utilizzato dallo stesso dichiarante-cedente, anche per l’Ufficio non costituisce più valore di riferimento, riemergendo pertanto i criteri originari di calcolo della plusvalenza.
L’interpretazione, cui aderisce evidentemente il giudice regionale, che accenna alle ragioni della difesa della contribuente, ma poi le ignora ritenendo che invece l’Ufficio poteva legittimamente ricorrere ai valori del cespite emergenti in sede di accertamento sull’imposta di registro, non trova fondamento nella disciplina positiva.
La giurisprudenza di legittimità, sebbene con orientamento non sempre conforme (cfr. Cass., ord. 19465/2016), ha più di recente ripetutamente ribadito che in tema di plusvalenze realizzate mediante la cessione di terreni edificabili e con destinazione agricola, la scelta del contribuente di calcolare il valore del bene ex art. 7 della l. n. 448 del 2001, in deroga al sistema ordinario, facendo redigere apposita perizia giurata ed effettuando il relativo versamento, non determina alcun vincolo nella successiva vendita e non limita pertanto la facoltà di alienare il bene ad un prezzo inferiore, sicché, in questa ipotesi, deve escludersi la decadenza del contribuente dal beneficio e la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di calcolare la plusvalenza secondo gli ordinari criteri previsti dall’art. 68 TUIR, ossia a partire dal vecchio valore di acquisto (Cass., ord. n. 7037/2018; 23508/2018; 24310/2016; 19242/2016; 25721/2014).
L’art. 7 prevede infatti un procedimento scandito da tre momenti: 1) la determinazione del valore del terreno mediante una perizia di stima nel termine di legge (1.1.2002); 2) il versamento di una imposta sostitutiva del 4% sul valore stimato in perizia; 3) l’esecuzione del versamento nei termini indicati dalla normativa. Costituendo peraltro tale valore quello normale minimo di riferimento ai fini delle imposte sui redditi, di registro, ipotecarie e catastali (art. 7 co. 6), l’eventuale cessione ad un prezzo inferiore non da diritto al recupero di minusvalenze. D’altronde la cessione al valore determinato nella perizia, oppure ad un valore diverso dichiarato nell’atto di vendita, non preclude in generale alla Amministrazione di procedere ad accertamento. In proposito la Corte ha affermato il principio, condiviso da questo Collegio, secondo cui in tema di imposte sui redditi e con riferimento alla determinazione delle plusvalenze di cui all’art. 81, co. 1, lett. a) e b), del d.P.R. n. 917 del 1986, per i terreni edificabili e con destinazione agricola, ove il contribuente si avvalga della facoltà di assumere come valore iniziale, in luogo del costo o del valore di acquisto, il valore alla data del 10 gennaio 2002, individuato sulla base di una perizia giurata di stima, a norma dell’art. 7 della l. n. 448 del 2001, l’Ufficio conserva il potere di accertare se lo stesso corrisponda o meno alla realtà, in quanto il richiamo dell’applicabilità a detta perizia dell’art. 64 c.p.c. non attribuisce a questa la forza di atto pubblico, ma ha l’unico scopo di assoggettare il professionista incaricato dal privato alla responsabilità penale del consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice, né, del resto, la consulenza tecnica fa pubblica fede dei giudizi e delle valutazioni in essa contenuti (Cass. Sent. n. 9109/2012).
L’Amministrazione dunque non è affatto privata del potere di accertare un valore diverso del prezzo di vendita, ancorché quest’ultimo corrisponda a quanto dichiarato nella perizia di stima prevista dall’art. 7 cit. Se l’esito dell’accertamento evidenzierà un valore maggiore rispetto a quanto dichiarato nell’atto di cessione, sarà possibile contestare al contribuente la plusvalenza, alla cui determinazione però deve pervenirsi con le modalità di calcolo previste dall’art. 68 del TUIR (già art. 81), ma tenendo conto della differenza tra il valore minimo normale dichiarato in occasione dell’adesione alla disciplina speciale agevolativa prevista dall’art. 7 della l. n. 448 del 2001 -valore sino al quale il contribuente ha già provveduto ad assolvere l’eventuale obbligo fiscale con il versamento dell’imposta sostitutiva- ed il nuovo valore accertato dall’Ufficio.
Con ciò si prospettano tre ipotesi. La prima è che il valore della cessione sia inferiore a quello determinato nella perizia di stima prevista dal citato art. 7, senza che l’Amministrazione ne accerti uno superiore, il che non attribuisce al cedente-contribuente il diritto di recupero di minusvalenze; la seconda è che il valore della vendita sia accertato dalla Amministrazione entro quello dichiarato ex art. 7 cit., il che esclude comunque l’insorgenza di plusvalenza, avendo il contribuente già adempiuto ai suoi obblighi fiscali in occasione del versamento dell’imposta sostitutiva;la terza è che, qualunque sia il prezzo di cessione, l’Amministrazione accerti un valore superiore rispetto a quanto dichiarato ex art. 7, il che comporta, quando dimostrato, una plusvalenza, al cui calcolo l’Ufficio dovrà provvedere secondo i criteri previsti dall’art. 68 del TUIR, partendo tuttavia dal valore dichiarato ai sensi dell’art. 7 cit e non dal vecchio valore di acquisto.
A tali conclusioni si perviene a mezzo della piana lettura dell’art. 7 co. 1, cit., secondo cui «Agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all’articolo 81, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, per i terreni edificabili e con destinazione agricola posseduti alla data del 1 gennaio 2002, può essere assunto, in luogo del costo o valore di acquisto, il valore a tale data determinato sulla base di una perizia giurata di stima >>.
Ciò trova giustificazione nella ratio della disciplina agevolativa speciale introdotta dal legislatore del 2001, la quale ha concesso al contribuente, in vista di una futura ma non sicura cessione del proprio terreno, di ottenere un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta sulla plusvalenza, pagando in via di anticipazione, ma ad una aliquota inferiore (del 4%), l’imposta sostitutiva, ed ha dato all’Amministrazione l’opportunità, per evidenti ragioni di cassa, di ricevere un immediato introito fiscale. Il vantaggio per il contribuente era la prospettiva di un risparmio d’imposta, in cambio del rischio di non alienare mai quel suolo o di alienarlo ad un prezzo inferiore, tale da perdere in tutto o in parte l’imposta sostitutiva anticipata; il vantaggio per l’Amministrazione finanziaria era incassare con certezza ed immediatamente una imposta, in cambio in una aliquota inferiore.
D’altronde la diversa interpretazione pretesa dall’Ufficio avrebbe quale unica conseguenza l’induzione del contribuente ad una distorta formalistica dichiarazione di un valore di cessione comunque non inferiore a quanto denunciato ex art. 7 cit., al solo fine di evitare accertamenti potenzialmente “punitivi”, senza alcun vantaggio per l’Amministrazione finanziaria, che ha già riscosso l’imposta sostitutiva e null’altro potrebbe pretendere entro quel valore.
Resta in ogni caso fermo, perché previsto dalla norma, che il valore dichiarato ai sensi dell’art. 7 costituisce il valore normale minimo di riferimento ai fini, oltre che delle imposte sui redditi, anche di quelle di registro, ipotecarie e catastali.
Il motivo va dunque accolto, potendo pronunciarsi in seguente principio di diritto <<In tema di plusvalenze realizzate mediante la cessione di terreni edificabili e con destinazione agricola, la pregressa scelta del contribuente di aderire al regime speciale agevolativo previsto dall’art. 7 della l. n. 448 del 2001 e succ. modif., in deroga al sistema ordinario, facendo redigere apposita perizia giurata ed effettuando il relativo versamento dell’imposta sostitutiva, non preclude alla Amministrazione finanziaria di procedere all’accertamento del valore della cessione, né impedisce al cedente di alienare il bene ad un prezzo inferiore a quanto dichiarato ex art. 7 cit., sicché, nel verificarsi di detta ipotesi, deve escludersi la decadenza del contribuente dal beneficio e la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di calcolare la plusvalenza secondo gli ordinari criteri previsti dall’art. 68 TUIR, ossia a partire dal vecchio valore di acquisto.».
È in ogni caso fondato anche il secondo motivo, con il quale la contribuente ha lamentato che il giudice regionale, anche in questo caso aderendo alla prospettazione sostenuta dall’Ufficio, abbia ritenuto prova sufficiente per l’accertamento di una plusvalenza in tema di imposte sui redditi il richiamo al valore del cespite accertato ai fini dell’imposta di registro. Le affermazioni della Commissione regionale ripercorrono l’orientamento interpretativo della disciplina anteriore alla introduzione dell’art. 5, co. 3, del d.lgs. n. 147 del 2015, il quale ha espressamente disposto che <<Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347».
A seguito dell’intervento legislativo, la cui norma costituisce interpretazione autentica della previgente disciplina con efficacia dunque retroattiva, questa Corte ha pertanto mutato orientamento ed ha affermato che ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi l’art. 5 cit. esclude che l’Amministrazione possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (da ultimo, ord. 9513 del 2018; inoltre ord. n. 19227 del 2017; sent. n. 12265 del 2017; sent. n. 6135 del 2016; ord. n. 11543 del 2016). Anche questo motivo di ricorso va dunque accolto.
L’accoglimento dei primi due motivi assorbe il terzo. Considerato che
Il ricorso va accolto e la sentenza per l’effetto va cassata. Non essendovi necessità di ulteriori accertamenti di fatto, poiché è incontestabile che il valore della cessione era inferiore a quanto dichiarato nella perizia giurata, con pregresso pieno assolvimento della imposta sostitutiva ex art. 7 cit., e poiché il valore di cessione accertato ai fini della plusvalenza era sorretto dal solo riferimento al valore determinato ai fini dell’imposta di registro, la causa può essere decisa nel merito, con accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente. Le incertezze interpretative sulla disciplina sono state definitivamente superate successivamente alla introduzione del presente giudizio, sussistendo pertanto i presupposti per la compensazione delle spese di causa per i due gradi di merito e per quello di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente. Compensa le spese processuali dei due gradi di merito e di quello di legittimità.
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