CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 luglio 2018, n. 20298
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Notificazione – Detrazione d’imposta – Fatture emesse per operazioni inesistenti
Rilevato in fatto
L. s.p.a. impugnava l’avviso di accertamento notificatole per l’anno d’imposta 2002, a seguito dell’indebita detrazione dell’Iva portata dalla fattura emessa da N. s.r.l. per un’operazione (di vendita di un centro punzonatura R., concesso poi da L. in locazione finanziaria a V. s.r.I.) ritenuta soggettivamente inesistente.
L’impugnazione veniva rigettata dalla Commissione tributaria provinciale di Milano e l’appello proposto dalla contribuente contro la decisione veniva a sua volta rigettato dalla CTR della Lombardia, la quale rilevava che l’Ufficio aveva fornito attendibili e dettagliati riscontri che, seppure indiziari sull’entità e sulla effettiva sussistenza delle operazioni contestate, consentivano una ricostruzione attendibile del rapporto inter partes, mentre era onere della ricorrente provare la reale sussistenza ed entità delle operazioni fatturate.
Contro la sentenza, depositata in data 13.4.2011, L. s.p.a. ricorre per cassazione con un motivo; resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Ritenuto in diritto
1. Con l’unico motivo, che denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art.19 del dPR n. 633/72 ed insufficiente e/o omessa motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, L. sostiene che la CTR ha ritenuto soggettivamente inesistente l’operazione fatturata sulla scorta di elementi probatori insufficienti; lamenta inoltre che i giudice abbia omesso di motivare in ordine alla dedotta, inconsapevole partecipazione di essa ricorrente all’ipotizzato disegno fraudolento.
La censura è fondata.
1 a. La questione controversa è stata oggetto di numerose pronunce di questa Corte (da ultimo Cass. n. 9851/2018) che, in linea con quanto già affermato da Cass. n. 24426/2013 ed alla luce di ripetuti interventi della Corte di Giustizia, hanno stabilito come è ripartito l’onere della prova tra fisco e contribuente in tema di indebita detrazione di Iva portata da fatture emesse per operazioni ritenute inesistenti.
Appare opportuno, peraltro, riepilogare e meglio precisare l’assetto della materia (in ispecie, con riguardo alle ipotesi di inesistenza soggettiva).
Punto di partenza è l’emissione di una fattura che sia conforme ai requisiti di forma e contenuto richiesti dalla vigente disciplina (art. 21 del d.P.R. n. 633/ 1972 e, con riguardo al diritto unionale, art. 22, par. 3, della Sesta direttiva): la fattura fa presumere la verità di quanto in essa rappresentato, sicché costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’Iva. L’art. 168, lett. a, della direttiva 2006/112 puntualizza le condizioni sostanziali per beneficiare di tale diritto: occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi della stessa direttiva e, dall’altro, che i beni o servizi che fondano il diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e, a monte, forniti da un altro soggetto passivo (v. tra le tante Corte di Giustizia 6 settembre 2012, Tóth, C- 324/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14; Corte di Giustizia 19 ottobre 2017, SC PaperConsult, C-101/16).
1 b. La falsità della fattura è, peraltro, potenzialmente idonea ad escludere la riconoscibilità del diritto alla detrazione. Due le situazioni in presenza delle quali l’Iva non è, in linea di principio, detraibile : a) le operazioni commerciali non sono (in tutto o in parte) mai state poste in essere, ossia sono oggettivamente inesistenti, e la fattura è mera espressione cartolare di eventi non avvenuti; b) le operazioni sono state rese al destinatario, che le ha effettivamente ricevute, ma da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione rappresentata nella fattura (operazioni soggettivamente inesistenti). In tale seconda ipotesi, pur essendo i beni o il servizio entrati nell’effettiva disponibilità dell’utilizzatore, il diritto alla detrazione è precluso perché la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo all’operazione effettivamente realizzata da altri soggetti (Cass. nn. 20060/2015, 7672/2012).
1.c In un simile contesto, ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto alla detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce: incombe, dunque sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione. Una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente. In sostanza, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione deve provare sia l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni, sia che il cessionario sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che la cessione si inseriva in un’evasione Iva. La circostanza che l’operazione si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell’Iva non comporta, infatti, ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione, attesa l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se «non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’Iva» (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagében e David, C-80/11 e C- 142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).
Nella specie, la motivazione sulla quale poggia la decisione impugnata risulta gravemente carente con riguardo ad entrambi i profili rispetto ai quali andava valutato l’assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Amministrazione. La CTR ha infatti non solo mancato di precisare quali fossero gli elementi indiziari addotti dall’Ufficio che deponevano per la natura di interposto del soggetto emittente la fattura, ma ha totalmente omesso di accertare se la contribuente, anche in relazione alla qualità professionale ricoperta e alle concrete modalità di scelta e realizzazione dell’operazione commerciale, “sapesse o avrebbe dovuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza” che la fattura si inseriva in un’operazione di evasione dell’imposta.
Il ricorso deve essere pertanto accolto e la sentenza deve essere cassata, con conseguente rinvio della causa, per un nuovo esame, alla CTR della Lombardia in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
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