CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 luglio 2019, n. 20726
Lavoro – CCNL Autoferrotranvieri – Pagamento delle differenze retributive – Cessione di azienda c.d. in deroga
Rilevato che
1. Con sentenza n. 693 depositata l’11.2.2016 la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della pronuncia del giudice di primo grado con esclusivo riguardo al capo concernente le spese di lite, ha accolto le domande di G. Z. e di F. T. di inquadramento nel V livello (“Agente di Movimento-Operatore di esercizio) del CCNL Autoferrotranvieri rispettivamente da marzo 1995 e da dicembre 1994, con condanna del datore di lavoro, S. s.p.a., società concessionaria del servizio di gestione del trasporto pubblico extraurbano nella provincia di Rovigo subentrata alla Cooperativa T. R. a r.l., al pagamento delle differenze retributive “maturate dalla data di maturazione dei requisiti fino alla data della domanda”.
2. La Corte di appello rilevava l’insussistenza di una cessione di azienda c.d. in deroga (ossia ai sensi dell’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990), non essendone stati provati i presupposti, e, dunque, la ricorrenza di un trasferimento regolato dall’art. 2112 cod.civ. a fronte della cessione di elementi materiali significativi organizzati al fine dello svolgimento del trasporto extraurbano, unitamente alla prosecuzione dei rapporti di lavoro.
3. Per la cassazione della sentenza impugnata la società S. s.p.a. in liquidazione propone ricorso fondato su due motivi (ulteriormente sub-articolati). Resistono i due lavoratori con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod.proc.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto che la società dovesse sollevare l’eccezione di prescrizione nel corso del giudizio, a fronte della domanda di condanna generica, e non, piuttosto, nel corso del successivo giudizio relativo al quantum debeatur.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione falsa applicazione dell’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990 e dell’art. 345 cod.proc.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente valutato la ricostruzione dei fatti, omettendo di considerare la situazione di crisi della società P. Bus, impossibilitata ad assicurare il servizio di trasporto pubblico per mancanza di mezzi finanziari, con conseguente esercizio temporaneo del trasporto da parte della Cooperativa T. R. s.r.l. nelle more dell’indizione della gara pubblica per l’aggiudicazione del servizio e della successiva stipulazione, con le organizzazioni sindacali, di un accordo per regolare le condizioni di assunzione ex novo e, dunque, con ricorrenza di tutti i presupposti per una cessione in deroga” a quanto dettato dall’art. 2112 cod.civ.; la Corte distrettuale, dichiarando inammissibile, in quanto nuova, la questione relativa alla mancanza del vincolo della subordinazione tra i lavoratori soci della Cooperativa T. R. ha trascurato che si trattava di questione di diritto prospettata a corredo dell’allegazione, tempestivamente svolta, circa la natura di soci dei lavoratori, qualità desumibile dalla documentazione prodotta e non contestata dagli originari ricorrenti, con eventuale onere della prova a carico dei lavoratori stessi circa la sussistenza della subordinazione, trattandosi di rapporti associativi precedenti la legge n. 142 del 2001.
3. Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento, avendo, la Corte distrettuale, rilevato che la società, in sede di appello non ha riproposto né sollevato eccezione di prescrizione, eccezione che – come affermato da questa Corte (cfr. Cass. Sez. U. n. 581 del 2008) – era onere del debitore sollevare nei termini di legge, anche a fronte di una domanda di condanna in forma generica, integrando, tale profilo, una questione preliminare di merito, in quanto l’eventuale sussistenza della prescrizione fa venire meno ogni interesse della parte all’accertamento dell’esistenza del diritto azionato.
4. La società è, dunque, decaduta dall’eccezione, considerato che, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, le parti sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 cod.proc.civ.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 cod.proc.civ. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel “thema probandum” e nel “thema decidendum” del giudizio di primo grado (Cass. Sez.Un. n . 7940 del 2019).
5. Il secondo motivo, al suo interno articolato in due censure, è inammissibile.
6. Invero, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nella prima parte dell’intestazione del motivo di ricorso, la censura si risolve nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.
7. Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).
8. La sentenza in esame (pubblicata dopo rii.9.2012) ricade sotto la vigenza della novella legislativa concernente l’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134): l’intervento di modifica, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta una ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, che va circoscritto al “minimo costituzionale”, ossia al controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta)”.
9. Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame e la motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale risultano manifestamente illogici o contraddittori.
10. In particolare, la Corte distrettuale ha rilevato l’insussistenza dei presupposti della c.d. cessione “in deroga” regolata dall’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990 in considerazione dell’assenza di passaggio dei lavoratori da una società in crisi alla società S. s.p.a., posto che l’azienda (composta da macchinari, impianti, attrezzature, immobili, 94 autobus, lavoratori) era stata ceduta dalla P. Bus s.p.a. in liquidazione (situazione peraltro “non supportato da alcun documento”) alla Cooperativa T. R. e solo successivamente era pervenuta alla S. s.p.a. (cfr. da ultimo, nello stesso senso, sempre con riguardo alla S. s.p.a., Cass. nn. 15549 e 14798 del 2019, Cass. 12546 del 2018).
11. La Corte distrettuale ha, inoltre, rilevato che la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra i lavoratori e la Cooperativa T. R. doveva ritenersi accertata a seguito di applicazione del principio di non contestazione (non contenendo, la memoria di costituzione in primo grado della società, alcuna contestazione riguardo all’allegazione contenuta in tal senso nel ricorso introduttivo del giudizio) nonché dell’ulteriore elemento, dedotto dalla stessa società, dell’applicazione ai soci della Cooperativa di istituti (quali il licenziamento collettivo di cui alla legge n. 223 del 1991) tipici del lavoro subordinato.
12. Vanno ravvisati, altresì, profili di improcedibilità perché la ricorrente, in violazione dell’art. 369 cod.proc.civ., comma 1, n. 4, non ha prodotto, unitamente al ricorso, l’accordo sindacale del 4.1.1995 richiamato quale valido presupposto integrante la previsione di cui all’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990, (in senso analogo, Cass. n. 10066 del 2016).
13. Alla luce delle considerazioni esposte il ricorso va rigettato. Le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.pro.civ.
14. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese di lite a favore dei controricorrenti, liquidate complessivamente in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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