Corte di Cassazione ordinanza n. 11270 depositata il 7 aprile 2022
IVA – compensazioni infrannuale – esclusione se omessa la dichiarazione infrannuale
Fatti di causa
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che:
l’Agenzia delle entrate aveva notificato a E.P. s.r.l. un atto di irrogazione delle sanzioni ai sensi dell’art. 13, d.lgs. n. 471/1997, a seguito della mancata presentazione della dichiarazione del credito Iva per il secondo e terzo trimestre dell’anno 2005 nei quali lo aveva comunque portato in compensazione; la società aveva proposto ricorso deducendo che si trattava di una violazione formale per la quale non vi era, peraltro, una espressa sanzione e da cui non conseguiva alcun danno per l’erario; la Commissione tributaria provinciale di Prato aveva accolto il ricorso; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello..
La Commissione tributaria regionale della Toscana ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che la violazione compiuta dalla contribuente, consistente nella omessa presentazione dell’istanza di compensazione, aveva natura meramente formale, non avendo arrecato alcun pregiudizio all’azione di controllo e non avendo inciso sulla determinazione della base imponibile e dell’imposta e sul versamento del tributo.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle entrate affidato ad un unico motivo di ricorso, cui ha resistito la società depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.
La Sesta sezione civile di questa Corte, con ordinanza del 26 ottobre 2016, ha disposto il rinvio alla pubblica udienza non sussistendo i presupposti di cui all’art. 375, cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 38bis, d.P.R. n. 633/1972, dell’a rt . 17, d. lgs. n. 241/1997, dell’art. 8, d.P.R. n. 542/1992, dell’art . 10, comma 3, legge n. 212/2000, e dell’art. 6, comma 5bis, del d.lgs. n. 472/1997.
In particolare, ha evidenziato che la contribuente, nell’anno di imposta 2005, aveva portato in compensazione nel trimestre successivo il credito Iva maturato nel secondo e terzo trimestre senza avere presentato la dichiarazione di cui all’art. 8, d.P.R. n. 542/1999, per cui si era avvalsa della facoltà di operare la compensazione Iva infrannuale senza avere proceduto alla previa presentazione della dichiarazione, sicchè la suddetta omissione, diversamente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, ha natura sostanziale, in quanto non consente all’amministrazione finanziaria di procedere al controllo circa l’effettiva spettanza del credito.
Il motivo è fondato.
La previsione contenuta nel D.P. R. n. 542 del 1999, art. 8, commi 2 e 3, disciplina le modalità per richiedere il rimborso del credito Iva di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, ovvero, in alternativa, la compensazione.
La questione prospettata con il present e motivo di ricorso attiene alla corretta interpretazione della previsione normativa in esame, in particolare alla natura condizionante, ai fini dell’ottenimento del rimborso ovvero del corretto esercizio della compensazione, dell’istanza in essa prevista.
Sul punto, questa Corte ha affermato (Cass. civ., 16 dicembre 2019, 33102; Cass. civ., 30 novembre 2017, n. 28734; conf. Cass. civ., n. 10872/2019; Cass. civ., n. 22965/2019; Cass., civ., n. 16504/2016) che, in tema d’Iva, l’errata utilizzazione della compensazione in sede di liquidazione periodica, in assenza dei relativi presupposti, non integra una violazione meramente formale, neppure ove il credito d’imposta risulti dovuto in sede di dichiarazione annuale e liquidazione finale, poichè comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste e determina il ritardato incasso erariale, con conseguente deficit di cassa, sia pure transitorio, nel periodo infrannuale, per cui è sanzionabile ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13.
Ed invero, la dichiarazione di cui al D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, contenente i dati richiesti per l’istanza di rimborso, integra un presupposto della compensazione, per cui, pur non escludendo, in presenza delle altre condizioni , l’esistenza del credito Iva, suscettibile, comunque, di rimborso, e non determinando conseguentemente il suo recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria, giustifica l’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, commi 1 e 2.
Ciò comporta, diversamente da quanto sostenuto dalla contribuente, anche in memoria, che la violazione non è formale, ma sostanziale, in quanto incidente sul versamento (vd. Cass, civ., 17 dicembre 2020, n. 28938) e che la condotta è sanzionabile secondo quanto previsto dall’art. 13, cit., poiché si traduce in un mancato versamento dell’imposta.
Preme, inoltre, precisare che quanto rilevato vale sin dal momento dell’introduzione di tale adempimento con il D.P.R. n. 435 del 2001 ed ancora prima della previsione di uno specifico termine per il suo espletamento con il D.P.R. n. 126 del 2003, attesa la funzione della dichiarazione, strumentale a controlli di tipo sostanziale.
Sotto tale profilo, non rileva la circostanza, evidenziata dalla controricorrente, della introduzione, nel testo del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, dell’ulteriore periodo secondo cui “tali compensazioni possono essere effettuate solo successivamente alla presentazione dell’istanza di cui al comma 2″, avendo tale aggiunta, come precisato da questa (Corte Cass. civ., 16 dicembre 2019, n. 33102), finalità meramente esplicativa del necessario adempimento della comunicazione dell’istanza al fine di potere validamente richiedere il rimborso ovvero di procedere alla compensazione.
Proprio in relazione a tale profilo, questa Corte (Cass. civ., 30 novembre 2017, n. 28734) ha enunciato il seguente principio di diritto: “in tema d’IVA, la dichiarazione di cui al D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, integra, sin dal momento della sua introduzione e prima ancora della previsione di uno specifico termine per il suo espletamento, un presupposto della compensazione, per cui, pur non escludendo, in presenza delle altre condizioni, l’esistenza del credito IVA, suscettibile di rimborso, e non determinando conseguentemente il suo recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria, giustifica l’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, commi 1 e 2″.
La sentenza del giudice del gravame non è dunque conforme alla suddetta linea interpretativa, sicchè il motivo di ricorso in esame è fondato.
In conclusione, il motivo di ricorso va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere definita nel merito, con il rigetto del ricorso originario.
Con riferimento alle spese di lite, vanno compensate quelle relative ai giudizi di merito e, tenuto conto del fatto che la giurisprudenza di questa Corte sul punto si è formata in data successiva alla presentazione del ricorso originario , vanno altresì compensate le spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario.
Compensa le spese di lite relative ai giudizio di merito e al presente giudizio.