Corte di Cassazione ordinanza n. 11832 depositata il 12 aprile 2022
imposta di successione – soggetto obbligato al pagamento – rinuncia all’eredità
FATTI DI CAUSA
1. con sentenza n. 18/1/18, depositata in data 26 marzo 2018, non notificata, la Commissione Tributaria di II grado di Bolzano accoglieva l’appello proposto dal contribuente avverso la sentenza n. 40/1/17 della Commissione Tributaria di I grado di Bolzano, con condanna al pagamento delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di una cartella esattoriale relativa ad imposta di successione, che era stata preceduta da un avviso di liquidazione del 5.2.2015 non impugnato; entrambi gli atti erano stati notificati al chiamato all’eredità che aveva effettuato la dichiarazione di successione in data 10.2014 e rinunciato all’eredità in data 6.6.2015.
3. La Commissione di primo grado aveva rigettato il ricorso, sul presupposto che l’avviso di accertamento fosse divenuto definitivo perché non impugnato;
4. la Commissione tributaria di secondo grado aveva accolto l’appello del contribuente, rilevando che la rinuncia all’eredità, avendo valore retroattivo, aveva fatto venire meno lo stesso presupposto del tributo, con conseguente inefficacia degli atti tributari;
5. avverso la sentenza di appello l’Agenzia proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 1 giugno 2018, affidato ad un unico motivo; il contribuente si costituiva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduceva violazione e falsa applicazione degli artt. 28 e 31 del d.lgs. 346/90, dei principi generali in materia di successioni, dell’art. 21 del lgs. n. 546/92, dell’art. 521 c.c. ed dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., rilevando che la mancata impugnazione dell’avviso di liquidazione che aveva preceduto la cartella impugnata aveva reso definitiva la pretesa, con conseguente inefficacia della successiva rinuncia.
2. Il ricorso non merita accoglimento.
Questione controversa è la persistenza della qualità di soggetto passivo dell’imposta di successione del chiamato all’eredità che, a seguito della notifica del relativo avviso di liquidazione, divenuto definitivo per mancata impugnazione, rinunci all’eredità.
2.1 Questa Corte ha già affermato che “Il chiamato all’eredità, che abbia ad essa rinunciato, non risponde dei debiti del “de cuius”, in quanto la rinuncia ha effetto retroattivo ai sensi dell’art. 521 c.c., senza che, in ragione di ciò, assuma rilevanza l’omessa impugnazione dell’avviso di accertamento notificato al medesimo dopo l’apertura della successione, stante l’estraneità di detto chiamato alla responsabilità tributaria del “de cuius”, circostanza che è, di conseguenza, legittimato a far valere in sede di opposizione alla cartella di pagamento” ( Vedi n. 13639 del 2018).
Come ribadito da Cass. n. 15871 del 2020 “Il chiamato all’eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del “de cuius”, neppure per il periodo intercorrente tra l’apertura della successione e la rinuncia, neanche se risulti tra i successibili “ex lege” o abbia presentato la dichiarazione di successione (che non costituisce accettazione), in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art. 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili“
Da tempo è stato, poi, chiarito che: “la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, perché a tale effetto è necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione mediante ‘aditio’ oppure per effetto di ‘pro herede gestio’ oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 c.c. (… ). In considerazione di ciò, spetta a colui che agisca in giudizio nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, l’onere di provare, in applicazione del principio generale contenuto nell’art. 2697 c.c., ‘l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, qualità che non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella sua qualità di erede“.(Vedi Cass. n. 2820 del 2005, conforme Cass. n. 10525 del 2010 e n. 21436 del 2018); si è quindi ritenuto che “In tema di successioni “mortis causa”, ai fini dell’acquisto della qualità di erede non è di per sé sufficiente, neanche nella successione legittima, la delazione dell’eredità che segue l’apertura della successione, essendo necessaria l’accettazione del chiamato mediante una dichiarazione di volontà oppure un comportamento obiettivo di acquiescenza.” (Vedi Cass. n. 5247 del 2018).
Da Cass. n. 8053 del 2017 è stato, quindi, precisato che «una eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario, sempre che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali desumere una accettazione implicita dell’eredità (art. 476 cod. civ.)», del cui onere probatorio è onerata l’Amministrazione finanziaria e che non può fondarsi sulla mera presentazione della denuncia di successione, che «non ha alcun rilievo ai fini dell’accettazione dell’eredità».
3. Ritiene il Collegio che tali principi vadano necessariamente estesi anche all’ipotesi in cui sia stato notificato al chiamato un avviso di liquidazione relativo all’imposta di successione, e tale avviso sia divenuto definitivo per mancata impugnazione.
Secondo la corretta applicazione dell’art. 7 del d.lgs. n. 346 del 1990, in tema di imposta di successione, il presupposto dell’imposizione tributaria va individuato nella chiamata all’eredità e non già nell’accettazione; tale individuazione resta tuttavia condizionata al fatto che il chiamato acquisti poi effettivamente la qualità di erede, per cui l’imposta va determinata considerando come eredi i chiamati che non provino di aver rinunciato all’eredità o di non avere titolo di erede legittimo o testamentario.
Sebbene ai fini della legittimazione passiva di tale imposta sia sufficiente essere chiamati all’eredità , l’efficacia retroattiva della rinuncia, legittimamente esercitata, determina il venir meno con effetto retroattivo anche della legittimazione passiva.
Sarebbe infatti contrario all’art. 53 Cast. assoggettare ad imposta un soggetto rispetto al quale il presupposto impositivo, rappresentato dalla trasmissione di beni mortis causa, non sia addirittura mai sorto per effetto della rinuncia.
3.1. Tanto è confermato dal fatto che per effetto della rinuncia sono destinati a venire meno sia la responsabilità solidale dei chiamati all’eredità, di cui all’art. 36, comma 3, del d.lgs. n. 346 del 1990, sia l’obbligo della dichiarazione di successione, incombente sui chiamati ma solo fino al momento clella loro rinuncia ex art. 28, comma 5, dello stesso decreto.
Il discrimine va dunque individuato nell’acquisto della qualità di erede in conseguenza di un’accettazione anche tacita; per effetto del principio “semel heres semper heres”, solo chi abbia accettato l’eredità non può più legittimamente rinunciarvi, essendo l’accettazione, a differenza della rinuncia, un atto puro ed irrevocabile, giusto il disposto dell’art. 475 c.c., non impugnabile neanche se affetto da errore ai sensi dell’art. 483, comma 1 c.c.
3.2 Né è sostenibile che la notifica di un avviso di accertamento al chiamato all’eredità, che non avendo ancora accettato l’eredità è ancora legittimato a rinunciarvi, possa avere l’effetto di precludergli questa possibilità che gli è riconosciuta direttamente dalla legge.
La notifica dell’avviso di accertamento costituisce pur sempre un atto amministrativo, inidoneo ad incidere sul presupposto impositivo, che quindi non può acquistare il valore vincolante tipico della definitività nei confronti di un soggetto, solo potenzialmente legittimato passivo dell’imposta, nel momento in cui venga accertato che tale potenzialità sia rimasta tale ed anzi sia definitivamente venuta meno.
4. Per le suesposte considerazioni, rilevato che nella specie non è contestato che la rinuncia sia stata legittimamente esercitata, va affermato il seguente principio di diritto: “In tema di imposta di successione, il chiamato alla eredità, che, dopo aver presentato la denuncia di successione, ricevuto l’avviso di accertamento dell’imposta ometta di impugnarlo, determinandone la definitività, non è tenuto al pagamento dell’imposta ove successivamente rinunci all’eredità, in quanto l’efficacia retroattiva della rinuncia, legittimamente esercitata, determina il venir meno con effetto retroattivo anche del presupposto “
5. Il ricorso, pertanto, va integralmente rigettato.
5.1. La condanna alle spese segue la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare al controricorrente le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di€ 5.600,00 per compensi professionali, oltre€ 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
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