CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 12728 depositata il 10 maggio 2023
Lavoro – Credito a titolo di prestito – Errore in procedendo – Rivalutazione materiale probatorio inammisibile – Articolo 96 terzo comma c.p.c. – Inammissibilità
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Catania, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado con la quale R.L. era stata condannata a pagare in favore della CGIL – Camera del Lavoro Territoriale di Ragusa la somma di euro 15.007,99, oltre interessi, ha condannato la medesima al versamento di una minore somma pari ad euro 1.107,99, oltre interessi;
2. la Corte territoriale, in estrema sintesi, ha ravvisato l’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale “nell’affermare che l’accertato credito dell’associazione sindacale per prestiti ammontasse a euro 14.100,00 anziché a euro 12.100,00 per come si ricava, invero, per semplice sommatoria”, aggiungendo poi che “dalla stessa documentazione offerta da CGIL – CLT (cfr. allegato n. 11 al primo ricorso in opposizione) emerge all’evidenza che la lavoratrice aveva restituito all’associazione sindacale la complessiva somma di euro 15.200,00, versata in due tranche (7 gennaio 2005 e 26 giugno 2008: v. anche allegati nn. 6 e 9 del ricorso in appello)”;
3. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la CGIL – CLT di Ragusa con due motivi; hanno resistito con distinti controricorsi R.L. e l’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro della Regione Siciliana;
Considerato che
1. col primo motivo del ricorso si denuncia: “omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa e accertato dal giudice di prime cure ex art. 360, n. 5, c.p.c.)”; si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto che il credito vantato dalla Camera del Lavoro nei confronti della L. a titolo di prestito fosse pari a euro 12.100,00 in luogo di euro 14.100,00 pretesi dall’associazione, fondando la decisione esclusivamente sulla mancata impugnazione di un capo della sentenza di primo grado “omettendo di valutare il successivo capo” in cui la L. avrebbe “ribadito la corretta determinazione del suo debito”;
la censura è inammissibile perché denuncia come vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., che può riguardare un fatto storico decisivo che ha dato luogo alla controversia, un asserito error in procedendo della Corte territoriale nella valutazione dell’oggetto dell’impugnazione in relazione alla pronuncia di primo grado, che avrebbe dovuto essere denunciato nelle forme proprie del n. 4 dell’art. 360 c.p.c.;
2. con il secondo mezzo si denuncia: “violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 e 5, c.p.c. per manifesto travisamento della documentazione versata in atti dall’appellata CGIL”; si contesta l’assunto della Corte territoriale secondo cui dalla documentazione acquisita al giudizio emergerebbe “l’avvenuta restituzione da parte della lavoratrice dell’importo di euro 15.200,00”, trascurando di considerare che “l’importo complessivo dei prestiti tempo per tempo erogati alla Liccardi è pari ad euro 29.300,00”;
anche tale doglianza è inammissibile perché pretende una rivalutazione del materiale probatorio, in particolare dei documenti prodotti, che non è consentita a questa Corte di legittimità;
come ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;
3. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore di ciascuna delle parti controricorrenti;
va poi disattesa l’istanza ex art. 96 c.p.c. formulata dalla difesa della L.;
invero, la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c. è connotata da natura sanzionatoria e officiosa, sicché essa presuppone l’accertamento della mala fede o colpa grave della parte soccombente, non solo perché la relativa previsione è inserita nella disciplina della responsabilità aggravata, ma anche perché agire in giudizio per far valere una pretesa che si rivela infondata non è di per sé una condotta rimproverabile; e per accertare la rimproverabilità della condotta è necessario applicare i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di sussistenza ed apprezzamento della colpa grave della parte soccombente per la configurabilità della lite temeraria: ribadendosi che questa può essere, in concrete circostanze, ravvisata nella coscienza dell’infondatezza della domanda (mala fede) o nella carenza della ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta coscienza (colpa grave) (Cass. SS.UU. n. 35307 del 2022);
circostanze tutte che il Collegio non ravvisa nella fattispecie in esame;
4. invece, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per spese, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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