CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 giugno 2022, n. 19179
Appalto – Art. 4, CCNL pulizie MULTISERVIZI – Diritto del lavoratore alla prosecuzione automatica del rapporto di lavoro con la società subentrante – Insussistenza
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda proposta da M.C. per l’accertamento della intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato con la società D.S. S.r.l., quale aggiudicataria del servizio di pulizia dell’Istituto scolastico M.P. di Bari, e per la condanna della stessa società alla regolarizzazione del rapporto e al pagamento delle differenze di retribuzione maturate.
2. A fondamento della decisione, tra l’altro, ha osservato che D.S., aggiudicataria dell’appalto dal 1° gennaio 2014, aveva sottoscritto in data 20 dicembre 2013 un genuino contratto di subappalto con A. cooperativa sociale, la quale aveva assunto il C. in data 4.1.2014.
Effettivamente il contratto di subappalto era stato autorizzato da C. S.p.A. soltanto il successivo 7 gennaio 2014; il dato, tuttavia, non incideva sulla situazione lavorativa del C., in quanto l’articolo 21 della legge 646/1982, che vietava all’appaltatore di un’opera pubblica di cedere in subappalto l’esecuzione di parte del servizio senza l’autorizzazione dell’autorità committente, era finalizzato alla tutela della pubblica amministrazione.
Inoltre, per la Corte, non risultava che il C. avesse iniziato a svolgere la prestazione presso la scuola M.P. prima del 7 gennaio 2014, data dell’autorizzazione.
Andava, altresì, disattesa la tesi secondo la quale il rapporto di lavoro passava automaticamente in capo all’azienda subentrante nell’appalto:
l’articolo 4 del CCNL pulizie MULTISERVIZI non prevedeva alcun automatismo, disponendo una specifica procedura per la conservazione del posto dei lavoratori in servizio presso l’appalto.
Nessun pregio avevano, infine, le censure in tema di errata attribuzione al lavoratore degli oneri probatori; era onere del C. allegare e provare che la sua prestazione lavorativa avesse avuto inizio prima del 4 gennaio 2014 e venisse eterodiretta dalla parte appellata.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il soccombente con due motivi, cui ha opposto difese la D.S. S.r.l. con controricorso.
4. Con ordinanza interlocutoria n. 19063 del 2019, la Sesta Sezione Civile ha rimesso la causa alla Sezione ordinaria della Corte per la trattazione in pubblica udienza.
5. In prossimità dell’udienza pubblica del 6 aprile 2022 il P.G. ha comunicato, ai sensi dell’art. 23, comma 8 bis, d.l. n. 137 del 2020, inserito nella l. di conv. n. 176 del 2020, le sue conclusioni di rigetto del ricorso.
La parte ricorrente ha comunicato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., si denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 118 d. lgs. 12 aprile 2006 n. 163, 297 d.p.r. 5 ottobre 2010 n. 207, 21 della l. n. 646/1982 nonché dell’art. 1 l. n. 1369/1960.
Si sostiene che il complesso normativo così indicato abbia inequivoca natura imperativa, con conseguente nullità, ex art. 1418 c.c., del subappalto stipulato in mancanza di autorizzazione;
gli effetti di tale nullità, contrariamente a quanto statuito nella sentenza impugnata, non avrebbero potuto essere limitati ai rapporti tra le parti del subappalto ma influivano anche sui rapporti di lavoro conclusi dall’una o dall’altra società e la nullità del contratto di subappalto poteva essere fatta valere da chiunque vi avesse interesse, ai sensi dell’art. 1421 c.c. Si argomenta che nella fattispecie di causa, fino alla data del 7 gennaio 2014, data di rilascio dell’autorizzazione C., non poteva sussistere alcun rapporto di subappalto. La D., nella sua qualità di aggiudicataria dell’appalto, a far data dal primo gennaio 2014 era l’azienda subentrante di cui all’articolo 4 CCNL MULTISERVIZI; il C. aveva diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con la nuova aggiudicataria, senza soluzione di continuità; non era rilevante l’avvenuta prestazione dell’attività lavorativa nel periodo dal 2 al 6 gennaio 2014, atteso che l’effetto traslativo della titolarità dell’appalto, e dunque della titolarità dei rapporti di lavoro, operava automaticamente dal primo gennaio 2014.
In ogni caso, il C. si era presentato sul luogo di lavoro dal 2 gennaio 2014, come provato dal foglio di presenze allegato alla busta paga e come si chiedeva di dimostrare attraverso la prova testi non ammessa.
Il subappalto di fatto – in quanto non autorizzato – era irrilevante; in caso diverso si sarebbe realizzata un’intermediazione vietata di manodopera, ex art. 1 l. n. 1369/1960, con la conseguenza del radicamento del rapporto di lavoro in capo all’appaltante.
2. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., si denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 2094, 2097 e 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione alla prova dell’instaurazione del rapporto di lavoro subordinato.
Richiamati i fatti già esposti a fondamento del primo motivo, il ricorrente ha dedotto che erroneamente la Corte territoriale aveva posto a suo carico l’onere di provare la sussistenza della subordinazione, che non era stata affatto contestata.
In ragione della nullità del contratto di subappalto il rapporto lavorativo poteva essersi instaurato esclusivamente nei confronti della D.S.; incombeva, piuttosto, alla parte datoriale l’onere di provare la sussistenza di un valido contratto di subappalto, onere che non era stato assolto.
3. I motivi, congiuntamente esaminabili per connessione, non sono meritevoli di accoglimento.
Opportuno premettere che, secondo la sentenza impugnata, il C. aveva richiesto al Tribunale di Milano “di dichiarare che era dipendente della società convenuta (D.S. S.r.l.) quale aggiudicataria del servizio di pulizia dell’Istituto Scolastico M.P. di Bari a far data dall’1.1.14”, stante la violazione dell’art. 4 CCNL Pulizie Multiservizi.
Rispetto a tale domanda, già respinta in primo grado, la Corte territoriale ha esplicitamente disatteso “la tesi del lavoratore secondo la quale il rapporto di lavoro era automaticamente passato in capo a D. nel momento in cui questa era subentrata nell’appalto.
In realtà l’art. 4 CCNL pulizie multiservizi non prevede alcun automatismo disponendo invece una specifica procedura affinché i lavoratori in servizio presso un appalto vedano conservato il posto di lavoro allorché vi sia un cambio di gestione a parità di condizioni. La stessa formulazione dell’art. 4 non consente di ravvisare in capo alla società subentrante una costituzione automatica del rapporto di lavoro, prevedendo che in caso di cessazione di appalto a parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali l’impresa subentrante si impegna a garantire l’assunzione senza periodo di prova degli addetti assunti in organico”.
Tale assunto, così come l’interpretazione della contrattazione collettiva operata dalla Corte territoriale, non risultano adeguatamente censurati dal C. che, anzi, a pag. 14 del ricorso per cassazione si limita a insistere che: “la D. era, in virtù della sua qualità di aggiudicataria dell’appalto de quo, ex lege l’azienda subentrante di cui all’art. 4, CCNL citato, e tanto a far data dal 1 gennaio 2014”; “il C., poiché assunto prima del termine di quattro mesi antecedenti la cessazione dell’appalto, aveva diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità”; “pertanto, il rapporto già in essere con la M. Spa è automaticamente e senza soluzione di continuità proseguito in capo alla D. Service e tanto a far data dal 1° gennaio 2014”.
È noto, invece, che sin dai primi anni ’80 l’autonomia collettiva ha introdotto, nei settori economici in cui l’attività si svolge ordinariamente attraverso la successione di appalti di durata predeterminata, strumenti, definiti “clausole sociali”, volti a garantire la continuità occupazionale con diversificate formulazioni che incidono in modo differenziato sugli ambiti di tutela del lavoratore.
Da una parte si collocano le clausole che impongono agli operatori economici coinvolti nel cambio dell’appalto essenzialmente degli obblighi di tipo procedimentale, dall’altro le clausole che prevedono obblighi di assunzione dei lavoratori delle imprese cessante variabilmente condizionati.
Per quanto riguarda le prime, le previsioni collettive generalmente stabiliscono una preventiva fase di informazione delle organizzazioni sindacali, sia da parte dell’impresa cessante che dell’impresa subentrante, sul numero dei lavoratori coinvolti sulle condizioni di impiego, qui segue di norma un tavolo di consultazione in sede sindacale, al fine di armonizzare le esigenze tecnico organizzative dell’appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato. In tali casi per i lavoratori che aspirano al subentro presso la nuova impresa aggiudicataria dell’appalto non è configurabile una situazione giuridica soggettiva direttamente tutelabile.
Ad esempio, questa Corte ha ritenuto che l’art. 4 del CCNL dei dipendenti di imprese appaltatrici nel settore dello smaltimento dei rifiuti, nello stabilire che, in caso di risoluzione del rapporto di appalto con la P.A., “il subentrante e le organizzazioni sindacali territoriali e aziendali si incontreranno in tempo utile per avviare la procedura relativa al passaggio diretto ed immediato dell’impresa cessante”, si limita a strutturare le procedure intese a realizzare l’assorbimento del personale proveniente dall’impresa cessata, mediante la previsione di incontri tra imprese ed organizzazioni sindacali per l’individuazione dei dipendenti da inserire nella nuova compagine lavorativa e conseguentemente non è suscettibile di esecuzione specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c. (Cass. n. 18277 del 2010).
E’ l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale della contrattazione collettiva sottoposta al suo vaglio, che non risulta adeguatamente censurata dai motivi di ricorso, e tale ragione posta a base della decisione è di per sé sola sufficiente ad escludere la fondatezza della domanda proposta dall’istante nell’atto introduttivo del giudizio che – giova ricordarlo – aveva chiesto una pronuncia dichiarativa della sussistenza di un rapporto di lavoro dal 1° gennaio 2014 in capo alla D., sull’assunto, ribadito nel ricorso per cassazione, che, in forza dell’art. 4 CCNL Multiservizi, il rapporto già in essere con l’impresa cessante “era automaticamente e senza soluzione di continuità proseguito in capo alla D.S. e tanto a far data dal 1° gennaio 2014”.
Tale ragione fondante il rigetto dell’appello del lavoratore priva di decisivo rilievo ogni ulteriore questione relativa alla nullità del subappalto, perché anche laddove la censura fosse fondata, non farebbe venire meno una ragione essenziale del rigetto medesimo che sta tutta nel negare il diritto del C. alla prosecuzione automatica del rapporto di lavoro con la subentrante nell’appalto sulla scorta della contrattazione collettiva applicabile.
Ciò posto in diritto, è parimenti priva di rilievo decisivo ogni ulteriore questione in ordine a vicende fattuali che comunque non possono essere riesaminate in questa sede di legittimità, tanto più mediante la prospettazione di pretesi errores in iudicando.
Come di recente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre).
Parimenti la pronuncia rammenta che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.
Inoltre, risulta inappropriato il richiamo all’art. 2697 c.c., la cui è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), non certo quando si critica l’apprezzamento operato dai giudici del merito, opponendo una diversa valutazione.
4. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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