Corte di Cassazione, ordinanza n. 1378 depositata il 15 gennaio 2024
compenso avvocato – Responsabilità professionale – violazione doveri professionali – omissione di informarli dei rischi
Rilevato che:
l’Avv. V.G. chiese e ottenne, nel 2006, dal Tribunale di Bologna l’emissione di decreto ingiuntivo nei confronti di L.A. e della E. s.n.c. per il pagamento dei compensi spettanti per l’attività di consulenza ed assistenza prestata in relazione alla programmata vendita di un immobile di proprietà del L.A., culminata nella predisposizione di un preliminare di compravendita e di un contratto d’appalto; gli ingiunti vi si opposero deducendo che l’avvocato, in violazione dei propri doveri professionali, aveva omesso di informarli dei rischi derivanti dalla precedente sottoscrizione da parte del L.A. di una «lettera di intenti» con cui questi si era dichiarato disposto a vendere l’immobile a un terzo (tale B.V., socio della E.C. S.r.l.), previa redazione di un preliminare di vendita che avrebbe dovuto indicare le modalità di cessione e di pagamento nonché la persona da nominare in sede di rogito da sottoscrivere entro la data del 31 dicembre 2004, rischi poi in effetti concretizzatisi atteso che, nonostante la tempestiva trascrizione del preliminare di vendita tra gli opponenti, E.C. s.r.l. aveva trascritto domanda giudiziale per l’esecuzione in forma specifica del precedente accordo, determinando il rifiuto, da parte della banca, di concedere il finanziamento richiesto da E. s.n.c.;
chiesero, pertanto, la revoca dell’opposto decreto e, in via riconvenzionale, la condanna dell’opposto al risarcimento del danno derivante dal dedotto inadempimento;
esteso il contraddittorio nei confronti della UnipolSai Ass.ni S.p.a., chiamata in causa dall’Avv. V.G., il Tribunale pronunciò sentenza (n. 972 del 2014) con la quale, ritenuto sussistente il dedotto inadempimento, revocò il decreto ingiuntivo opposto, ma rigettò la domanda riconvenzionale degli opponenti, condannando l’opposto a rifondere agli stessi le spese processuali, compensate invece per l’intero nei confronti della società d’assicurazioni chiamata in garanzia;
con sentenza n. 2490/2018, resa pubblica in data 8 ottobre 2018, la Corte d’appello di Bologna ha rigettato il gravame interposto dal V.G., confermando integralmente la decisione di primo grado e condannando l’appellante alla rifusione, in favore del L.A. e della E. s.n.c., delle spese del giudizio di appello;
in motivazione la Corte territoriale ha rilevato che:
─ la dubbia natura dell’accordo (pur emergente dal documento) tra il L.A. ed il B.V., di per sé non esclude, nel suo tenore testuale, la sussistenza di una specifica obbligazione a contrarre nascente da tale scrittura e come tale suscettibile di esecuzione in forma specifica;
─ la richiesta che il B.V. e E.C. S.r.l. avevano avanzato, nei giorni immediatamente precedenti al perfezionamento del nuovo preliminare, di dare esecuzione all’obbligo a contrarre asseritamente derivante da detto accordo, avrebbe dovuto porre in dubbio l’affidamento riposto nell’efficacia di una mera “disdetta” a scongiurare la proposizione dell’annunciata azione giudiziale;
─ gli effetti pregiudizievoli realizzatisi con la trascrizione della domanda giudiziale sono ascrivibili alla sottovalutazione da parte dell’avvocato della rilevanza giuridica del pregresso accordo del 2004, dalla sopravvalutazione dell’efficacia della “disdetta” del medesimo, e soprattutto dalla mancata ponderazione della probabilità dell’introduzione da parte del precedente promissario acquirente dell’azione volta all’esecuzione specifica del contratto, con trascrizione della domanda;
─ dette conseguenze dannose hanno prodotto i loro effetti nei confronti degli odierni opponenti indipendentemente dal pronostico di accoglimento della domanda giudiziale introdotta da Ethica, tant’è che, a ragione della trascrizione della domanda giudiziale, l’istituto bancario ha opposto il diniego al finanziamento richiesto dall’acquirente E., per poi concedere il nulla osta una volta intervenuta la dichiarazione di assenso di Ethica e B.V. alla cancellazione della trascrizione pregiudizievole da parte;
─ la dedotta «mancanza di alea della controversia intentata da Ethica, a motivo dell’effetto prenotativo della trascrizione del secondo preliminare dedotta dall’appellante, contrasta con la natura del processo, di cui ben consapevoli sono gli operatori del diritto, il cui risultato, per quanto prevedibile, non si consolida sintantoché lo stesso non sia definitivamente concluso»;
─ nozioni di comune esperienza possono certamente fare ritenere circostanza prevedibile il ricorso al finanziamento da parte dell’acquirente a fronte dell’impegno economico per il pagamento del prezzo di € 610.000,00, e come tale, contrariamente a quanto allegato dall’appellante, non estraneo «a tutte le sfaccettature giuridiche della compravendita», e perciò da ritenersi compresa nell’incarico professionale;
avverso tale sentenza l’Avv. V.G. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi;
nessuno degli intimati ha svolto difese nella presente sede;
è stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata da rituale comunicazione alle parti;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. il ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
con il primo motivo il ricorrente denuncia «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»;
lamenta che la Corte d’appello non abbia in alcun modo valutato quanto dedotto nel giudizio di gravame, ovvero che la sua indicazione di trascrivere urgentemente il contratto preliminare sottoscritto tra la E. s.n.c. ed il L.A. in data 31 maggio 2006 ─ circostanza non contestata dalle controparti ─ valeva a dimostrare che lo stesso legale aveva ben reso edotti i clienti del possibile rischio di un’azione ex art. 2932 c.c. da parte della E.C. S.r.l.;
con il secondo motivo il ricorrente deduce «falsa applicazione di norme di diritto» per avere la Corte di merito ritenuto che egli avrebbe dovuto supporre che la banca cui la E. s.n.c. si era rivolta per ottenere un finanziamento lo avrebbe rifiutato a causa della trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 cod. civ. proposta dal terzo, sebbene questa fosse successiva alla trascrizione del contratto preliminare tra il L.A. e la predetta s.n.c.: ciò in violazione dell’art. 2645-bis cod. civ. che, nel conflitto fra successivi acquirenti in forza di validi contratti preliminari, attribuisce prevalenza a colui che abbia preventivamente trascritto;
sostiene che, per tal motivo, non poteva assolutamente prevedersi che l’ufficio legale della banca potesse negare il finanziamento chiesto da E. s.n.c., temendo conseguenze giuridiche dall’azione ex art. 2932 c.c., del tutto inesistenti; per lo stesso motivo, l’alea del giudizio ex art. 2932 cod. civ. promosso dal terzo cui fa riferimento la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenersi assolutamente inesistente, in quanto, grazie proprio alla trascrizione del preliminare di vendita, il successivo contratto di compravendita avrebbe svuotato completamente l’azione ex art. 2932 c.c.;
con il terzo motivo il ricorrente denuncia, infine, omessa pronuncia sul motivo di gravame con il quale egli si era comunque doluto della condanna alle spese del giudizio di primo grado, in quanto statuita a fronte della soccombenza delle controparti sulla domanda riconvenzionale, di maggior rilievo economico, di risarcimento danni;
il primo motivo, con il quale, come detto, si denuncia vizio di omesso esame ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., è inammissibile sotto diversi profili;
preliminare e assorbente è in tal senso la preclusione che deriva alla sua deducibilità — ai sensi dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod. proc. civ. [come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134] — dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo il ricorrente assolto l’onere in tal caso su di esso gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 6/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320);
non possono nondimeno sottacersi anche gli evidenti limiti intrinseci della censura, ravvisabili anzitutto per essere la doglianza riferita non ad un fatto storico quanto piuttosto ad una argomentazione difensiva, della quale peraltro si omette di indicare specificamente, nel rispetto degli oneri imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 2 cod. proc. civ., contenuto e localizzazione nel fascicolo di causa (si dice soltanto che era stata «dedotta … nel giudizio di gravame»: v. ricorso, pag. 15);
con tale argomentazione non si allegava un fatto storico ma si prospettava una mera duplice inferenza probatoria in tesi desumibile dal fatto – trascrizione del preliminare ─ in realtà espressamente considerato in sentenza (v. pagg. 2, quart’ultima riga, e pag. 6, righe 13-14);
si sosteneva con essa – e si sostiene, in sostanza, con il motivo di ricorso ─ che dal fatto stesso che il L.A. ed E. avevano proceduto alla trascrizione del preliminare si sarebbe dovuto inferire:
a) che era stato esso ricorrente ad avvertirli della opportunità di provvedervi;
b) che tale avvertenza non poteva altrimenti spiegarsi se non perché egli li aveva informati della probabilità che il terzo, sulla base di quella precedente stipula in suo favore, avrebbe proposto e trascritto domanda giudiziale ex art. 2932 cod. civ.;
in tal modo, a prescindere dalla evidente debolezza di tale ragionamento presuntivo, si critica la Corte di merito non per avere omesso di esaminare un fatto (trascrizione del preliminare) quanto piuttosto per averlo insufficientemente o erroneamente valutato, omettendo di trarne quelle inferenze che, in tesi, avrebbero potuto trarsi e condurre al convincimento che l’informazione era stata data, con ciò tuttavia muovendosi su di un piano censorio (quello della valutazione degli elementi probatori) certamente estraneo al sindacato di legittimità;
il secondo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.;
la censura non coglie l’effettiva ratio decidendi e suppone esistente una affermazione in iure che non è dato affatto evincere, neppure per implicito, dalla sentenza;
si tratta, dunque, di motivo inidoneo a svolgere la funzione di critica propria di un motivo di impugnazione, occorrendo in tal senso rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo;
in riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 5/08/2016, n. 16598; Id. 3/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 5/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 4/03/2005, n. 4741);
invero, la Corte d’appello non ha affatto detto che il rischio, del quale l’avvocato avrebbe dovuto informare i propri clienti, era quello di un esito vittorioso dell’azione promossa dal terzo ex art. 2932 cod. civ., né tanto meno una tale ipotesi ha prospettato erroneamente interpretando o applicando l’art. 2645-bis cod. proc. civ.;
essa, piuttosto, ha individuato il rischio di cui i clienti avrebbero dovuto essere (ma non sono stati) avvertiti, nel fatto in sé che comunque una tale azione avrebbe potuto essere esercitata con tutte le ulteriori conseguenze che una tale iniziativa, non escludibile a priori, avrebbe potuto comportare, ossia: a) trascrizione della domanda giudiziale; b) conseguente difficoltà ad ottenere finanziamenti;
la correttezza in iure di una tale valutazione non può in alcun modo essere parametrata alla norma di cui all’art. 2645-bis cod. civ. che a tale fine non assume alcun rilievo dal momento che il rischio in tal modo evidenziato non è l’esito del processo prevedibilmente instaurando dal terzo ma il processo in sé, quale fatto esso stesso capace di determinare ostacoli alla realizzazione del programma negoziale cui era riferita la prestazione di consulenza ed assistenza legale;
del resto, che un tale rischio fosse prevedibile da un avvocato accorto e come tale oggetto di doverosa informazione da darsi al cliente è circostanza che contraddittoriamente il ricorrente ammette nella illustrazione del primo motivo (che, collocandosi sul piano della ricognizione del fatto, si è detto inammissibile ex art. 348-ter cod. proc. civ. e comunque per la sua non riconducibilità al vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.): come s’è visto, infatti, la tesi sottesa a tale motivo è che, in realtà, una avvertenza in tal senso era stata data ai clienti;
peraltro, la censura nemmeno si confronta con le considerazioni svolte in sentenza che, in punto di fatto, corroborano il convincimento circa la colpa professionale dell’avvocato, evidenziando che il terzo (B.V.) e la società di cui questi era socio nei giorni immediatamente precedenti al perfezionamento del nuovo preliminare avevano fatto richiesta di dare esecuzione all’obbligo a contrarre asseritamente derivante dal precedente accordo che li riguardava e che rispetto ad essa nessun affidamento poteva attribuirsi circa l’efficacia di una mera «disdetta» di detto accordo;
il terzo motivo è inammissibile;
secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo, ad individuare tale violazione, a precisare – a pena di inammissibilità – che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni (Cass. n. 5087 del 3/03/2010 e succ. conf.);
nel caso di specie un tale onere non risulta rispettato non emergendo neppure dalla sentenza che tale motivo fu mantenuto dall’appellante anche al momento della precisazione delle conclusioni; in essa, come evidenziato dal ricorrente, si fa bensì riferimento nella parte narrativa dello svolgimento del processo (pag. 4, quarto capoverso) all’esistenza di un secondo motivo di appello riguardante il regolamento delle spese del giudizio di primo grado, censurato perché «contrario al principio di soccombenza», ma non vi è alcuna affermazione che, sia pure indirettamente, attesti che lo stesso sia stato mantenuto anche in sede di precisazione delle conclusioni: tali conclusioni non sono nemmeno specificate nella apposita parte della sentenza stessa, nella quale si legge la sola generica indicazione: «Conclusioni delle parti come in atti»;
la memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380-bis.1, primo comma, cod. proc. civ., non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi;
il ricorso deve essere dunque dichiarato inammissibile;
non avendo gli intimati svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sulle spese;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
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