Corte di Cassazione ordinanza n. 15067 depositata il 12 maggio 2022
IVA – esportazione – onere della prova – conseguenze
FATTI DI CAUSA
1. La M.S. s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, depositata il 9 maggio 2013, che, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento con cui era stata rettificata la sua dichiarazione resa, ai fini dell’i.v.a., per l’anno 2005.
Dall’esame della sentenza impugnata si evince che con tale atto impositivo l’Ufficio aveva contestato ili mancato assoggettamento ad imposizione di alcune operazioni di esportazione diretta di beni.
2. Il giudice di appello, dopo aver dato atto che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso di::!lla contribuente, ha accolto il gravame erariale, osservando che non era stata offerta prova della esportazione dei beni ai sensi dell’art. 8, primo comma, lett. a), d.P.R. 26 ottobre 1972, 633.
3. Il ricorso è affidato a cinque motivi.
4. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
5. La ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380-bis. 1 c.p.c.
6. La causa è stata rimessa all’odierna pubblica udienza all’esito dell’adunanza del 22 luglio 2020
7. La ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la società denuncia la violazione degli artt. 8, d.P.R. n. 633 del 1972, 346, T.U. 23 gennaio 1973, n. 43, 2697 e., 115, primo comma, e 116, primo comma, c.p.c., 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., per aver la sentenza impugnata escluso che la contribuente avesse offerto idonea dimostrazione delle operazioni di esportazione.
Evidenzia, sul punto, che aveva prodotto in giudizio documentazione di origine privatistica, la cui veridicità non era stata contestata dalla controparte, a dimostrazione dell’effettività di tali operazioni, quali i documenti di trasporto internazionale, i documenti attestanti la presa in carico dei beni da parte degli spedizionieri, le contabili bancarie relative ai pagamenti ricevuti e le dichiarazioni di avvenuta ricezione da parte degli acquirenti.
2. Con il secondo motivo deduce la violazione dei principi comunitari di neutralità dell’i.v.a. e di proporzionalità, degli artt. 22, Sesta Direttiva I.V.A., 8, d.P.R. n. 633 del 1972, 36, T.U. n. 43 del 1973, 2697 c.c. e 115, primo comma, c.p.c., per aver il giudice di appello escluso che la prova dell’esportazione potesse essere fornita mediante documenti di origine privatistica, benché la parte avesse venduto i beni con la clausola franco fabbrica e avesse fatto di tutto per acquisire dagli uffici doganali italiani il duplicato del documento doganale di esportazione.
2.1 I motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati.
Il regime di non imponibilità delle operazioni all’esportazione fuori dall’Unione europea risponde al principio dell’imposizione dei beni o dei servizi nel luogo di destinazione e presuppone che il potere di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all’acquirente, che il fornitore provi che tale bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro ed abbia, in seguito, lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (così, Cass. 23 febbraio 2018, n. 4408).
L’art. 8, primo comma, lett. a), d.P.R. n. 633 del 1972, nella formulazione vigente ratione temporis, stabilisce che «L’esportazione deve risultare da documento doganale, o da vidimazione apposta dall’ufficio doganale su un esemplare della fattura ovvero su un esemplare della bolla di accompagnamento emessa a norma dell’art. 2 del D.P.R. 6 ottobre 1978, n. 627, o, se questa non è prescritta, sul documento di cui all’articolo 21, quarto comma, secondo periodo».
Aggiunge che «Nel caso in cui avvenga tramite servizio postale l’esportazione deve risultare nei modi stabiliti con decreto del Ministro delle Finanze, di concerto con il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni».
Questa Corte ha costantemente affermato che, in mancanza di attestazione della dogana di partenza, deve essere offerta in ogni caso una prova certa ed incontrovertibile, quale l’attestazione di pubbliche amministrazioni del paese di destinazione dell’avvenuta presentazione delle merci in dogana, poiché il regime probatorio dell’esportazione deve essere ricavato dalla disciplina doqanale, e precisamente dall’art. 346, T.U. 23 gennaio 1973, n. 43, il quale consente di dare la prova dell’esportazione anche per mezzo di documentazione rilasciata da pubblica amministrazione o da dogana estera (cfr. Cass. 12 ottobre 2018, n. 25454; Cass., ord., 21 febbraio 2018, n. 4161; Cass. 11 agosto 2016, n. 16971).
Con la conseguenza che in difetto di una siffatta prova documentale l’operazione deve considerarsi come non effettuata e, pertanto, deve essere equiparata ad una cessione nel territorio nazionale, assoggettata ad i.v.a.
Pertanto, l’accertamento operato dalla Commissione regionale in ordine alla spedizione della merce all’estero non è sufficiente ai fini dell’applicazione del regime di non imponibilità laddove, in presenza di una contestazione dell’Ufficio in ordine all’assenza di una documentazione di origine pubblica, la parte non dia prova del fatto attraverso documentazione di siffatta natura.
2.2 Tale conclusione non risulta porsi in contrasto con la normativa unionale, la quale non detta una disciplina relativa alla prova che i soggetti passivi sono tenuti a fornire per beneficiare del regime di non imponibilità, rimettendo agli Stati membri la definizion1e delle condizioni per assicurare la corretta e semplice applicazione di questo regime e per prevenire ogni possibile frode, evasione e abuso, nel rispetto, in particolare, dei principi di certezza del diritto e di proporzionalità (v., in tal senso, tra varie, Corte giust., causa C-492/13, Traum, punto 27; causa C-307/16, Stanislaw Pienkows ki ).
In proposito, si osserva che i principi di certezza del diritto e di proporzionalità vanno bilanciati, perché vanno contemperate le esigenze che ne sono alla base: da un lato, quindi, occorre che le norme siano chiare e precise e la loro applicazione sia prevedibile, soprattutto quando comporti oneri finanziari, in modo da consentire ai soggetti passivi di conoscere i propri obblighi fiscali prima di concludere un’operazione (Corte giust., causa C-495/17, Cartrans Spedition s.r.l., punti 55-57); dall’altro, che gli Stati membri ricorrano a mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacerT”1ente l’obiettivo perseguito dal diritto interno, arrechino il minor pregiudizio possibile al conseguimento degli obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa unionale (Corte giust., causa C-307/16, cit., punto 34).
Questo bilanciamento va condotto, inoltre, alla luce del principio di neutralità, di modo che le misure nazionali senz’altro eccedono quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’iva qualora subordinino l’operatività del regime di non imponibilità al rispetto di obblighi formali, senza considerare i requisiti sostanziali e, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano stati soddisfatti (Corte giust., causa C-21/16, Euro Tyre, punto 34).
2.3 Qualora, dunque, sia certa la sussistenza dei requisiti sostanziali di applicazione del regime in questione, l’inosservanza di obblighi quali la dichiarazione di vincolo al regime doganale dell’esportazione (Corte giust., causa C-275/18, Milan Vins) o, più in generale, l’espletamento delle formalità doganali (Corte giust., causa C-656/19, BAKATI PLUS Kereskedelmi és Szolgaltat6 Kft), in situazioni in cui era pacifico, rispettivamente, che beni erano stati effettivamente esportati e che le cessioni rispondevano, per le caratteristiche oggettive, alle condizioni previste all’articolo 146, paragrafo 1, lettera a), della direttiva IVA (Corte giust. causa C- 275/18, cit., punto 30), nonché che «i beni interessati dalle operazioni di cui trattasi nel procedimento principale sono stati trasportati fuori dell’Unione dai loro acquirenti e che l’uscita effettive, di tali beni dal territorio dell’Unione è attestata, per ciascuna delle cessioni in questione, da un visto apposto dall’autorità doganale di uscita su un modulo in possesso del soggetto passivo» (Corte qiust., causa C- 656/19, cit., punto 57), è inidonea a incidere sull’operatività del regime di non imponibilità.
2.4 Orbene, la prova che i beni trasportati siano effettivamente stati oggetto di un’esportazione, ossia di una cessione di beni al di fuori dell’Unione, dev’essere dimostrata in un modo reputato soddisfacente dalle autorità tributarie competenti e questo requisito riguarda, appunto, le condizioni sostanziali necessarie per l’applicazione del regime, non già un obbligo meramente formale (Corte giust., causa C- 495/17, , punto 48).
Indubbiamente, non è possibile pretendere che il trasportatore produca, al fine di dimostrare la reale esistenza dell’esportazione, una dichiarazione di esportazione, escludendo ogni altro elemento di prova (Corte giust. in causa C-495/17, cit., punto 49).
Tuttavia, con il richiamato art. 8, primo comma, 1,ett. a), d.P.R. n. 633 del 1972, che esige, quale prova della destinazione della merce all’esportazione, la vidimazione apposta dall’ufficio doganale sulla fattura o su un esemplare della bolla di accompagnamento o anche, se quest’ultima non è prescritta, del documento di trasporto, oppure secondo modi e tempi previsti da appositi decreti ministeriali per le spedizioni postali, il legislatore nazionale ha esercitato la facoltà conferita dall’art. 131 della direttiva iva, stabilendo con chiarezza, secondo il principio di certezza, le condizioni per ritenere soddisfacente la prova del rispetto del requisito sostanziale dell’esportazione, e all’uopo contemplando, in base al principio di proporzionalità, un ventaglio di documenti, comprendenti sia la documentazione doganale, sia, in funzione delle esigenze di semplificazione burocratica e speditezza dei traffici commerciali, altri documenti commerciali (fattura; bolla di accompagnamento o altro documento di trasporto), formati dagli stessi operatori privati, purché, però, recanti la «vidimazione dell’ufficio doganale».
3. Con il terzo motivo si duole della violazione cieli 2697 c.c., 7, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e 6 e 12, I. 27 luglio 2000, n. 212, per aver la Commissione regionale omesso di attivare i propri poteri istruttori al fine di accertare le avvenute esportazioni, avuto riguardo all’impossibilità di assolvere il proprio onere probatorio per fatto imputabile ad una pubblica amministrazione.
3.1 Il motivo è inammissibile.
Nel processo tributario, l’art. 7, d.l9s. n. 546 del 1992, in quanto norma eccezionale attributiva di ampi poteri istruttori officiasi alle Commissioni Tributarie, trova applicazione solo quando l’assolvimento dell’onere della prova a carico del contribuente sia impossibile o sommamente difficile (Cass., ord., 31 ottobre 2018, n. 27827; Cass. 26 febbraio 2009, n. 4589).
Tale indefettibile condizione richiede, a carico della parte, l’allegazione e l’accertamento della specifica situazione di fatto che, nel caso concreto, abbia reso impossibile o sommamente difficile l’assolvimento dell’onere della prova, essendo insufficiente la mera affermazione dell’esistenza del presupposto, qualora non accompagnata dalla dimostrazione dello stesso e dall’allegazione relativa all’avvenuta sollecitazione del giudice del merito all’esercizio del predetto potere.
La contribuente non ha assolto ad un siffatto onere, per cui non è possibile esercitare il sollecitato controllo sulla valutazione del giudice di merito in ordine alla mancata attivazione officiosa dei poteri istruttori in oggetto.
4. Con il quarto motivo la società lamenta, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, p.c., nella formulazione antecedente alla modifica operata con l’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., nella I. 7 agosto 2012, n. 134, l’omessa motiv21zione di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione al mancato esame della documentazione attestante la destinazione della merce in territorio extra-UE, nonché la buona fede e la diligenza della contribuente;
4.1 Il motivo è inammissibile, poiché al giudizio in esame trova applicazione la nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, p.c., trattandosi di ricorso avverso una sentenza pubblicata dopo l’11 settembre 2012, in forza del quale il sindacato di legittimità sulla motivazione è circoscritto alla sola verifica della violazione del cd. minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., e dell’omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr., exmultis, Cass., ord., 25 settembre 2018, n. 22598; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).
5. Con l’ultimo motivo di ricorso la contribuente censura, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, p.c., nella formulazione risultante dalla modifica operata con l’art. 54, d.l. n. 133 del 2012, per omesso esame circa un fatto decisivo e controverso, in relazione al mancato esame della documentazione attestante la destinazione della merce in territorio extra-UE, nonché la buona fede e la diligenza della contribuente.
5.1 Il motivo è infondato, in quanto la Commissione regionale ha esaminato il fatto storico oggetto della doglianza, ossia la destinazione della merce nel territorio extra-UE, concludendo per l’insussistenza dello stesso e, conseguentemente, per l’insussistenza delle condizioni richieste dall’ordinamento per la non imponibilità, ai fini dell’i.v.a., delle operazioni in esame.
6. Deve, infine, osservarsi che, con le memorie depositate, la società evidenzia che la disciplina normativa in temei di sanzioni per violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, prevista dall’art. 6, primo comma, lgs. 18 dicembre 1997, n.471 è stata modificata, in senso più favorevole per il contribuente dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, e chiede l’applicazione del trattamento sanzionatorio più mite sopravvenuto.
Sul punto, si osserva che le modifiche apportate dall’art. 15, d.lgs. n. 158 del 2015, applicabili ai processi in corso in virtù dell’art. 3, comma 3, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, prevedono, per tale violazioni, la sanzione dal novanta al centoottanta per cento della imposta relativa all’imponibile non correttamente documentato o registrato, in luogo di quella originaria dal cento al duecento per cento. Sarà compito del giudice del rinvio provvedere all’applicazione del trattamento sanzionatorio più favorevole derivante dall’entrata in vigore, in pendenza del giudizio, del d.lgs. n. 158 del 2011
7. La sentenza va, dunque, cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese
P.Q.M.
la Corte, pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione.
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