Corte di Cassazione ordinanza n. 16262 depositata il 19 maggio 2022

ricorso in cassazione

RILEVATO CHE

M.A. propone ricorso per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Toscana aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 723/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, con cui era stato dichiarato inammissibile il ricorso avverso invito al pagamento, emesso dalla Segreteria Amministrativa della Commissione Tributaria Provinciale, per omesso versamento del contributo unificato relativo al ricorso iscritto al nr. RG 1255/2015;

la Segreteria Amministrativa della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze resistono con controricorso;

la ricorrente ha da ultimo depositato memoria difensiva

CONSIDERATO CHE

1.1 il ricorso va dichiarato inammissibile, ex art. 366 n. 3 e 4 c.p.c., per difetto di specificità, in quanto si risolve nella prospettazione di una promiscua pluralità di doglianze di diritto e di merito, senza la formulazione di censure specificamente riconducibili ad alcuna delle tassative ragioni di impugnazione per cassazione previste dall’articolo 360 3, 4 e 5 c.p.c.;

1.2 questa Corte ha infatti già avuto modo di chiarire, con l’ordinanza n. 19959/2014, che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito;

1.3 ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo – o come nella specie, senza alcuna articolazione di motivi – sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito;

1.4 le Sezioni Unite di questa Corte hanno altresì precisato che la tipizzazione dei motivi di ricorso comporta che il generale requisito della specificità si moduli, in relazione all’impugnazione di legittimità, nel senso particolarmente rigoroso e pregnante, sintetizzato con l’espressione della duplice specificità, essendo onere del ricorrente argomentare la sussunzione della censura formulata nella specifica previsione normativa alla stregua della tipologia dei motivi di ricorso tassativamente stabiliti dalla legge, mentre la tendenziale promiscuità della formulazione delle censure in esame avviluppa gli assenti vizi strutturali della motivazione, ma anche l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge sostanziale e processuale, trattandosi, dunque, di mezzi d’impugnazione difficilmente sovrapponibili e cumulabili in riferimento al medesimo costrutto argomentativo che sorregge la sentenza impugnata (cfr. sentenza n. 16990 del 2017);

1.5 la ricorrente si è limitata, peraltro nelle premesse del ricorso, a richiamare genericamente l’art. 360 n. 4 c.p.c., formulando poi plurime, confuse ed inintelligibili censure relative a plurime disposizioni giuridiche, anche prive della natura di norme di rito;

2. il ricorso va quindi dichiarato inammissibile;

3. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo

4.1 la palese inammissibilità del ricorso costituisce, inoltre, elemento idoneo e sufficiente a considerare temeraria, ai fini dell’art. 96, comma 3, civ., l’impugnazione della ricorrente;

4.2 invero, come già ritenuto da numerosi precedenti di questa Corte, «nel giudizio di cassazione, ai fini della condanna ex art. 96, comma 3, p.c. può costituire abuso del diritto all’impugnazione la proposizione di un ricorso basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o completamente privo dell’autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia» (cfr. Cass. n. 38528/2021) e «la proposizione di un ricorso per cassazione fondato su motivi palesemente inammissibili, rende l’impugnazione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art. 6 CEDU) e dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie; essa, pertanto, costituisce condotta oggettivamente valutabile come “abuso del processo”, poiché determina un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali e si presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna del soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., la quale configura una sanzione di carattere pubblicistico che non richiede l’accertamento dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa dell’agente ma unicamente quello della sua condotta processualmente abusiva, consistente nell’avere agito o resistito pretestuosamente» (cfr. Cass., n. 22208/2021; analogamente, Cass., nn. 19285/2016 e 5725/2019);

4.3 nel caso di specie, per quanto detto, la ricorrente ha proposto un ricorso per cassazione totalmente privo dei requisiti minimi ed indefettibili richiesti dall’art. 366 p.c. per l’ammissibilità del ricorso, e poiché si tratta di requisiti richiesti dalla legge con termini inequivoci, e ripetutamente ribaditi dalla giurisprudenza consolidatissima di questa Corte, la ricorrente va di conseguenza condannata d’ufficio, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento in favore della controparte costituita, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata;

4.4 in applicazione della menzionata disposizione, dunque, si condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, dell’ulteriore importo di Euro 500,00

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio in favore della parte controricorrente, liquidandole in Euro 500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito, nonché a pagare alla medesima parte controricorrente la somma di Euro 500,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.