Corte di Cassazione, ordinanza n. 17098 depositata il 15 giugno 2023
Tributi – Indagini bancarie
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 871/31/14 del 03/07/2014 la Commissione tributaria regionale del Piemonte (di seguito CTR) ha accolto l’appello proposto da Mario Di Tria avverso la sentenza n. 05/08/12 della Commissione tributaria provinciale di Torino (di seguito CTP), la quale aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente nei confronti di un avviso di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2004.
1.1 Come si evince anche dalla sentenza della CTR, con l’avviso di accertamento l’Agenzia delle entrate (di seguito AE) aveva proceduto alla rettifica del reddito di impresa a mezzo indagini bancarie sui conti correnti del contribuente, esercente l’attività di commercio ambulante di prodotti alimentari.
1.2 La CTR accoglieva l’appello di Mario Di Tria evidenziando che: a) le eccezioni formali del contribuente (copia del ricorso difforme dall’originale, contraddittorio, poteri dell’ufficio, regolarità dell’accertamento, regolarità della notificazione, legittimazione attiva in materia di accertamento) erano infondate; b) l’applicazione della presunzione di cui all’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 implicava che, in caso di contabilità semplificata, i versamenti bancari non potevano essere considerati ricavi «quando i ricavi dichiarati, sono superiori ai versamenti di contante assegni e bonifici sui conti correnti» e, quindi, «quando i ricavi dichiarati e iscritti nelle scritture contabili (così come i prelievi) superano i riscontrati movimenti finanziari»; c) gravava, pertanto, sull’Ufficio la prova dell’esistenza di «altri incassi, versamenti ed operazioni riconducibili all’attività imprenditoriale non figuranti tra i ricavi»; d) non era, del resto, ragionevole considerare come non giustificati «versamenti o prelievi di qualche migliaio di Euro» sebbene dal libro corrispettivi si evincono incassi sempre superiori a mille euro; e) ulteriore profilo di illegittimità dell’accertamento era costituito dall’utilizzazione di una presunzione di ricavi ben superiori ai minimi tollerati dallo studio di settore.
2. AE impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione affidato a dieci motivi.
3. Mario Di Tria resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Appare utile trascrivere di seguito i motivi proposti da AE al fine di una più agevole trattazione.
1.1 Con il primo motivo di ricorso AE deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR accolto l’appello con riferimento all’IVA senza alcuna motivazione.
1.2 Con il secondo motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e degli artt. 2697 e 2728 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente applicato la presunzione legale di assimilazione dei versamenti e prelevamenti ai ricavi, con le conseguenti refluenze a fini IVA.
1.3 Con il terzo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR posto a fondamento della decisione questioni non dedotte dalle parti.
1.4 Con il quarto motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR reso una motivazione apparente con riferimento alle questioni oggetto del motivo che
1.5 Con il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2697 e 2727-2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto che: a) «le operazioni in contanti per un soggetto che incassa prevalentemente in contanti, ove non eccedano i normali parametri di vita non hanno bisogno di giustificazione»; b) sia possibile ricercare la giustificazione di prelevamenti e versamenti sulla base di un semplice e generico riscontro contabile giornaliero dei versamenti; c) sia possibile giustificare versamenti e prelievi ove compatibili con gli scambi tra padre e figlio.
1.6 Con l’ottavo motivo di ricorso si contesta la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR reso motivazione apparente allorquando ritiene la giustificazione di talune operazioni bancarie per evidenziazione dei percipienti o per l’esistenza di documentazione di spesa conferente.
1.7 Con il nono motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 e degli 161 e 329 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR accolto una domanda non riproposta in sede di appello.
1.8 Con il decimo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR reso motivazione apparente con riferimento alla percentuale di ricarico adoperata in applicazione dello studio di settore.
2. Il secondo, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo, concernenti essenzialmente la corretta applicazione della presunzione prevista dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, possono essere unitariamente considerati e sono complessivamente fondati, nonché, per il principio della ragione più liquida, assorbenti degli ulteriori motivi
2.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la presunzione (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari a norma dell’art. 32, primo comma, n. 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti come è reso palese dal richiamo, operato dal citato 32, anche all’art. 38 del medesimo d.P.R., riguardante l’accertamento del reddito complessivo delle persone fisiche (attinente ad ogni tipologia di reddito di cui esse siano titolari).
2.1.1 La previsione in oggetto si articola nel modo che segue: a) i «dati ed elementi» attinenti ai rapporti bancari possono essere utilizzati nei confronti di tutti i contribuenti destinatari di accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (persone fisiche, titolari di reddito determinato in base alle scritture contabili, redditi di soggetti diversi dalle persone fisiche, redditi accertati d’ufficio); b) la presunzione secondo cui i versamenti ed i prelevamenti sono considerati ricavi o compensi può essere utilizzata nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa o di reddito di lavoro autonomo, soggetti all’obbligo di tenuta delle scritture contabili (con la correzione apportata dalla Corte Cost. con la sentenza n. 228 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità della presunzione di maggiori compensi desumibile dai prelevamenti effettuati dai titolari di reddito di lavoro autonomo).
2.1.2 Pertanto, mentre l’operazione bancaria di prelevamento conserva validità presuntiva nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, le operazioni bancarie di versamento hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia adempiendo l’onere di dimostrare che «ne hanno tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine» (così, sostanzialmente, Cass. n. 1519 del 20/01/2017; conf. Cass. n. 29572 del 16/11/2018; nel senso indicato si veda anche Cass. n. 22931 del 26/09/2018, nonché la giurisprudenza ivi richiamata).
2.1.3 Più nel dettaglio, il contribuente deve provare «che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili; pertanto, in virtù della disposta inversione dell’onere della prova, grava sul contribuente l’onere di superare la suddetta presunzione (relativa) dimostrando la sussistenza di specifici costi e oneri deducibili, che dev’essere fondata su concreti elementi di prova e non già su presunzioni o affermazioni di carattere generale o sul mero richiamo all’equità» (Cass. 15161 del 16/07/2020; Cass. n. 16896 del 24/07/2014; Cass. n. 13035 del 24/07/2012; Cass. n. 25365 del 05/12/2007; Cass. n. 18016 del 09/09/2005).
2.1.4 A fronte della presunzione legale prevista dagli 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, la quale «non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici», la prova richiesta al contribuente è analitica, «con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze» (Cass. n. 13112 del 30/06/2020; Cass. n. 10480 del 03/05/2018; Cass. n. 11102 del 05/05/2017).
2.1.5 Al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, pertanto, non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (Cass. n. 4829 del 11/03/2015; Cass. n. 21303 del 18/09/2013).
2.1.6 In questo contesto, «a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturenti da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre, anche in caso di accertamento analitico-induttivo, eccepire l’incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati» (così Cass. n. 6874 del 08/03/2023, in applicazione dei principi derivanti da Corte cost. n. 10 del 31/01/2023, innovando rispetto al pregresso orientamento in materia).
2.1.7 Sotto altro profilo, «le verifiche fiscali finalizzate a provare, per presunzioni, la condotta evasiva possono anche indirizzarsi sui conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente, potendo desumersi la riferibilità a quest’ultimo da elementi sintomatici, quali: il rapporto di stretta familiarità, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta considerato, l’infedeltà delle dichiarazioni e l’esercizio di attività da parte del contribuente compatibile con la produzione della maggiore redditività riferita a dette persone» (Cass. n. 549 del 15/01/2020; si vedano, altresì, n. 428 del 14/01/2015; Cass. n. 20668 del 01/10/2014; Cass. n. 21420 del 30/11/2012; Cass. n. 26173 del 06/12/2011).
2.2 La sentenza impugnata non si è conformata ai superiori principi di diritto, operando un’applicazione errata dell’art. 32 del P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, che la richiama.
2.3 Invero, la CTR afferma erroneamente che i prelevamenti e i versamenti devono comunque essere superiori alle risultanze contabili per essere considerati sotto il profilo presuntivo, mentre è pacifico che gravi sul contribuente la prova specifica che quei prelevamenti e versamenti risultino in contabilità, a nulla valendo la circostanza che trattasi di contabilità semplificata.
2.3.1 Sotto questo profilo, le affermazioni contenute nella sentenza impugnata non reggono alla critica prospettata con il secondo motivo di ricorso.
2.4 Inoltre, con il quinto, il sesto e il settimo motivo AE censura efficacemente tre affermazioni della sentenza impugnata che vanno contro la previsione di legge, che richiede al contribuente una prova specifica e non generica in ordine alla giustificazione delle rimesse
2.5 Infine, l’ottavo motivo censura correttamente l’affermazione, generica e apodittica, della CTR per la quale sussisterebbe per talune operazioni l’indicazione dei percipienti e la giustificazione dell’operazione, facendosi, peraltro, riferimento ad una memoria di cui è contestata la stessa esistenza.
2.5.1 Trattasi all’evidenza di motivazione apparente, per come ritenuta dalla giurisprudenza di questa Corte («la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture»: così Cass. S.U. n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. n. 13977 del 23/05/2019).
3. Con il ricorso incidentale condizionato Mario Di Tria ripropone due motivi disattesi dalla CTR, evidentemente sotto il profilo della violazione di legge (profilo, peraltro, non specificato dal ricorrente incidentale).
3.1 Con il primo motivo si contesta l’illegittimità dell’accertamento per l’omessa allegazione della autorizzazione all’acquisizione dei conti correnti bancari della Direzione Regionale del Piemonte, che sarebbe stata concessa in data 13/03/2009.
3.2 Con il secondo motivo si deduce l’illegittimità dell’accertamento per la mancata sottoscrizione dello stesso da parte del Direttore Provinciale II di Torino e per la mancanza di una delega in favore di un impiegato della carriera direttiva.
4. Il primo motivo di ricorso incidentale è infondato.
4.1 Costituisce principio consolidato quello per il quale «La mancanza di autorizzazione alle indagini bancarie rende le stesse illegittime ove si sia tradotta in un concreto pregiudizio per il contribuente, in conformità alla concezione sostanzialistica dell’interesse del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo, espressa, in via generale, dall’art. 21 octies della n. 241 del 1990» (Cass. n. 9480 del 18/04/2018. In materia di IVA, si vedano Cass. n. 13353 del 28/05/2018; Cass. n. 22754 del 20/10/2020).
4.2 Orbene, nel caso di specie non solo il ricorrente incidentale non deduce il concreto pregiudizio derivante dalla eventuale mancanza dell’autorizzazione, ma è pacifico che l’autorizzazione ci sia, anche se la stessa non è stata prodotta dall’Amministrazione finanziaria.
4.3 Peraltro la mancata produzione dell’autorizzazione non costituisce un elemento decisivo ai fini dell’annullamento dell’atto impositivo, posto che «l’autorizzazione necessaria agli Uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perché in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, ma anche in quanto la medesima, nonostante il “nomen iuris” adottato, esplica una funzione organizzativa, incidente solo nei rapporti tra uffici, ed ha natura di atto meramente preparatorio, con la conseguenza che non è qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali è previsto, rispettivamente, dall’art. 3, comma 1, della n. 241 del 1990 e dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000, un obbligo di motivazione» (Cass. n. 19564 del 24/07/2018; conf. Cass. n. 14026 del 03/08/2012).
5. Il secondo motivo di ricorso incidentale è, invece, inammissibile.
5.1 Le contestazioni del contribuente in ordine ad una pretesa violazione di legge si infrangono contro l’accertamento in fatto del giudice di appello, che ha ritenuto la regolarità, sotto il profilo formale, della sottoscrizione dell’avviso di accertamento e la sussistenza della delega di firma.
6. In conclusione, vanno accolti il secondo, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti motivi e rigettato il ricorso incidentale.
6.1 La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
6.3. Poiché il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, il quinto, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso principale, assorbiti gli altri motivi, e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale del contributo unificato previsto per il ricorso incidentale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
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