Corte di Cassazione, ordinanza n. 17100 depositata il 15 giugno 2023
IMU – requisito soggettivo per l’esenzione – in tema di responsabilità processuale aggravata, l’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., nel disporre che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una «somma equitativamente determinata»
RILEVATO CHE
La società U. srl propone un articolato motivo di impugnazione avverso la sentenza indicata in epigrafe che, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto l’impugnativa avverso l’avviso di accertamento dallo stesso emessi in ragione del mancato versamento dell’IMU relativa all’annualità di imposta 2013 per un immobile di proprietà dell’ente locato al socio unico associazione locale del Grande Oriente d’Italia per lo svolgimento di attività culturale, assistenziale e ricreativa, escludendo che essa potesse godere dell’esenzione di cui all’art. 7, co. 1, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, in manca della diretta utilizzazione dell’immobile da parte del proprietario.
Il Comune di Siena resiste con controricorso e memorie ex art. 380-bis cod.proc.civ., insistendo sulla inammissibilità del ricorso per cassazione; ha depositato, inoltre, nota spese.
CONSIDERATO CHE
1. Con un unico motivo articolato in tre diverse rubriche si denuncia <la violazione degli 8 e 9, 14, comma 6, d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, nonché dell’art. 7, lett.i), d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504; l’omesso esame di fatto decisivo e contestato, la mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato- error in procedendo,- nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3,4 e 5, cod.proc.civ.>; assumendo che la sentenza sarebbe illogica ed ingiusta perché fondata sulla violazione di norme di diritto e viziata per omessa motivazione.
2. Sotto detta rubrica si denuncia: a) violazione della normativa in materia di Imu d.lgs. 23/2011 cit., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, la non applicabilità della normativa ICI con riferimento al citato art. 7.
Deduce l’ente che l’IMU rappresenta un tributo diverso dall’ICI e che le differenze strutturali tra le due discipline erano state prospettate nel giudizio di merito, ma non esaminate dal giudicante.
2.1 Sotto la lettera b), la ricorrente lamenta la violazione della normativa in materia di potere regolamentare del Comune, degli artt. 52 e 59 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, nonché dell’art. 15, comma 6, d.lgs. 23/2011 cit.; per avere la CTR confermato che il regolamento comunale esclude l’esenzione nelle ipotesi di utilizzo indiretto dell’immobile, sebbene l’art. 14 del d.lgs. 23/2011 sia stato modificato e sia stato soppresso il richiamo all’art. 59 del d.lgs. 446/1997 ovvero sia stato eliminato il riferimento giuridico che consente ai Comuni di prevedere come requisito applicativo dell’esenzione IMU l’obbligo di identità soggettiva tra proprietario ed utilizzatore.
2.2 Alla lettera C), si lamenta la violazione degli artt. 8 e 9 d.lgs. 23/2011, cit. in relazione alla identità soggettiva tra proprietario ed utilizzatore e < nozione di commercialità>; assumendo che la ratio dell’esenzione dell’IMU risiede nel favorire gli immobili in cui non venga svolta un’attività di lucro, mentre i giudici territoriali avrebbero applicato una norma – il citato art. 59 – ad una imposta (IMU) la cui disciplina non rimanda ad essa. Si obietta che sarebbe errata l’affermazione della C.T.R. laddove ha escluso l’applicabilità degli artt. 8 e 9 citati relativi ad immobili posseduti dallo stato o da altro ente tra cui non rientrano le società di capitali come l’U.. A tal fine obietta che l’associazione Grande Oriente d’Italia (conduttore dell’immobile di sua proprietà) svolge <attività di carattere ricreativo, assistenziale… e che il canone di locazione pattuito consente una redditività minima per non incorrere nel mancato superamento dei parametri previsti per le società di comodo>.
3. Le censure presentano profili di inammissibilità, per la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e n. 5, cod.proc.civ.., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod.proc.civ.., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse( Cass. del 23/10/2018, n. 26874; del 23.10.2018, n. 26790; Cass. del 10.10.2018, n. 11603; Cass. del 26/11/2021, n. 36881; Cass. del 09/12/2021, n. 39169). Si osserva che il ricorrente ha proposto, difatti, all’interno di motivo e poi sotto la censura rubricata con la lettera a) plurime censure diverse, affidando alla Corte il compito di individuare le censure per estrazione dalla confusa illustrazione del motivo.
8. In ogni caso, le censure, che si fondano sostanzialmente sulla difformità della disciplina IMU rispetto a quella che regola l’ICI, con conseguente esclusione della necessaria identità soggettiva tra proprietario e utilizzatore nonché sulla irrilevanza della disciplina regolamentare e sulla legittimità dell’esenzione invocata ex art. 9 d.lgs. 23/2011, sono destituite di fondamento.
9. Le due imposte presentano un regime normativo, quanto all’esenzione, formulato in termini leggermente differenti, il che tuttavia non ne ha impedito una uniforme interpretazione alla luce dei principi di diritto eurounitario, e segnatamente del divieto di aiuti di Stato stabilito dall’art. 107 del TFUE.
In materia, la giurisprudenza di questa Corte si è nel tempo consolidata nell’affermare che l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, in relazione ai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), presuppone la ricorrenza cumulativa sia del “requisito soggettivo” della natura non commerciale dell’ente, sia del requisito oggettivo della diretta destinazione dell’immobile allo svolgimento delle attività previste dal medesimo art. 7, tra cui rientrano quelle volte alla didattica e all’educazione, mentre resta irrilevante la successiva destinazione degli utili, eventualmente ricavati, al perseguimento di fini sociali o religiosi, siccome riguardante un momento successivo alla loro produzione, tale da non far venir meno l’eventuale carattere commerciale dell’attività. L’esenzione è compatibile con il divieto di aiuti di Stato, sancito dalla normativa unionale, soltanto qualora abbia ad oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica, e l’attività sia svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico (Cass. 7415/2009; 13970/2016; Cass. 22233/2019; Cass. 24044/2022; Cass.6795/2020).
9.1 Tanto premesso, si osserva che difetta, nella specie, il requisito soggettivo, non rientrando la società di capitali tra gli enti di cui all’art. 9 cit., il quale prevede:< Sono esenti dall’imposta municipale propria gli immobili posseduti dallo Stato, nonché’ gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti Si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall’articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h), ed i) del citato d.lgs. n. 504 del 1992, il quale a sua volta cita i soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, che esclude espressamente le società.
L’art. 7 del d.lgs. n. 504.92 reca, come evidente, una elencazione tassativa dei soggetti esenti dal ICI e una società di capitali, ancorché costituita da e con un ente pubblico non economico (Università) non può fruire dell’esenzione, non rientrando tra i soggetti esenti e non essendo possibile una interpretazione analogica della norma agevolativa, trattandosi di norma eccezionale. Ancorché gli immobili della società siano destinati a scopi istituzionali – circostanza questa non inferibile né dagli atti né dalla sentenza gravata – l’esenzione da IMU non può essere estesa anche ad una società di capitali, ancorché svolgente attività istituzionali, non essendo ciò previsto dalla norma (Cass. del 4.05.2016, n. 8869).
Inoltre, è l’articolo 9, comma 8, d.lgs. 23/2011 a disporre che si applica all’Imu l’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lett. i), d.lgs. 504/1992 recante disposizioni in materia di imposta comunale sugli immobili <destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222>. Tra le ipotesi di esenzione dall’imposta in esame vi è quella invocata dalla odierna ricorrente contenuta nell’art. 7, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 504 del 1992 (la quale, ex art. 9, comma 8, d.lgs. n. 23 del 2011 si applica anche all’IMU), ma <relativa agli immobili utilizzati da enti pubblici e privati diversi dalle società (ex art. 73 lett.c) d.P.R.
residenti nel territorio nazionale>, non aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive». Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’esenzione in parola esige la duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito (Cass. del 16. 06.2021, n. 17005).
Inoltre, diversamente da quanto dedotto dalla ricorrente, il presupposto per l’applicazione dell’IMU è il medesimo di quello previsto dall’ICI. L’art. 13, comma 2, d.l. 6 dicembre del 2011, n. 201 conv. in legge 22 dicembre 2011, n. 214 stabilisce, infatti, che l’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 504 del 1992, e pertanto di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa.
Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale (Cass del 21.06.2017, nr 15407; Cass. del 4 .03.2016, n. 4333; Cass. del 26/06/2014, n. 14583; Cass. del 04/06/2014, n. 12495; Cass. del 16/01/2015, n.695; Cass. del 7.02.2013, n 2925; Cass. dell’8.03.2013, n.5933) in materia fiscale le norme che stabiliscono esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione ai sensi dell’art 14 preleggi sicché non vi è spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati.
Sulla scorta di tale insegnamento questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha ripetutamente affermato, in materia di ICI, applicabile anche all’IMU, che « l’esenzione di cui al d.lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lettera (i) opera alla duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore – diverso dalla società – e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito, escludendo che il beneficio possa spettare in caso di utilizzazione indiretta, pur se assistita da finalità di pubblico interesse » ( cfr tra le tante Cass. S.U. del 26.11.2008, n. 28160, Cass. dell’11.05.2012, n. 7385, Cass. del 04/06/2014, n. 12495; Cass. del 01/02/2019, n. 3112; del 21/03/2019, n. 8073; Cass. del 5.4.2019, n. 9614).
In tema di imposta comunale sugli immobili, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992 spetta soltanto se l’immobile viene impiegato direttamente dall’ente possessore – diverso dalla società – per lo svolgimento di compiti istituzionali, sicché l’utilizzazione, in virtù di concessione o locazione, da parte di un soggetto diverso da quello a cui spetta l’esenzione preclude l’agevolazione, restandone esclusa, in radice, la destinazione allo svolgimento dei compiti istituzionali.
Il ricorso va dunque respinto, con aggravio di spese.
Ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. (quale introdotto dall’art. 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009, n. 69), la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso giustifica l’ulteriore condanna d’ufficio della soccombente al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata nell’importo corrispondente alla liquidazione delle spese giudiziali. Difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità processuale aggravata, l’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., nel disporre che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una «somma equitativamente determinata», non fissa alcun limite quantitativo per la condanna alle spese della parte soccombente, sicché il giudice, nel rispetto del criterio equitativo e del principio di ragionevolezza, può quantificare detta somma sulla base dell’importo delle spese processuali (di una loro frazione o di un loro multiplo) o anche del valore della controversia (tra le tante: Cass., Sez. 3^, 4 luglio 2019, n. 17902; Cass., Sez. 3^, 20 novembre 2020, n. 26435; Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2021, n. 31870; Cass., Sez. 3^, 26 gennaio 2022, n. 2347; Cass., Sez. 6^-3, 15 febbraio 2023, n. 4725).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alle spese del giudizio sostenute dal Comune che liquida in euro 1.800,00 per compensi, oltre 200,00 per rimborso spese, nonché rimborso forfettario ed accessori come per legge; condanna altresì la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod.proc.civ. al pagamento in favore del Comune di Siena della somma di € 3.600,00;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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