Corte di Cassazione ordinanza n. 17224 depositata il 18 agosto 2020
dirigente sanitario – inapplicabilità dellìart. 2103 c.c.
RILEVATO CHE
1. con sentenza 17 novembre 2014, la Corte d’appello di Reggio Calabria rigettava l’appello proposto da Carmelo Catanzariti, dirigente medico di II livello con mansione di direttore di struttura complessa (presso il Presidio Ospedaliero della Costa, comprendente gli ospedali di Palmi e Gioia Tauro) in base a contratto stipulato il 30 giugno 2000 con l’Azienda Sanitaria di Palmi per il periodo dal 1° luglio 2000 al 30 giugno 2005, avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva rigettato le domande nei confronti dell’Azienda Sanitaria Provinciale (A.S.P.) di Reggio Calabria di accertamento del demansionamento subito, di reintegrazione nelle precedenti mansioni e di condanna risarcitoria;
2. avverso tale sentenza il dirigente, con atto notificato il 15 (19) maggio 2015, ricorreva per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., mentre la A.S.P. di Reggio Calabria non svolgeva difese;
CONSIDERATO CHE
1. il ricorrente deduce violazione del combinato disposto degli artt. 2103 c.c. e 15, quinto comma d.Ig. 502/1992, per espressa previsione di conferimento dell’incarico o di attribuzione di un altro di pari rilievo all’esito positivo di una valutazione di professionalità del dirigente: come avvenuto, benché in ritardo, per la deliberazione in sanatoria (nel 2010) di rinnovo dell’incarico, sia pure per il solo Polo di Palmi, al ricorrente, che si duole della perdita di mansioni già affidategli “durante la vigenza” del contratto prorogato, con la conseguente applicabilità del regime di tutela previsto dall’art. 2103 c.c. (escluso per le sole fasi di affidamento e rinnovo dell’incarico), pur trattandosi di dirigente (primo motivo);
2. esso è infondato;
2.1. non ricorre, infatti, la violazione di legge denunciata, in assenza di una corretta deduzione del vizio, consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) e che postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso: sicché alla denuncia del vizio di sussunzione è estranea ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, in quanto esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (Cass. 13 marzo 2018, n. 6035); ed è noto che l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa sia esterna all’esatta interpretazione della norma, piuttosto inerendo alla tipica valutazione del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155);
2.2. non è stato poi confutato l’argomentato ragionamento della Corte territoriale, in ordine all’irrilevanza della proroga di fatto della scadenza contrattuale in assenza di un provvedimento dell’Azienda (come previsto dal contratto individuale), a fondamento decisorio della statuizione di esclusione del denunciato demansionamento, pertanto inesistente (per le ragioni in particolare esposte al terz’ultimo capoverso di pg. 2 e dal penultimo di pg. 3 al terzo di pg. 4 della sentenza): con la conseguente genericità del mezzo, in violazione del principio di specificità prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 26 settembre 2016, n. 18860);
2.3. per giunta, è stata per la prima volta prospettata nell’odierno giudizio di legittimità la circostanza di una deliberazione di rinnovo dell’incarico in sanatoria (nel 2010), di cui nemmeno la sentenza ha trattato, né il ricorrente allegato, come suo onere a pena di inammissibilità della censura per novità, l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, neppure avendo indicato in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28480; Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804);
2.4. peraltro, l’interpretazione di inapplicabilità dell’art. 2103 c.c., nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico nel settore sanitario, alla dirigenza sanitaria, siccome collocata in un ruolo unico ai sensi dell’art. 15 d.Ig. 502/1992, è corretta in quanto conforme all’insegnamento giurisprudenziale di legittimità consolidato (Cass. 1 ottobre 2008, n. 24373), anche per il fatto che la qualifica dirigenziale non esprime una posizione lavorativa caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale a ricoprire un incarico dirigenziale, ribadita per la dirigenza sanitaria, inserita in un unico ruolo distinto per profili professionali e in un unico livello, dall’art. 15-ter d.Ig. 502/1992 e dall’art. 28, sesto comma c.c.n.l. 8 giugno 2000 (Cass. 4 gennaio 2019, n. 91; Cass. 22 novembre 2019, n. 30575); occorrendo anche tenere conto del carattere, non già concorsuale, ma essenzialmente fiduciario della scelta di un professionista ad opera del direttore generale della ASL, nell’ambito di un elenco di soggetti ritenuti idonei da un’apposita commissione sulla base di requisiti di professionalità e capacità manageriali (Cass. s.u. 5 marzo 2008, n. 5920; Cass. s.u. 13 ottobre 2011, n. 21060; Cass. s.u. 9 maggio 2016, n. 9281);
3. il ricorrente deduce quindi violazione degli artt. 420 e 437 c.p.c. e difetto di motivazione, per omessa valutazione di prove e di fatti documentati e in particolare di uno fondamentale, quale la deliberazione del 24 marzo 2010 di rinnovo del contratto individuale del ricorrente dal 10 luglio 2005 al 30 luglio 2010 nella posizione di direttore della U.O. di Anestesia e Rianimazione del P.O. di Palmi, con evidente riflesso del rinnovo con efficacia ex tunc e pertanto tra il 2005 e il 2010 (secondo motivo);
4. esso è inammissibile;
4.1. premessa la non corretta denuncia dell’omesso esame della deliberazione di rinnovo dell’incarico (trattandosi piuttosto di una doglianza di omessa valutazione, esorbitante dall’ambito devolutivo del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.), non ne è stato osservato il paradigma deduttivo, in assenza di indicazione del “fatto storico” (neppure sussistente trattandosi di un documento, di cui nel giudizio di cassazione è preclusa la valutazione a fini istruttori: Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 14 luglio 2016, n. 14373), il cui esame sia stato omesso, del “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, del “come” e del “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”; fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498);
4.2. quanto al vizio di violazione di norme, il ricorrente si è limitato ad una mera enunciazione nella rubrica senza poi alcuno sviluppo in via argomentativa, riguardando esse, tra l’altro, l’ammissibilità di produzione non tempestiva della deliberazione (di cui il predetto ha laconicamente predicato essere stata “regolarmente depositata in giudizio dal ricorrente”: così al secondo e terzo alinea di pg. 7 del ricorso), in quanto non depositata, per impossibilità, al momento di proposizione del ricorso (così al secondo capoverso di pg. 3 dello stesso);
5. il ricorrente deduce infine omessa motivazione e violazione dell’art. 2103 c.c. e dei principi di buona fede e correttezza, in riferimento al profilo del danno (terzo motivo);
5.1. esso è assorbito dalla mancata trattazione della questione da parte della Corte territoriale, per la sua superfluità (al penultimo capoverso precedente il P.Q.M., a pg. 4 della sentenza);
6. pertanto il ricorso deve essere rigettato, senza assunzione di provvedimenti sulle spese del giudizio, non avendo la parte intimata vittoriosa svolto difese;
7. il contributo unificato deve essere raddoppiato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13 comma lquater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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