CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 18666 depositata il 3 luglio 2023
Lavoro subordinato – Pagamento differenze retributive – TFR – Conferimento di parte del TFR in un Fondo pensione – Contumacia – Principio di non contestazione – Mancanza di prova circa la sussistenza di un residuo credito lavorativo – Rigetto
Considerato che
1. la Corte d’Appello di Messina, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta da A.O. nei confronti di G.B., nella qualità di titolare della ditta E., già contumace in primo grado, volta ad ottenere la condanna al pagamento di differenze retributive, in relazione all’attività di lavoro subordinato prestata dal 1° marzo 1999 al 16 ottobre 2010, spettanze quantificate in euro 25.246,16, oltre accessori;
2. la Corte, premesso che nel ricorso introduttivo del giudizio venivano reclamate “differenze relative all’attività svolta dall’O. senza indicare l’orario lavorativo osservato e l’entità della retribuzione corrispostagli assumendo una generica differenza retributiva calcolata annualmente senza indicazione dei parametri contrattuali di riferimento”, ha ritenuto che “le circostanze successivamente dedotte dal B.” con l’atto di appello costituissero “mere difese” e, in quanto “dirette a negare l’esistenza dei fatti posti a fondamento della domanda”, che fossero ammissibili; per la Corte “il B. ha provato di avere adempiuto ai suoi obblighi retributivi corrispondendo le retribuzioni indicate in busta paga regolarmente quietanzate, di avere corrisposto le somme spettanti al lavoratore attraverso bonifici bancari che attestano l’avvenuto pagamento del TFR ed il conferimento di parte dello stesso TFR ad apposito fondo Pensione”; ha concluso che “la genericità delle deduzioni attoree e la mancanza di prova circa la sussistenza di un residuo credito da potere mettere in relazione a un rapporto lavorativo genericamente rappresentato in ricorso non consente di potere ritenere raggiunta alcuna prova a sostegno dell’originaria azione rivolta dall’O. nei confronti del B.”;
3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la parte soccombente con tre motivi; ha resistito con controricorso l’intimato;
entrambe le parti hanno comunicato memoria;
all’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni;
Ritenuto che
1. con il primo motivo di ricorso si denuncia: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, comma 1, c.p.c., 416 c.p.c., 2° e 3° comma, e 437, 2° comma c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c.”; si lamenta che la Corte d’Appello abbia “consentito al resistente di contestare, per la prima volta in appello, il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio e le risultanze probatorie del giudizio di primo grado nel quale esso resistente è rimasto contumace, facendo proprie dette contestazioni e ponendole alla base delle motivazioni della sentenza impugnata”; si contesta, in secondo luogo, che la Corte territoriale abbia dato ingresso a nuove produzioni documentali;
per il primo aspetto il motivo è infondato;
invero, il principio di non contestazione presuppone un comportamento concludente della parte costituita, sicché non è preclusa la contestazione, per la prima volta in appello, sia per la parte rimasta contumace che per quella costituitasi tardivamente in primo grado (tra le altre: Cass. n. 14623 del 2009; Cass. n. 4161 del 2014; Cass. n. 461 del 2015); l’art. 115 c.p.c. impone, infatti, al giudice di porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati “dalla parte costituita”; il principio di non contestazione, quindi, non viene esteso alla parte che non si è costituita: la contumacia esprime un silenzio non soggetto a valutazione, non vale a rendere non contestati i fatti allegati dall’altra parte, né altera la ripartizione degli oneri probatori tra le parti; in particolare, la contumacia del convenuto non esclude che l’attore debba fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio (da ultimo Cass. n. 42035 del 2021, che richiama Cass. SS.UU. n. 2951 del 2016);
2. la seconda censura contenuta nel primo motivo di ricorso, concernente l’acquisizione di documenti in grado d’appello, può essere esaminata unitamente al secondo mezzo di impugnazione, con cui si denuncia:
“Nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 345, 1° 2° e 3° comma e 437 2° comma c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”; si deduce che “la sentenza è nulla giacché non può consentirsi la produzione in appello di nuovi documenti, formatisi prima della proposizione della domanda di primo grado e non emergenti dal complessivo materiale probatorio acquisito agli atti del giudizio di primo grado”;
le censure, oltre l’inammissibilità derivante dalla mancata specifica indicazione del contenuto dei documenti sui quali si fonda il motivo (cfr. art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.) e per i quali si contesta l’acquisizione ad opera della Corte territoriale, non sono comunque meritevoli di accoglimento;
le doglianze, infatti, non si misurano adeguatamente con l’essenziale ratio decidendi della sentenza impugnata che – come ricordato nello storico della lite – riguarda “la genericità delle deduzioni attoree e la mancanza di prova circa la sussistenza di un residuo credito da potere mettere in relazione a un rapporto lavorativo genericamente rappresentato in ricorso” che ha indotto la Corte territoriale, in difetto di allegazione e prova delle pretese fatte valere con l’atto introduttivo del giudizio, a ritenere infondate le pretese attoree;
peraltro, la documentazione acquisita, per quanto si ricava dalla sentenza impugnata, riguardava pagamenti regolarmente effettuati dal datore di lavoro e parte ricorrente neanche specifica che tali versamenti riguardassero poste diverse da quelle oggetto della pretesa azionata;
3. col terzo motivo si denuncia: “Contraddittoria, illogica ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia e contestuale violazione e falsa applicazione dell’art. 414 n. 3) e 4), 416 comma 2 e 3, 164 comma 5 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 5) e n. 3)”; si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto “giustificabile la mancata costituzione in primo grado del resistente a motivo della genericità della domanda introduttiva quando, invece, il resistente ha ammesso di non essersi costituito per ‘non aver avuto contezza dell’atto’; dichiarazione in netto contrasto con le risultanze processuali”; ci si duole, poi, che “sulla più volte eccepita infondatezza, in fatto ed in diritto, delle eccezioni dell’appellante, sollevate per la prima volta in appello”, non vi sarebbe alcuna motivazione;
il motivo è inammissibile;
si evoca il vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., lamentando insufficienze motivazionali non più sindacabili nel vigore del testo nuovo della disposizione e senza neanche indicare il fatto storico decisivo, che avrebbe dato luogo alla controversia e di cui sarebbe stato omesso l’esame, bel oltre, quindi, i limiti di sindacato imposti dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014;
inoltre, si eccepisce la violazione di norme processuali, per pretesi errori di attività del giudice, che avrebbero dovuto essere denunciati nelle forme imposte dal n. 4 dell’art. 360 c.p.c., con esplicitazione delle ragioni idonee a determinare la nullità della sentenza;
4. conclusivamente il ricorso, nel suo complesso, deve essere respinto; le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per spese, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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