Corte di Cassazione ordinanza n. 18704 depositata il 10 giugno 2022

accertamento bancario – onere delle prova – irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento – divieto di doppia presunzione

Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento n. RC3030301030 per l’anno 2003 con cui l’Agenzia delle Entrate, contestava alla P. s.p.a. maggiori redditi in base ai versamenti e prelievi effettuati sui conti della società nonché per le movimentazioni bancarie in alcun modo giustificate sui conti dei soci legati da vincoli stretti di parentela.

Tale avviso era impugnato dalla società P. che deduceva il difetto di motivazione dell’avviso, la mancata allegazione della autorizzazione ad acquisire la documentazione bancaria, mancata prova circa l’attribuzione dei movimenti svolti sui conti dei soci alla società.

Si costituiva l’Agenzia delle Entrate chiedendone il rigetto.

La Ctp accoglieva il ricorso per l’omessa allegazione all’avviso della autorizzazione a svolgere indagini bancarie .

A seguito di appello della Agenzia delle Entrate, la CTR ( sent. Nr. 4128/39/14), sebbene ritenesse non necessaria la allegazione della autorizzazione, annullava l’accertamento ritenendolo infondato nel merito, mancando la prova che i conti dei soci fossero stati utilizzati per l’attività societaria.

Proponeva ricorso in Cassazione l’Agenzia delle Entrate, tramite l’Avvocatura dello Stato, affidandosi ad un unico motivo così sintetizzabile:

1)violazione e falsa applicazione dell’art. 32 co 1 n. 2 e 7 del DPR 600/1973 e dell’art. 51 del DPR 633/72 in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cpc.

Si costituiva la soc P. la quale deduceva il mancato conferimento del mandato alla avvocatura, la non autosufficienza del motivo dedotto, proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato riproponendo la questione dell’omessa allegazione della autorizzazione a svolgere indagine bancaria, e del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento.

Ragioni della decisione

Quanto alla censura sollevata dal controricorrente circa la mancanza di un mandato a favore della avvocatura dello Stato, da esaminare in via propedeutica attesa la sua efficacia dirimente, è infondata.

L’Agenzia delle Entrate ha personalità di diritto pubblico, ed a essa è stata trasferita la titolarità di tutti i rapporti giuridici inerenti all’accertamento delle imposte che non siano di competenza di altre Agenzie, per cui ai sensi del R.D. 30 ottobre 19:33, n. 1611, art. 43, ha la facoltà’ e non l’obbligo di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, ma ove si avvalga dell’Avvocatura dello Stato come nel caso (essendo noto che con il Protocollo d’intesa del 21.3.2001 l’Avvocatura è divenuta organo legale di rappresentanza in giudizio dell’Agenzia che ha rinunziato ad avvalersi per il periodo di validità di esso Protocollo di avvocati cassazionisti del libero foro) non è necessario che l’ente rilasci una specifica procura all’avvocatura medesima per il singolo giudizio, essendo applicabile anche a tale ipotesi la disposizione dell’art. 1, comma 2 del R.D. cit., secondo cui gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato. (Cass. SS.UU. 23020/05).

Con l’unico motivo il ricorrente si duole della affermazione della Ctr, secondo cui nelle ipotesi di indagini bancarie sui conti dei singoli soci, il vincolo familiare non è di per sé sufficiente per affermare la riferibilità di tali conti alla società occorrendo ulteriori prove, ritenendola errata, costituendo errore di diritto, essendo stato in tal modo invertito l’onere probatorio. In sintesi secondo la ricorrente Agenzia tale processo logico si pone in contrasto con la presunzione legale prevista dalla legge con l’art. 32 comma 1 punti 2 e 7 del dpr 600 / 73 e dell’art. 51 del dpr 633/1972.

Il motivo è fondato.

In tema di accertamento dell’imposta sui redditi, l’art. 32 del dpr 600/73, e l’art. 51, comma secondo, numero 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nel testo vigente “ratione temporis“), prevedono che gli Uffici finanziari, previa autorizzazione degli organi a ciò deputati, possano richiedere copia dei conti intrattenuti con il contribuente. Secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale (vedi Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26173 del 06/12/2011) la disciplina richiamata non prevede alcuna limitazione all’attività di indagine volta al contrasto dell’evasione fiscale, non limitando l’analisi ai soli conti correnti bancari e postali o ai libretti di deposito intestati esclusivamente al titolare dell’azienda. L’accesso ai conti intestati formalmente a terzi, e le verifiche finalizzate a provare per presunzioni la condotta evasiva e la riferibilità alla società delle somme movimentate sui conti intestati ai soci, ben possono essere giustificati da alcuni elementi sintomatici quali il rapporto di stretta contiguità familiare tra essi , incombendo in ogni caso sulla società contribuente la prova che le ingenti somme rinvenute sui conti dei soci della società a ristretta base familiare non siano ad essa riferibili.

Solo nel caso in cui il titolare del conto sia formalmente “terzo”, non legato in alcun modo apparente alla società sarà necessario, per l’Amministrazione, provare (anche in forza delle circostanze di cui sopra si è detto), che tal “terzietà” è solo apparente, fungendo il soggetto da mera testa di legno del contribuente.

In altri termini in ipotesi di società a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli sia dall’art. 32 Dpr 633/1973, che dall’art. 51, secondo comma, nn. 2 e 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, imputando alla medesima società le operazioni ivi riscontrate tenuto conto anche della    relazione di parentela che lega i singoli partecipanti alla ristretta base sociale, circostanza idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione degli interessi personali e societari, nonché ad identificare in concreto gli interessi economici perseguiti dalla società con quelli stessi dei soci, rimanendo comunque la possibilità per la società di dare la prova contraria. Tali legami familiari, proprio perché gli stessi hanno anche agito unitariamente sotto lo schermo sociale, costituiscono elementi indiziari che assumono consistenza di prova presuntiva legale, ove il soggetto formalmente titolare del conto non sia in grado di fornire indicazioni sulle somme prelevate o versate.

Nel caso la compagine sociale della società P. era costituita da persone legate da vincoli parentali (M.G., il coniuge L.C. , M.A. e dalla soc. V. che peraltro era strettamente collegata a M.V. suo procuratore). Tali soggetti (come si evince dall’avviso di accertamento riportato integralmente ai fini della autosufficienza del ricorso) non erano stati m grado di giustificare le movimentazioni bancarie indicate dall’Agenzia.

Né è pertinente invocare il divieto di doppia presunzione, alla luce del principio che Corte ha già affermato (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15003 del 16/06/2017) secondo cui “in tema di accertamenti fondati sulle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari, ai sensi degli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, l’onere del contribuente di giustificare la provenienza e la destinazione degli importi movimentati sui conti correnti intestati a soggetti per i quali è fondatamente ipotizzabile che abbiano messo il loro conto a sua disposizione non viola il principio “praesumptum de praesumpto non admittitur” (o il c.d. divieto di doppie presunzioni o divieto di presunzioni di secondo grado o a catena) sia perché tale principio è, in realtà, inesistente, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento, sia perché, anche qualora lo si volesse considerare esistente, esso atterrebbe esclusivamente alla correlazione di una presunzione semplice con un’altra presunzione semplice, ma non con una presunzione legale, sicché non ricorrerebbe nel caso di specie“.

Pertanto la Ctr non poteva addossare alla Agenzia di fornire la prova

che tali conti erano utilizzati dalla società , ma al contrario spettava ad essa società dimostrare che tali conti erano a lei estranei, tenendo conto della presunzione applicabile nel caso in esame. Non essendo stato correttamente applicato l’onere della prova come previsto dalla legge , determinandosi quindi una violazione di legge, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Ctr Lazio in diversa composizione che provvederà anche alle spese di questo grado di legittimità.

In ordine al ricorso incidentale condizionato proposto, il controricorrente deduce la nullità dell’accertamento non essendo stato allegato all’avviso di accertamento notificato l’autorizzazione a svolgere le indagini bancarie nonché il difetto di motivazione dell’accertamento.

Tali motivi sono infondati.

Per quanto riguarda la mancata allegazione della autorizzazione a svolgere indagini bancarie, addirittura questa Corte ha affermato che la mancanza della autorizzazione prevista dall’art. 51, secondo comma, n. 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 ,nonché, per le imposte dirette, dall’art. 32, comma 1, n. 7, d.P.R. n. 600 del 1973, ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente, non preclude l’utilizzabilità dei dati acquisiti, atteso che la detta autorizzazione attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il pnncipio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico».

Secondo un principio affermato da Cass. n. 27149 del 2011, «In materia tributaria, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi [in cui non rientra quello in esame] in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio».

A maggior ragione tali principi trovano applicazione nel caso concreto in cui l’autorizzazione esisteva ed indicata espressamente nell’avviso di accertamento, come riprodotto dal ricorrente incidentale a pagina 16, in cui era indicato la data della autorizzazione, il protocollo e la persona che l’aveva concessa.

Per quanto riguarda il difetto di motivazione, anch’esso è infondato. Per quello che qui interessa l’agenzia non solo ha specificato di aver effettuato la rimodulazione della pretesa fiscale in base ai movimenti bancari  dei soci, ma ha anche dato atto   che nella fase del contraddittorio antecedente, il contribuente non era stato in grado di indicare le ragioni dei movimenti bancari pressi in considerazione. Tale iter argomentativo appare più che sufficiente, soprattutto alla luce del principio sopra detto che l’onere della prova circa l’indifferenza di tali movimenti bancari rispetta alla pretesa fiscale spettava al contribuente –

Pertanto respinto il ricorso incidentale condizionato, ed accolto il ricorso principale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Ctr Lazio in diversa composizione che si atterrà ai principi sopra enunciati e provvederà anche sulle spese di questo grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTr del Lazio in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità .

Ai sensi dell’art. 13  comma 1 quater 115  del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.