Corte di Cassazione, ordinanza n. 19788 depositata l’ 11 luglio 2023
Avviso accertamento IMU – Abitazione principale – Residenza altrove dei familiari
Rilevato che:
1. La C.T.P. di Avellino accoglieva il ricorso proposto da S.M. e S.D., quali eredi di S.R., avverso l’avviso di accertamento per IMU 2014 e 2015, nonché TASI 2015, notificato al dante causa dal Comune di Cesinali in ordine ad un immobile sito in quel territorio. I ricorrenti avevano dedotto l’illegittimità di quell’avviso poiché il bene tassato era destinato ad abitazione principale di S.R., che pertanto, a loro dire, aveva diritto all’esenzione d’imposta ex art. 1 del d.l. n. 154/13 (conv. in legge n. 15/14), non ostandovi la residenza di altri componenti del nucleo familiare in altro Comune.
2. Sulla impugnazione del Comune, la CTR Campania rigettava il gravame, evidenziando che dalla documentazione in processo risultava effettivamente che il bene oggetto dell’avviso di accertamento di che trattasi costituiva la residenza anagrafica del defunto S.R., laddove non rilevava la diversa abitazione di familiari altrove, e ciò perché la residenza anagrafica può essere costituita anche in capo alla sola persona del titolare dell’immobile, in conformità del resto con quanto previsto dal comma 2 dell’art. 13 del l. n. 201/11 (conv. in legge n. 224/11), nonché precisato nella circolare del MEF n. 3D/F del 18.05.12.
3. Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Cesinali sulla base di due motivi. S.M. e S.D. non hanno svolto difese.
Considerato che:
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli 8, comma 2, d.lgs. n. 504 del 1992, e artt. 143 e 144 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., in quanto, erroneamente, a suo dire, i giudici d’appello avevano riconosciuto il diritto della contribuente ad usufruire dell’esenzione oggetto di controversia, benché nell’immobile oggetto di tassazione avesse fissato la residenza anagrafica e dimorasse solo il contribuente, mentre il coniuge era risultato pacificamente residente e dimorante in altro comune.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia il “vizio motivazionale, per travisamento della prova”, in relazione all’art. 360, comma 1, 5), c.p.c., in quanto erroneamente, a suo dire, i giudici d’appello, avevano riconosciuto il diritto della contribuente ad usufruire dell’esenzione oggetto di controversia, benché nell’immobile oggetto di tassazione avesse fissato la residenza anagrafica e dimorasse solo lo stesso contribuente, mentre il coniuge era risultato pacificamente residente e dimorante in altro comune.
3. I due motivi, da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi, sono infondati alla luce del recente intervento chiarificatore della Corte costituzionale con il quale la Consulta, accogliendo le questioni che aveva sollevato davanti a sé, ha dichiarato illegittimo l’articolo 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge 201/2011 là dove, parlando di «nucleo familiare», finisce per penalizzarlo, in contrasto con gli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione.
In particolare, con sentenza n. 209 del 13.10.2022, la Consulta ha stabilito quanto segue:
- nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile;
- in quest’ottica, l’illegittimità è stata estesa anche ad altre norme, in particolare a quelle che, per i componenti del nucleo familiare, limitano l’esenzione ad uno solo degli immobili siti nel medesimo comune (quinto periodo del comma 2 dell’articolo 13, Dl 201/2011) e che prevedono che essi optino per una sola agevolazione quando hanno residenze e dimore abituali diverse (comma 741, lettera b) della legge 160 del 2019, come modificato dall’articolo 5-decies del dl 146/2021);
- quest’ultima norma, ha precisato la Corte, è stata introdotta dal legislatore per reagire all’orientamento della giurisprudenza di legittimità: la Cassazione è infatti giunta «a negare ogni esenzione sull’abitazione principale se un componente del nucleo familiare risiede in un comune diverso da quello del possessore dell’immobile».
La Consulta ha chiarito che quest’ultimo orientamento è dipeso dal riferimento al nucleo familiare così come emerge dalla norma su cui la Corte si è autorimessa la questione di legittimità; ha poi precisato che in «un contesto come quello attuale», «caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale».
Pertanto, ai fini del riconoscimento dell’esenzione sulla «prima casa», non ritenere sufficiente – per ciascun coniuge o persona legata da unione civile – la residenza anagrafica e la dimora abituale in un determinato immobile, determina un’evidente discriminazione rispetto ai conviventi di fatto i quali, in presenza delle medesime condizioni, si vedono invece accordato, per ciascun rispettivo immobile, il suddetto beneficio.
La Corte ha dunque ristabilito il diritto all’esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone sposate o in unione civile e, però, ha ritenuto «opportuno chiarire» che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” ne possano usufruire. Da questo punto di vista, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale mirano a responsabilizzare «i comuni e le altre autorità preposte ad effettuare adeguati controlli», controlli che «la legislazione vigente consente in termini senz’altro efficaci».
Non avendo il Comune dedotto alcunché in ordine a tale ultimo profilo né avendo chiesto di essere a tal fine rimesso in termini alla luce della sopravvenienza, i motivi in esame non meritano accoglimento.
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento. Nessuna pronuncia deve essere adottata in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo gli intimati svolto difese.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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