La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19788 depositata l’ 11 luglio 2023, intervenendo in tema di esenzione IMU, alla luce della sentenza n. 209/2022 della Corte Costituzionale, ha ribaltato il precedente orientamento, ritenuto dalla Consulta incostituzionale, affermando che compete il diritto all’esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone sposate o in unione civile e, come chiarito dalla Consulta, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” ne possano usufruire. Fermo restando la dimostrazione dei requisiti della residenza e della dimora abituale, pertanto, compete l’esenzione IMU anche se i coniugi abitano in due immobili, ubicati nello stesso comune o in comuni diversi.
La vicenda ha riguardato un contribuente deceduto a cui il Comune notificava due avvisi di accertamento per IMU. Gli eredi del contribuente, avverso gli atti impositivi, proponevano ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale (oggi Corte di Giustizia Tributaria di primo grado). I giudici di primo grado accolsero le doglianze dei ricorrenti. Il Comune impugnava la decisione della CTP innanzi alla Commissione Tributaria Regionale (oggi Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado) rigettava il gravame, evidenziando che dalla documentazione in processo risultava effettivamente che il bene oggetto dell’avviso di accertamento di che trattasi costituiva la residenza anagrafica del defunto e non rilevava la diversa abitazione di familiari altrove, e ciò perché la residenza anagrafica può essere costituita anche in capo alla sola persona del titolare dell’immobile. Il Comune proponeva ricorso in cassazione, avverso la sentenza della CTR, fondato su due motivi.
Gli Ermellini alla luce della sentenza n. 209/2022 della Consulta respingono il ricorso del Comune.
I giudici di legittimità chiariscono l’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 209/2022. Si ricorda a tal proposito la massima di detta sentenza “… Nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile perché non si può penalizzare il nucleo familiare, coerentemente con il disposto degli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione. Infatti, in un contesto come quello attuale, caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale. Pertanto, ai fini del riconoscimento dell’esenzione sulla prima casa, non ritenere sufficiente, per ciascun coniuge o persona legata da unione civile, la residenza anagrafica e la dimora abituale in un determinato immobile, determina un’evidente discriminazione rispetto ai conviventi di fatto, i quali, in presenza delle medesime condizioni, si vedono invece accordato, per ciascun rispettivo immobile, il suddetto beneficio e, di conseguenza, risulta legittimo il diritto all’esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone sposate o in unione civile. …”
I giudici di piazza Cavour evidenziano che la Consulta ha statuito che “… ai fini del riconoscimento dell’esenzione sulla «prima casa», non ritenere sufficiente – per ciascun coniuge o persona legata da unione civile – la residenza anagrafica e la dimora abituale in un determinato immobile, determina un’evidente discriminazione rispetto ai conviventi di fatto i quali, in presenza delle medesime condizioni, si vedono invece accordato, per ciascun rispettivo immobile, il suddetto beneficio. …”
Per cui per i giudici di legittimità, nella sentenza n. 209/2022, “… La Corte ha dunque ristabilito il diritto all’esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone sposate o in unione civile e, però, ha ritenuto «opportuno chiarire» che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” ne possano usufruire. …”
Pertanto, per i giudici della Suprema Corte, i giudici costituzionali hanno avvertito anche la necessità di chiarire che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” ne possano usufruire”.
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