CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 20481 depositata il 17 luglio 2023
Lavoro – Indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro – Differenze a titolo di indennità di disoccupazione – Esatta quantificazione del credito contenuta in sentenza di condanna non definitiva – Titolo esecutivo o idonea prova scritta per ottenere il decreto ingiuntivo – Rigetto
Rilevato che
1. con sentenza 23 gennaio 2019, la Corte d’appello di Messina, ha rigettato l’appello di C. s.r.l. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua opposizione al decreto, con il quale l’ex dipendente A.B. le aveva ingiunto il pagamento, in proprio favore a titolo di indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 18, quarto comma legge n. 300/1970, della complessiva somma di € 77.836,19, sulla base di sentenza non definitiva di condanna generica del Tribunale di Patti;
2. essa ha condiviso il ragionamento decisorio del Tribunale, parimenti ritenendo l’idoneità probatoria, ai sensi dell’art. 634 c.p.c., della suddetta sentenza (sulla quale, nelle more del giudizio, si era formato il giudicato), siccome avente efficacia esecutiva, ancorché soltanto di condanna generica e l’esistenza di elementi tali da rendere agevolmente liquidabile, mediante una semplice operazione matematica, il credito ingiunto in pagamento, per la determinazione del parametro di calcolo (ultima retribuzione globale di fatto mensile, pari a € 1.071,11), mediante C.t.u. contabile esperita nel giudizio proseguito successivamente alla sentenza parziale (quindi, in sede giudiziale nel contraddittorio tra le parti senza contestazioni specifiche): non ricavabile dalla pronuncia di condanna generica e pertanto giustificante il ricorso al procedimento monitorio;
3. con atto notificato il 26 marzo 2019, la società ha proposto ricorso per cassazione con unico motivo, cui ha resistito il lavoratore con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., rinnovate dalle stesse per la nuova adunanza fissata;
4. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Considerato che
1. la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 633, 634 c.p.c., per l’inidoneità probatoria di una sentenza non definitiva di condanna generica, non ancora in giudicato all’atto del ricorso in via monitoria, relativa ad un credito illiquido, né di pronta liquidità, per la sua determinazione (non già in base ad una semplice operazione aritmetica, sibbene) in virtù di una C.t.u. contabile esperita in un giudizio connesso tra le stesse parti. Essa ha si è pure doluta della mancanza agli atti del fascicolo monitorio della formale dichiarazione del lavoratore di opzione per l’indennità sostitutiva in luogo della reintegrazione (unico motivo);
2. esso è infondato;
3. preliminarmente, deve essere affermata l’irrilevanza della doglianza di mancanza, agli atti del fascicolo monitorio, della formale dichiarazione del lavoratore di opzione per l’indennità sostitutiva in luogo della reintegrazione, avendone dato comunque atto la sentenza non definitiva alla base del decreto ingiuntivo, quale presupposto da essa accertato (come si ricava dalla sua trascrizione, in particolare al settimo capoverso di pg. 3 del ricorso);
4. la sentenza che dichiara le mensilità di retribuzione, secondo i criteri di cui all’art. 2121 c.c., per il periodo compreso fra la data del licenziamento stesso e quella dell’effettiva reintegra, deve essere parificata, quando non sia indicativa di un importo determinato o determinabile in base a semplice calcolo aritmetico, ad una pronuncia di condanna generica, con la conseguente eventuale necessità di un ulteriore giudizio per la liquidazione del quantum, quando insorga successivamente una controversia in ordine all’individuazione della retribuzione globale di fatto assunta dal quarto comma dell’art. 18 legge n. 300/1970 quale parametro del risarcimento (Cass. 30 novembre 2010, n. 24242; Cass. 12 novembre 2021, n. 33807, relativa a fattispecie di condanna del datore di lavoro a corrispondere al lavoratore l’indennità risarcitoria stabilita dal novellato testo dell’art. 18, quinto comma legge cit., parificabile – in assenza di indicazione di un importo determinato o determinabile in base a semplice calcolo aritmetico – ad una pronuncia di condanna generica).
Inoltre, la sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento, in favore del lavoratore, di un certo numero di mensilità, costituisce valido titolo esecutivo, che non richiede ulteriori interventi del giudice diretti all’esatta quantificazione del credito, solo se tale credito risulti da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla base dei dati contenuti nella sentenza; se invece la sentenza di condanna non consenta di determinare le pretese economiche del lavoratore in base al contenuto del titolo stesso, in quanto per la determinazione esatta dell’importo siano necessari elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge, o nel caso di sentenza di condanna generica, che rimandi ad un successivo giudizio la quantificazione del credito, la sentenza non costituisce idoneo titolo esecutivo ma è utilizzabile solo come idonea prova scritta per ottenere nei confronti del datore di lavoro un decreto ingiuntivo di pagamento per il credito fatto valere, il cui ammontare può essere provato con altri e diversi documenti (Cass. 1 giugno 2005, n. 11677; Cass. 2 aprile 2009, n. 8067, in specifico riferimento a sentenza di condanna dell’Inps al pagamento, in favore del creditore, delle differenze a titolo di indennità di disoccupazione: valido titolo esecutivo, se non richieda ulteriori interventi del giudice diretti all’esatta quantificazione del credito, risultante da operazioni meramente aritmetiche eseguibili sulla base dei dati in essa contenuti; utilizzabile solo come idonea prova scritta per ottenere, invece, idoneo titolo esecutivo, se dalla medesima sentenza di condanna non risultante il numero delle giornate non lavorate, di maturazione dell’indennità giornaliera, così da rendersi necessari per la determinazione esatta dell’importo elementi estranei al giudizio concluso e non predeterminati per legge);
4.1. occorre poi ribadire che la sentenza non definitiva (anche se non passata in giudicato) vincoli il giudice, sia in ordine alle questioni definite, sia a quelle che ne costituiscano il presupposto logico necessario, senza poter più risolvere le stesse questioni in senso diverso e, qualora lo faccia, il giudice di legittimità può rilevare d’ufficio tale violazione (Cass. 3 maggio 2012, n. 6689, in specifico riferimento a nullità della clausola del contratto di conto corrente di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, revoca del decreto ingiuntivo opposto e nomina, con separata ordinanza, di un consulente tecnico per la nuova determinazione delle somme spettanti alla banca: preclusiva per lo stesso giudice, in sede di sentenza definitiva, di un accertamento negativo del credito in capo a tale creditore; Cass. 5 ottobre 2020, n. 21258 e Cass. 23 giugno 2021, n. 17950: entrambe relative alla preclusione per lo stesso giudice, una volta che sia stata accertata con sentenza non definitiva l’esistenza di un inadempimento contrattuale e del conseguente danno, della possibilità, al momento della relativa liquidazione nella sentenza definitiva, di negare la sussistenza di tale danno per mancanza di prove);
4.2. è poi consolidato il principio, secondo cui l’opposizione a decreto ingiuntivo dia luogo ad un ordinario e autonomo giudizio di cognizione esteso all’esame, non solo delle condizioni di ammissibilità e validità del procedimento monitorio, ma anche della fondatezza della domanda del creditore in base a tutti gli elementi offerti dal medesimo e contrastati dall’ingiunto (Cass. 10 marzo 2009, n. 5754; Cass. 28 maggio 2019, n. 14486). Essa non costituisce, infatti, azione di impugnativa dell’ingiunzione emessa, ma un ordinario giudizio sulla domanda del creditore, che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, non quale giudizio autonomo, ma come fase ulteriore, anche se eventuale, del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo (Cass. s.u. 13 gennaio 2022, n. 927);
5. nel caso di specie, il Tribunale ha accertato (e la Corte d’appello confermato), in sede di giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, la ricorrenza degli elementi della fondatezza della domanda del creditore, in base alla sentenza non definitiva, ancorché non in giudicato (idonea, come detto, quale prova scritta al conseguimento del decreto ingiuntivo) ed alla C.t.u. esperita nel contraddittorio tra le parti, nella prosecuzione del giudizio successivamente alla sentenza non definitiva (come risulta dalla trascrizione della sentenza, in particolare dall’ultimo capoverso di pg. 9 al secondo di pg. 10 del ricorso);
6. dalle superiori argomentazioni discende il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza, con distrazione al difensore antistatario, secondo la sua richiesta e con raddoppio del contributo unificato per la ricorrente, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
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