Corte di Cassazione ordinanza n. 20626 del 28 giugno 2022
controlli automatizzato ex art. 36 bis – cartella di pagamento
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle Entrate emise cartella di pagamento ex 36-bis e 54-bis d.P.R. 1973, n. 600, nei confronti di G.G., con la quale recuperò l’importo che, nella dichiarazione dei redditi per l’anno 2002, era stato indicato al rigo RU075 (riporto credito anno precedente) quale credito di imposta relativo ad agevolazioni per investimenti in aree svantaggiate e che era stato indebitamente compensato, in quanto, nella dichiarazione antecedente per l’anno 2001, non era stato indicato un importo a credito per l’anno successivo.
Impugnato il predetto atto dal contribuente, la C.T.P. di Palermo, sezione distaccata di Messina, accolse il ricorso, annullando la cartella, con sentenza n. 544/11/2007, che impugnata dall’Ufficio, fu riformata dalla C.T.R. per la Sicilia che, in accoglimento dell’appello, confermò la cartella.
2. Contro la predetta sentenza G.G. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
In corso di giudizio, il contribuente ha proposto, in data 29/5/2019, domanda di definizione agevolata della controversia ai sensi degli artt. 6 e 7, comma 2, lett. b), e comma 3, d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, conv., con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, che è stata respinta dall’Agenzia delle Entrate con provvedimento, di cui alla nota del 20/7/2020.
Considerato che:
1. Col primo motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36-bis, secondo comma, P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con riferimento all’articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. ritenuto corretto sia l’avvenuto disconoscimento del credito di imposta scaturente da investimenti in aree svantaggiate ex art. 8 legge 8 legge 23 dicembre 2000, n. 388, mai contestato prima, ma evidenziato solo in appello, non essendosi l’Ufficio limitato a ridurre i crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione, sia l’omesso versamento dell’Iva, sanzioni pecuniarie e interessi, in ragione delle medesime ragioni, che avrebbero dovuto condurre all’emissione di un avviso di accertamento.
2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione e o falsa applicazione del combinato disposto degli 8 legge 23 dicembre 2000, n. 388, 53 Cost., 10, legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. violato dette norme, in quanto il credito di imposta disconosciuto scaturiva da investimenti eseguiti in aree svantaggiate ex art. 8, legge n. 388 del 2000, e aveva comportato costi che avrebbero dovuto essere riconosciuti, indipendentemente dalla sua mancata indicazione nella dichiarazione dell’anno precedente per mera dimenticanza.
3. Il primo motivo è parte inammissibile e parte infondato.
Se è vero, infatti, che in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, sia pure in modo differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto (in tal senso Cass., Sez. 5, 20/09/2017, n. 21804), e che tale motivazione, al pari di quanto accade per qualsiasi atto impositivo (Cass., Sez. 5, 13/05/2011, n. 10585), segna i confini del processo tributario, precludendo all’Ufficio, in sede processuale, di porre a base della propria pretesa ragioni diverse da quelle poste a base del predetto e di modificare nel corso del giudizio la motivazione dell’atto, è altrettanto vero che, ove si censuri la sentenza della Commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di una cartella di pagamento – la quale è atto amministrativo e non processuale – e dunque alla pretesa impositiva, il ricorrente, a pena di inammissibilità, deve trascrivere testualmente il contenuto dell’atto impugnato che assume erroneamente interpretato o pretermesso dal giudice di merito al fine di consentire alla Corte di cassazione la verifica della doglianza esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass., Sez. 5, 6/11/2019, n. 28570).
Non avendovi provveduto, deve ritenersi che il ricorrente abbia violato le prescrizioni di cui al n. 6 dell’art. 366 cod. proc. civ., il quale impone di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti sui quali il ricorso si fonda (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777), mediante la riproduzione diretta o indiretta del contenuto che sorregge la censura, precisando, in quest’ultimo caso, la parte del documento cui quest’ultima corrisponde (Cass., Sez. 5, 15/07/2015, n. 14784; Cass., Sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679) e i dati necessari all’individuazione della sua collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (vedi Cass., Sez. 5, 18/11/2015, n. 23575; Cass., Sez. 5, 15/01/2019, n. 777).
Del resto, i giudici di merito hanno giudicato in termini di chiarimenti le deduzioni difensive dell’Ufficio in sede di appello, senza in alcun modo rilevare la novità delle questioni sottoposte al suo esame rispetto ai contenuti del provvedimento impugnato, così giungendo alla conclusione che l’Amministrazione finanziaria avesse provveduto al recupero dell’importo indicato nella dichiarazione dei redditi al rigo RU 075 (riporto credito anno precedente) in ragione della mancata indicazione, nella dichiarazione dei redditi antecedente per l’anno 2001, di un importo a credito per l’anno successivo.
Tale argomentazione, peraltro, è del tutto coerente, nel merito, con i principi affermati da questa Corte in tema di controllo automatizzato, allorché si è sostenuto che l’art. 36-bis, comma 2, lett. e), d.P.R. n. 600 del 1973, legittimi il disconoscimento del credito di imposta, senza necessità di un previo avviso di recupero (Cass., Sez. 5-6, 20/2/2017, n. 4360), purché questo non derivi da un’attività accertativa o rettificativa, né implichi valutazioni, ma abbia carattere cartolare e sia effettuato sulla base di un riscontro obiettivo dei dati formali della dichiarazione dei redditi (Cass., Sez. 5, 16/11/2018, n. 29582), subordinando la legittimità del controllo automatizzato al carattere meramente cartolare e avalutativo del disconoscimento del credito d’imposta, come in caso di disconoscimento operato non per contestazione di merito, ma sul mero riscontro formale di una carenza della dichiarazione reddituale antecedente a quella esaminata, il cui quadro RU non facesse menzione dei crediti nondimeno utilizzati in compensazione (in tal senso Cass., Sez. 5, 16/11/2018, n. 29582).
Questi principi sono stati ulteriormente chiariti anche di recente, allorché, in un caso analogo a quello di specie, si è detto che, ai fini della legittimità dell’iscrizione a ruolo in conseguenza della previsione di cui all’art. 36-bis, comma 2, d.P.R. n. 600 del 1973, di un credito di imposta indicato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi, l’Ufficio è legittimato a verificare la correttezza della suddetta indicazione anche facendo riferimento alle dichiarazioni presentate dal contribuente negli anni precedenti, senza che tale verifica comporti un accertamento sostanziale, che presuppone valutazioni giuridiche o esame di atti non consentiti dalla procedura, sicché, fermo restando il potere dell’amministrazione finanziaria di controllare la correttezza delle dichiarazioni dei redditi presentate e di correggere eventuali errori materiali o di calcolo, l’emissione della cartella di pagamento a fini del recupero dell’imposta dovuta intanto è possibile, in quanto, in seguito alla verifica compiuta in sede di controllo automatizzato, l’amministrazione finanziaria accerti che, a causa di errori materiali o di calcolo, il contribuente ha illegittimamente utilizzato un credito di imposta, il quale viene a tradursi in un debito di quest’ultimo verso la prima, idoneo a legittimare la pretesa di recupero dell’importo, ma non anche quando, in caso di mancato utilizzo del credito di imposta, sia accertato che questo non era stato correttamente esposto, giacché, in tal caso, l’Amministrazione può solo procedere a rettifica dell’errore materiale o di calcolo, ma non emettere cartella di pagamento ai fini del recupero di un credito di imposta che, in quanto non utilizzato, non si è tradotto in un debito del contribuente nei suoi confronti (in questi termini, Cass., Sez. 5, 20/7/2021, n. 20643).
Alla stregua di questi principi, deve allora sostenersi la correttezza del giudizio espresso dalla C.T.R., non essendo stata la cartella emessa per contestare l’indebito utilizzo del credito di imposta, ma in seguito alla riscontrata mancata esposizione dello stesso nella precedente dichiarazione.
Sotto questo profilo, dunque, il motivo deve ritenersi infondato.
4. Il secondo motivo è, invece, inammissibile.
Le ragioni poste a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata devono, infatti, avere i caratteri non solo della specificità e della completezza, ma anche della riferibilità alla decisione stessa (Cass., Sez. 3, 2/8/2002, n. 11530), aspetti questi del tutto disattesi nella specie, avendo il ricorrente lamentato l’operato dell’Ufficio, senza in alcun modo esaminare le argomentazioni contenute nella sentenza, che non viene neppure citata se non genericamente.
5. In conclusione, dichiarata l’infondatezza del primo e l’inammissibilità del secondo, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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