Corte di Cassazione ordinanza n. 22172 depositata il 13 luglio 2022
motivazione totalmente mancante o meramente apparente – indicazione del responsabile del procedimento negli atti – credito di imposta per incremento occupazionale
Rilevato che:
il Centro operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate (d’ora in poi C.O.P.), con atto del 9 marzo 2009, revocò il credito di imposta per incremento occupazionale, già parzialmente riconosciuto nell’agosto 2008, alla E. s.r.l., rilevando che l’incremento occupazionale era avvenuto, mediante l’assunzione di due dipendenti, nello stesso mese di invio dell’istanza.
La Società impugnò l’avviso di recupero e l’adita Commissione tributaria di prima istanza accolse il ricorso.
La decisione, impugnata dall’Agenzia delle entrate, è stata riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale dell’Abbruzzo-sezione distaccata di Pescara (d’ora in poi C.T.R.) con la conferma dell’atto di revoca. Per la cassazione della sentenza la Società ha proposto ricorso per cassazione pendente innanzi a questa Corte.
A seguito di una seconda istanza di rinnovo per l’attribuzione del credito di imposta 2009 e 2010, presentata dalla Società il 14 aprile 2009, il COP riconobbe il 29 aprile 2009, il credito richiesto ma, con successiva comunicazione del 27 luglio 2009, ne dispose la revoca rilevando che, nell’istanza, non si era provveduto ad escludere gli importi non spettanti, come evidenziati nel precedente provvedimento del 9 marzo 2009.
Tale atto di revoca fu impugnato dalla Società dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale che accolse il ricorso. La decisione appellata dall’Agenzia delle entrate è stata riformata, con conferma dell’atto impugnato, dalla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo-sezione di Pescara con la sentenza indicata in epigrafe.
Il Giudice di appello, contrariamente al primo giudice, riteneva che la mancata indicazione del responsabile del procedimento costituisse una mera irregolarità formale che non inficiava di nullità il provvedimento. Confermava la legittimità dell’atto di revoca per avere il contribuente proposto l’istanza nello stesso mese di riferimento, mentre doveva essere presentata solo nel mese successivo e ribadiva trattarsi di una violazione sostanziale e non meramente formale in quanto, tra l’altro, il rispetto dei tempi della procedura era essenziale.
Per la cassazione della sentenza E. s.r.l. ha proposto ricorso su quattro motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art.380 bis-1 cod. proc. civ.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso -rubricato: nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art.7, comma secondo, lett.a della legge n.212/2000. denuncia ai sensi dell’art.360, n.3 cod.proc.civ. richiamato dall’art.62, primo comma, del lgs. n.546/92- la Società deduce l’errore perpetrato dal Giudice di merito nell’avere ritenuto legittimo l’atto impugnato malgrado nello stesso non fosse stato indicato il responsabile del procedimento.
1.1 La censura è infondata. La sentenza impugnata risulta in linea con i principi fissati in materia da questa Corte la quale ha reiteratamente statuito che l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000, a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le cartelle di pagamento dall’art. 36, comma 4-ter, del d.l. n. 248 del 2007, conv., con modif., dalla l. n. 31 del 2008, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008.(cfr. Cass. n. 11856 del 12/05/2017; id. Cass. n.13747 del 2013).
2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., la sentenza impugnata di nullità per violazione dell’art.132, secondo comma, cod. proc. civ. La ricorrente, premesso che aveva evidenziato l’illegittimità dell’atto di revoca impugnato in quanto avente come presupposto il precedente atto di revoca illegittimo, deduce che la motivazione resa dalla T.R., sull’illegittimità dell’atto presupposto ( e oggetto come si è detto di altro diverso giudizio) sarebbe apparente in quanto il giudice di appello si sarebbe limitato a riportare generiche affermazioni senza affrontare le questioni rimessegli dalle parti, quali, tra le altre, la violazione del principio di buona fede e del legittimo affidamento, essendo intervenuta la revoca avvenuta dopo ben otto mesi dalla precedente ammissione all’agevolazione.
3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 6, secondo comma, e 10 della legge n.212 del 2000 per avere la C.T.R. ritenuto legittimo l’atto di revoca malgrado lo stesso fosse fondato su un precedente avviso di revoca illegittimo in quanto adottato a distanza di otto mesi dalla precedente comunicazione di accoglimento e senza che il COP avesse , ai sensi dell’art.6 del D.M. del 12 marzo 2008, comunicato nei trenta giorni successivi alla ricezione dell’istanza l’inammissibilità del credito per un vizio formale.
4. Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.5, cod. prov. civ. e cioè che l’atto di revoca del credito di imposta impugnato era illegittimo in quanto illegittimo doveva ritenersi l’atto di revoca presupposti sui cui era fondato.
5. Le censure possono esaminarsi congiuntamente in quanto connesse e sono infondate.
5.1 Va, infatti, rigettato il secondo motivo. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. di recente Cass.n.7090 del 2022, Cass. n.22598 del 2018) l’obbligo di motivazione della sentenza riconducibile alla previsione di cui all’art.132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ. è violato quando la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero ancora risulti del tutto inidonea ad assolvere la funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Nessuna evenienza del genere ricorre nel caso in esame. La sentenza impugnata, sia pure in forma sintetica ha preso in considerazione le doglianze avanzate in sede di appello, indicando in modo stringato ma rispettoso dei canoni di sufficienza le ragioni per le quali non le ha ritenute persuasive con riferimento al recupero del credito di imposta.
5.2 Le ragioni sopra svolte comportano il rigetto anche del quarto motivo non evidenziandosi il dedotto omesso esame di un fatto decisivo, costituito dalla circostanza che l’avviso di recupero impugnato era illegittimo in quanto fondato su precedente avviso illegittimo. In disparte la considerazione che la dedotta illegittimità dell’avviso precedente non risulta definitivamente accertata essendo pendente dinnanzi a questa Corte il relativo giudizio (ricorso proposto dalla Società avverso sentenza della T.R. che, al contrario, ha ritenuto l’atto di recupero valido e legittimo), dalla motivazione della sentenza impugnata emerge l’infondatezza della censura laddove le questioni affrontate in sentenza (come riproposte con l’appello dalla Società) sono le medesime che la ricorrente ha posto a fondamento dell’impugnazione dell’originario avviso di recupero.
5.3 Egualmente da rigettare appare, infine, il terzo motivo di ricorso attinente sempre all’illegittimità “a cascata” dell’atto impugnato e fondato sulle asserite cause di illegittimità del precedente atto di recupero. Anche a prescindere dall’inammissibilità del mezzo di impugnazione meramente ripropositivo di quello avanzato nel diverso giudizio (rgn.23016/2014) e che non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, va, egualmente, esclusa la dedotta violazione di legge alla luce dei principi già espressi in materia da questa Corte, in fattispecie analoga alla presente, secondo cui <<In tema di diritti e garanzie del contribuente, l’omissione della prescritta comunicazione <dell’avvio del procedimento volto ad addivenire alla revoca del credito d’imposta di cui alla n. 449 del 1997 per incrementi occupazionali determina l’invalidità del provvedimento adottato, per violazione del principio generale di cui all’art. 7 della l. n. 241 del 1990, qualora, senza quella irregolarità e sulla base delle allegazioni del contribuente, il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso>> (cfr. Cass.n. 18450 del 21/09/2016).
6. Alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso va rigettato con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese, liquidate come in dispositivo sulla base del valore della controversia.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali liquidate in complessivi euro 2.500 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, del d.P.R. n.115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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