CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 23976 depositata il 7 agosto 2023
Professionista – Socio di due società – Corresponsione pensione anticipata di vecchiaia – Anzianità contributiva – Natura non commerciale delle attività svolte dalle due società
Rilevato che
La Corte d’appello di Venezia, a conferma della pronuncia del Tribunale di Padova, ha rigettato il gravame della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza in favore dei dottori commercialisti volto a sentir dichiarare legittimo il provvedimento di annullamento per incompatibilità del periodo di contribuzione 1993-2011 in capo a C. M., commercialista e socia di due società (“S. s.n.c. di M. & C”- ora “S. s.r.l.” – e “S. I. s.r.l.”); ha quindi riconosciuto il diritto della professionista alla corresponsione della pensione anticipata di vecchiaia, riscontrando il raggiungimento, in capo alla stessa, dell’anzianità contributiva, pari a 38 anni di avvenuti versamenti;
quanto alla natura delle due società, la Corte territoriale ne ha confermato il carattere non commerciale avendo accertato, sulla base dei dati documentali acquisiti al giudizio (visure catastali, dati contabili e altro), che l’attività sociale era limitata alla riscossione degli affitti relativi agli I. di proprietà delle stesse società;
accertata la natura non commerciale delle attività svolte dalle due società, e richiamate le disposizioni normative limitative in caso di contestuale esercizio della libera professione di commercialista e di attività d’impresa, la Corte d’appello ha escluso, nel caso in esame, la sussistenza di una qual si voglia incompatibilità tra le stesse;
ha, quindi, riconosciuto il diritto della professionista alla pensione anticipata di vecchiaia ritenendo provato in giudizio il raggiungimento dei 38 anni di anzianità contributiva, segnatamente conseguito attraverso la ricongiunzione di due anni di contributi INPS anteriori al 1974, successivamente trasferiti alla Cassa, previo esborso economico;
la cassazione della sentenza è domandata dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza in favore dei dottori commercialisti sulla base di due motivi;
C. M. ha depositato tempestivo controricorso;
all’Adunanza il Collegio si è riservato il termine di 60 giorni per il deposito dell’ordinanza (art. 380-bis.1, secondo comma cod. proc. civ.).
Considerato che
Il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 co.1, n. 3 cod. proc. civ., contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 4 del d.lgs. n. 139 del 2005, richiamato dal Regolamento di disciplina del regime previdenziale della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti”;
la ricorrente sostiene che, giusta il principio di prossimità della prova, corollario dell’art. 2697 cod. civ., l’unica parte titolata a fornire in giudizio elementi certi dell’incompatibilità avrebbe dovuto essere l’odierna controricorrente, mentre la Corte territoriale avrebbe erroneamente gravato la Cassa del relativo onere probatorio;
il secondo motivo, ancora formulato ai sensi dell’art. 360 co.1, n. 3 cod. proc. civ., denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 139 del 2005, richiamato dall’art. 7 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti”; parte ricorrente prospetta la violazione delle norme di legge in punto di “prevalenza” attribuita dal giudice dell’appello all’attività di mera gestione in presenza di una sia pur limitata attività commerciale; afferma che l’art. 4 del d.lgs. n. 139 del 2005 sancirebbe in ogni caso l’incompatibilità, anche quando la società svolge attività d’impresa in misura non prevalente;
i due motivi, da esaminarsi congiuntamente per evidente connessione, sono inammissibili;
essi chiedono una rivalutazione dei fatti di causa sui quali la Corte d’appello ha speso un accertamento istruttorio, insindacabile in questa sede, attraverso cui – e per ciascuna delle due realtà societarie (S. s.r.l. e S. I. s.r.l.) – ha qualificato la natura dell’attività svolta come mera gestione; in particolare, la critica circa il rilievo attribuito dalla Corte d’appello alla prevalenza o meno dell’attività commerciale oggetto di accertamento appare inconferente, atteso che il giudice del merito ha espresso un giudizio complessivo sull’attività svolta dalle due società, qualificandola, sulla base dell’art. 4, come di natura non imprenditoriale, avendo accertato che essa era limitata alla gestione patrimoniale, di godimento e conservativa degli immobili di proprietà;
le prospettazioni della ricorrente deducono, perciò, solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito;
va pertanto applicato, nel caso in esame, il costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (ex plurimis, cfr. Cass. n.18721 del 2018; Cass. n.8758 del 2017);
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 8.000,00 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della l. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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