CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 24352 depositata il 10 agosto 2023
Tributi – IRPEF, IRAP e IVA – Differenza tra incassi ed esborsi – Cessione del ramo di azienda – Accertamenti bancari – Presunzione di cui al D.P.R. n. 600/1973, art. 32, comma 1, n. 2 – Presunzione legale “juris tantum” – Onere di dimostrazione della provenienza dei singoli versamenti a carico del contribuente – Collegamento con le specifiche operazioni bancarie contestate – Motivazione apparente – Accoglimento
Rilevato che
– l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, propone ricorso, affidato a un motivo, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, aveva rigettato l’appello proposto nei confronti di D.S.E. avverso la sentenza n. 175/13/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Messina che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti avverso 1) l’avviso di accertamento con il quale, a seguito di indagini bancarie, era stato contestato maggior reddito imponibile, per l’anno 2007 ai fini Irpef, Irap e Iva; 2) la cartella di pagamento emessa a seguito di iscrizione a ruolo a titolo provvisorio delle somme dovute in forza dell’avviso di accertamento;
– in punto di diritto, la CTR, per quanto di interesse, ha affermato che: premessa la contestazione da parte dell’Ufficio, a seguito di indagini finanziarie, di versamenti e prelevamenti non giustificati, pari a Euro 33.442,12 costituiti dalla differenza tra incassi ed esborsi, le giustificazioni addotte dal contribuente in sede di accertamento – per i versamenti – consistevano nel riferimento delle somme in parte ad incassi conseguiti con l’attività esercitata e in parte ad una cessione del ramo di azienda; in particolare, il contribuente aveva documentato, tramite deposito del relativo contratto e degli assegni circolari ricevuti per complessivi Euro 30.000,00, l’avvenuta cessione del ramo di azienda, costituita dalla pizzeria-rosticceria a tale C.F.; tale evidenza analitica non per massa copriva quasi per intero e giustificava i movimenti bancari oggetto di contestazione;
– il contribuente è rimasto intimato.
Considerato che
– con l’unico motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 32 comma 1, n. 2, del d.p.r. n. 633 del 1972, art. 51 nonché in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 36 comma 2, n. 4 e art. 132 c.p.c. per avere la CTR, incorrendo anche in una motivazione apparente, ritenuto superata la presunzione legale d.p.r. n. 600 del 1973, ex art. 32 in base a delle giustificazioni delle somme contestate “per massa” fondate su un generico richiamo all’attività esercitata nonché ad assegni circolari senza alcun specifico riferimento all’ammontare di ciascuno di essi e senza effettuare alcun collegamento alle specifiche operazioni bancarie contestate;
– il motivo – che si articola in due sub censure – è fondato;
va ricordato, in tema di onere della prova e di verifica giudiziale in materia di accertamenti bancari, il consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui la presunzione di cui al d.p.r. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, dettata in materia di imposte sui redditi (secondo la quale i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), omologa a quella stabilita dal d.p.r. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, in materia di IVA, consente di riferire a redditi (e, nel secondo caso, a ricavi) imponibili, conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli “accrediti” (e, per le sole attività imprenditoriali, anche gli “addebiti”) come ricavi; trattasi di presunzione legale “juris tantum” che consente di considerare come ricavo riconducibile all’attività professionale o imprenditoriale del contribuente qualsiasi accredito riscontrato sul conto corrente del medesimo (ed anche a quello dei congiunti, in presenza di chiari elementi sintomatici di riferibilità allo stesso dei conti di questi ultimi), e comportante l’inversione dell’onere della prova, spettando a quest’ultimo di superare detta presunzione offrendo la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti (e gli addebiti) registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che venga indicato e dimostrato dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (arg. da Cass. n. 26111 del 2015 e n. 21800 del 2017; conf. Cass. n. 5152, n. 5153, n. 19807 e n. 19806 del 2017, n. 18065, n. 18066, n. 18067, n. 16686, n. 16699, n. 16697, n. 11776, n. 6093 del 2016; Sez. 6-5, ord. n. 7453, n. 9078 e n. 19029 del 2016); con specifico riferimento al contenuto dell’onere probatorio gravante sul contribuente si è affermato che questi ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014) ed il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. 21800 del 2017; Cass. n. 23429 del 2022). Orbene, a tali principi non si è attenuta la CTR che ha, peraltro, reso una motivazione meramente apparente (cfr. Cass., sez. Un., sentenza n. 8053 del 7/04/2014; Cass., sez. Un., n. 22232 del 2016; Cass. n. 5331 del 2019 e n. 21801 del 2019), ben al di sotto del minimo costituzionale (art. 111 Cost.), limitandosi ad affermare – a fronte della contestazione dell’Ufficio che aveva ritenuto non giustificati versamenti e prelevamenti per complessivi Euro 33.442,12 costituiti dalla differenza tra incassi ed esborsi – che “le giustificazioni svolte in sede di accertamento, per i versamenti, consistevano nel riferimento delle somme in parte agli incassi conseguiti con l’attività esercitata e in parte ad una cessione del ramo di azienda” e che “il contribuente aveva documentato tramite deposito del relativo contratto in data 2.7.2007 e degli assegni circolari ricevuti per complessivi Euro 30.000,00 l’avvenuta cessione da parte sua a tale C.F. del ramo di azienda costituito dalla pizzeria-rosticceria. Tale evidenza analitica e non per massa copriva quasi per intero i movimenti bancari oggetto di contestazione”; invero, il generico richiamo – peraltro con riferimento ai soli versamenti – ad “incassi conseguiti per l’attività esercitata” e ad “assegni circolari ricevuti per complessivi 30.000,00” in relazione alla cessione di ramo di azienda, senza specificare l’ammontare dei singoli incassi né di ciascuno degli assegni circolari e, tantomeno, senza effettuare alcun collegamento con le specifiche operazioni bancarie contestate, non solo viola i principi in tema di onere probatorio a carico del contribuente per superare la presunzione legale ex art. 32 cit. ma si risolve anche in una motivazione apparente non avendo il giudice di appello disvelato l’effettivo ragionamento logico-giuridico seguito per la formazione del proprio convincimento;
– in conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione.
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