CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 24751 depositata il 17 agosto 2023
Lavoro – Indennità di mobilità – Assegno ordinario invalidità – Non cumulabilità trattamenti – Accoglimento
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 26.10.2017, la Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva condannato l’INPS a corrispondere a B.P. l’indennità di mobilità in unica soluzione, di cui all’art. 7, comma 5, l. n. 223/1991, previa detrazione dei ratei di assegno ordinario d’invalidità maturati nel medesimo periodo e con essa incompatibili;
che avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura, successivamente illustrato con memoria;
che B.P. ha resistito con controricorso;
che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 10.5.2023, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380-bis.1, comma 2°, c.p.c.);
Considerato in diritto
che, con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 7, d.l. n. 148/1993 (conv. con l. n. 236/1993), così come modificato e integrato dall’art. 2, comma 5, d.l. n. 299/1994 (conv. con l. n. 451/1994), in relazione all’art. 1287 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che l’odierna controricorrente potesse esercitare l’opzione per l’indennità di mobilità, in luogo dell’assegno ordinario d’invalidità di cui era già beneficiaria, anche oltre il termine dell’iscrizione nelle liste di mobilità, senza considerare il disposto dell’art. 1287 comma 2° c.c., che, per il caso di obbligazioni alternative, onera il creditore di esercitare la scelta “nel termine stabilito”;
che, al riguardo, questa Corte ha da tempo chiarito che il divieto di cumulo dei trattamenti di disoccupazione con i trattamenti pensionistici a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, introdotto dall’art. 6, comma 7, d.l. n. 148/1993, si estende anche all’assegno ordinario di invalidità, in ragione della sua natura di trattamento pensionistico (così già Cass. nn. 5544 e 8239 del 2010, 9808 del 2012 e 8634 del 2014);
che il regime della non cumulabilità di tali trattamenti è stato poi temperato dalla facoltà di opzione introdotta dall’art. 2, comma 5, d.l. n. 299/1994, secondo cui “all’atto dell’iscrizione nelle liste di mobilità, i lavoratori che fruiscono dell’assegno o della pensione di invalidità devono optare tra tali trattamenti e quello di mobilità”; che, sebbene la norma dinanzi cit. non preveda espressamente le conseguenze del mancato esercizio dell’opzione nel termine anzidetto, esse sono agevolmente ricavabili dall’art. 1287 comma 2° c.c., che stabilisce in forma generale per tutte le obbligazioni alternative le conseguenze del mancato esercizio della facoltà di scelta del creditore “nel termine stabilito”, prevedendo la decadenza dalla facoltà di scelta e il suo passaggio al debitore;
che, pur non potendo nel caso di specie aversi alcun passaggio della facoltà di scelta al debitore, trattandosi di obbligazioni pubbliche in cui il comportamento dell’ente previdenziale è interamente assoggettato alla volontà di legge, non appare pertanto condivisibile l’affermazione dei giudici territoriali secondo cui, essendo la previsione dell’art. 2, comma 5, cit., sprovvista di sanzione, l’opzione tra i due trattamenti potrebbe essere esercitata in ogni tempo, dovendo per contro ritenersi che l’opzione vada esercitata all’atto dell’iscrizione nelle liste di mobilità a pena di decadenza;
che, dovendo conseguentemente accogliersi il motivo di censura, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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