CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 24870 depositata il 21 agosto 2023
Tributi – Indebito utilizzo credito d’imposta – Investimenti effettuati in area svantaggiata – Azienda in bonis – Legge n. 388/2000, art. 8 comma 1 – Immobili strumentali locati a terzi – Opzione d’acquisto mai esercitato – Avviso di recupero – Vizio della motivazione – Divieto di domande nuove – Accoglimento
Rilevato che
Dal ricorso si evince che alla (…) s.r.l., all’epoca in bonis, fu contestato per l’anno (…) l’indebito utilizzo del credito d’imposta, ottenuto per investimenti effettuati in area svantaggiata, ai sensi della l. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8.
Dal processo verbale di constatazione, redatto dai militari della GdF, emergeva che nell’opificio interessato dall’investimento l’attività era svolta dalla società C.T.M. in luogo della titolare del beneficio, (…) s.r.l. L’avviso di recupero, notificato dall’Agenzia delle entrate, fu motivato riportando quanto emergente nel pvc, ossia che con due distinti contratti la società avrebbe noleggiato le attrezzature e concesso in locazione il complesso immobiliare, attività ritenuta dall’ufficio dispositiva dei beni e vietata dalla disciplina agevolatrice.
La società adì la Commissione tributaria provinciale di Benevento, che con sentenza n. 1246/02/2014 ne accolte le ragioni, annullando l’atto di recupero. L’appello proposto dall’Agenzia delle entrate fu invece accolto dalla Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza n. 10837/47/2015, ora oggetto d’impugnazione.
Il giudice regionale ha ritenuto che i contratti di locazione dissimulassero veri e propri atti di cessione dei beni, ricostruzione non disattesa dalla contribuente, così che l’avviso di recupero dei crediti agevolati era da intendersi legittimo e corretto, in relazione a quanto previsto dalla L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7.
La contribuente ha censurato la pronuncia con cinque motivi. L’Agenzia delle entrate ha irritualmente depositato un cd. “atto di costituzione”, al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
Nell’adunanza camerale del 25 gennaio 2023 la causa è stata trattata e decisa.
Considerato che
la ricorrente ha denunciato:
con il primo motivo la violazione e falsa applicazione del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42 della l. n. 212 del 2000, art. 7 degli art. 2729 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché, nel qualificare gli atti negoziali di noleggio e di locazione dei beni aziendali, intercorsi tra la contribuente e la C.T.M., come negozi dissimulanti una cessione dell’azienda e dei beni acquistati con credito d’imposta, ha di fatto sostituito la motivazione su cui era stato fondato l’atto di recupero;
con il secondo motivo la violazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver fondato la decisione su di un fatto nuovo, illegittimamente introdotto nel processo, quale la simulazione dei contratti di locazione, estranea al thema decidendum;
con il terzo motivo, in via gradata al secondo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, quanto all’erronea applicazione delle regole sulla prova presuntiva, in ordine alla qualificazione simulatoria dei contratti di affitto, dissimulanti la cessione dei beni ricadenti nel patrimonio aziendale;
con il quarto motivo la violazione degli artt. 1362 c.c. e art. 12 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, quanto all’erronea qualificazione degli atti negoziali posti in essere tra le parti, quale cessione e non locazione dei beni, così peraltro qualificati nel medesimo atto di recupero;
con il quinto motivo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quanto al mancato apprezzamento del mancato esercizio dell’opzione di acquisto dei beni.
I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché, pur sotto la diversa prospettiva dell’errore di interpretazione di norme giuridiche sostanziali e di norme processuali, denunciano l’erroneità del ragionamento con cui il giudice dell’appello ha ritenuto corretto l’atto di recupero notificato alla contribuente, sono fondati.
Deve innanzitutto chiarirsi che la l. n. 388 del 2000, art. 8 comma 1 prevede che “Alle imprese che operano nei settori delle attività estrattive e manifatturiere, dei servizi, del turismo, del commercio, delle costruzioni, della produzione e distribuzione di energia elettrica, vapore ed acqua calda, della pesca e dell’acquacoltura della trasformazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura di cui all’allegato I del Trattato che istituisce la Comunità Europea, e successive modificazioni, che (…) effettuano nuovi investimenti nelle aree ammissibili alle deroghe previste dall’art. 87, paragrafo 3, lettere a) e c), del citato Trattato, individuate dalla Carta italiana degli aiuti a finalità regionale per il periodo 2000-2006, è attribuito un contributo nella forma di credito di imposta nei limiti massimi di spesa (….)”. Il comma 7 prescrive peraltro che “Se i beni oggetto dell’agevolazione non entrano in funzione entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello della loro acquisizione o ultimazione, il credito d’imposta è rideterminato escludendo dagli investimenti agevolati il costo dei beni non entrati in funzione. Se entro il quinto periodo d’imposta successivo a quello nel quale sono entrati in funzione i beni sono dismessi, ceduti a terzi, destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero destinati a strutture produttive diverse da quelle che hanno dato diritto all’agevolazione, il credito d’imposta è rideterminato escludendo dagli investimenti agevolati il costo dei beni anzidetti; se nel periodo di imposta in cui si verifica una delle predette ipotesi vengono acquisiti beni della stessa categoria di quelli agevolati, il credito d’imposta è rideterminato escludendo il costo non ammortizzato degli investimenti agevolati per la parte che eccede i costi delle nuove acquisizioni. Per i beni acquisiti in locazione finanziaria le disposizioni precedenti si applicano anche se non viene esercitato il riscatto. Il minore credito d’imposta che deriva dall’applicazione del presente comma è versato entro il termine per il versamento a saldo dell’imposta sui redditi dovuta per il periodo d’imposta in cui si verificano le ipotesi ivi indicate”.
Infine, in ordine al comma da ultimo richiamato, il d.l. 30 dicembre 2005, n. 203, art. 7 comma 1-bis, convertito con modificazioni dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248, ha disposto che “La disposizione di cui alla l. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8 comma 7, secondo periodo si interpreta nel senso che gli immobili strumentali per natura, ai sensi dell’art. 43, comma 2, secondo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, i quali costituiscono un complesso immobiliare unitario polifunzionale destinato allo svolgimento di attività commerciale, qualora siano locati a terzi, non si intendono destinati a struttura produttiva diversa, a condizione che gli stessi vengano destinati allo svolgimento di attività d’impresa ai sensi dell’art. 55 del citato testo unico”.
Ebbene, risulta intanto non controverso che il credito d’imposta riconosciuto alla contribuente afferisse a macchinari compresi nel complesso di beni che la (…) s.r.l., ora in fallimento, aveva ceduto in locazione alla C.T.M.. Ciò con due contratti, che prevedevano anche una opzione d’acquisto, che tuttavia all’11.11.2014, ossia oltre un quinquennio dalla data di realizzazione del piano d’investimento, e comunque oltre il termine ultimo concordato dalle parti, non era stato mai esercitato (cfr. motivazione della sentenza di primo grado). D’altronde, come riportato nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza, con l’atto di recupero l’amministrazione finanziaria aveva contestato il “fitto d’azienda”, ritenendo, peraltro erroneamente -come desumibile dalla norma interpretativa introdotta con il d.l. n. 203 del 2005 cit.- che esso rientrasse nelle ipotesi sanzionate con la revoca dell’agevolazione, ai sensi del D.L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7 (ndr L. n. 388 del 2000, art. 8, comma 7).
Ebbene, a fronte del dato normativo applicabile, dei fatti accertati, e soprattutto della specifica contestazione sollevata dall’ufficio nella motivazione dell’atto impugnato, il giudice regionale, nell’accogliere l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, soccombente in primo grado, ha riconosciuto la legittimità e correttezza dell’avviso di recupero, affermando che gli atti negoziali intervenuti tra la contribuente e la C.T.M., sotto l’apparenza della locazione, celassero la cessione dei medesimi.
Si tratta di una motivazione doppiamente viziata.
Viziata dalla circostanza che con essa il giudice regionale ha sostituito la motivazione contenuta nell’atto di recupero, e in forza della quale l’ufficio, constatando il fitto dell’azienda, aveva ritenuto che tale atto negoziale rientrasse nella fattispecie prevista e sanzionata con la revoca delle agevolazioni ex art. 8, comma 7, del D.L. n. 388 (ndr art. 8, comma 7, della L. n. 388) cit.
Viziata inoltre perché, se è vero che in sede d’appello l’Agenzia delle entrate aveva modificato le ragioni delle contestazioni elevate nei confronti della società, ciò non le era permesso né il giudice poteva consentirlo. Infatti, nel contenzioso tributario, il divieto di domande nuove previsto al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 comma 1, trova applicazione anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, alla quale non è consentito, innanzi al giudice d’appello, mutare i termini della contestazione, deducendo motivi diversi, sotto il profilo del fondamento giustificativo, da quelli contenuti nell’atto impositivo (cfr. Cass. 7 maggio 2014, n. 9810; 10 maggio 2019, n. 12467; 26 febbraio 2020, n. 5160). Tanto trova presidio nella l. n. 212 del 2000, art. 7.
Il giudice regionale, nel decidere sulla controversia, ha dunque errato tanto sul piano delle regole sostanziali, quanto su quello delle regole processuali.
L’accoglimento dei primi due motivi assorbe gli altri.
La sentenza va dunque cassata e il processo va rinviato dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, che, oltre a liquidare le spese del giudizio di legittimità, dovrà decidere della controversia, tenendo conto dei principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo, assorbiti gli altri; cassa la decisione e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Campania, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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