Corte di Cassazione ordinanza n. 25224 depositata il 24 agosto 2022
Plusvalenza – determinazione
RITENUTO CHE
C.R. e Z.C. (deceduta nel corso del giudizio) impugnarono gli avvisi di accertamento con i quali era stata accertata una plusvalenza tassabile ai fini Irpef derivante dalla cessione a titolo oneroso di due lotti di terreno edificabile siti in comune di Rimini, località Cignani, il primo, località Miramare, il secondo, e la Commissione tributaria provinciale di Milano accolse i ricorsi dei contribuenti con decisione confermata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia che respinse l’appello erariale, così ribadendo la illegittimità dell’avviso di accertamento determinativo di una plusvalenza – per le quote rispettive di comproprietà di ciascuno dei due contribuenti.
La sentenza, a seguito di ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate, venne cassata dalla Suprema Corte, con sentenza n. 16082/2013, e la causa rinviata alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che, quale giudice di rinvio, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto l’originario ricorso dei contribuenti, condannando i riassumenti R. e M. C..
Avverso la sentenza i predetti propongono ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi; l’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso i contribuenti deducono, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 81, comma 1, lett. b) e 82, comma 1, d.p.r. n. 917 del 1986 (attualmente sostituiti dalle corrispondenti disposizione degli artt. 67 e 68 del d.p.r. citato, dopo le modifiche introdotte con l’art. 1, d.lgs. n. 344 del 2003), nonché dell’art. 2729 e.e., perché la CTR ha affermato
che la misura della plusvalenza, soggetta all’imposta reddituale, è determinabile meccanicamente in relazione al valore stabilito nell’ambito dell’imposta di registro sui trasferimenti, senza addurre alcun elemento confermativo. Deducono, altresì, che osta alla ritenuta perfetta equivalenza della base imponibile dei tributi contestualmente riscossi la circostanza che il riferimento al valore venale utilizzato per l’applicazione dell’imposta di registro, costituendo una presunzione semplice ai fini qui considerati, avrebbe dovuto essere corroborato da ulteriori elementi di fatto.
Con il secondo motivo deducono, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c., nonché nullità della sentenza, perché la CTR ha trascurato di valutare la prova offerta dai contribuenti, costituita da una consulenza tecnica asseverata, di contenuto contrario a quanto oggetto delle asserzioni dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo erroneamente preclusa detta prova dal riferimento tassativo ai valori assunti per l’imposta di registro.
Con il terzo motivo deducono, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 1, c.p.c. e 118, comma 2, r. d. n. 1368 del 1941, 36, comma 1, n.4 e 61, d.lgs. n. 546 del 1992, perché la CTR ha ritenuto tardiva, senza spiegarne le ragioni, la produzione della relazione peritale offerta dalla parte riassumente.
Con il quarto motivo deducono, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 392 e seguenti c.p.c., relative al giudizio di rinvio, perché la CTR ha ritenuto tardiva la produzione in giudizi, da parte dei riassumenti, della relazione peritale che non è un mezzo di prova e che serviva a rafforzare una diversa esegesi della disciplina di riferimento avuto riguardo alla circostanza, più volte evidenziata dai contribuenti, che il territorio comunale in cui insistono i terreni oggetto di causa esprime una omogenea capacità edificatoria.
La prima censura è fondata.
Si dolgono i ricorrenti della affermazione, contenuta nella sentenza del giudice di rinvio, secondo cui il valore dei terreni accertato dall’Ufficio con riguardo alla imposta di registro non può essere diverso da quello determinato, con riguardo all’imposta sui redditi, per il calcolo delle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso dei predetti immobili.
Indipendentemente dagli argomenti spesi in ricorso in ordine alla utilizzabilità degli stessi criteri di calcolo per tributi diversi, l’erroneità della decisione, ai fini che qui rilevano, discende dallo ius superveniens rappresentato dal d.lgs. n. 147 del 2015 che all’art. 5 comma 3 prevede che «gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 -bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347».
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che la norma è da ritenersi applicabile anche ai giudizi in corso atteso l’intento interpretativo chiaramente espresso dal legislatore e considerato che, come anche rimarcato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 246 del 1992), il carattere retroattivo costituisce elemento connaturale alle leggi interpretative (Cass. n. 9513/2018).
L’Amministrazione finanziaria può procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza, ma questo deve essere basato su elementi certi e concreti, non già adottando il solo criterio di calcolo delle imposte indirette, tra cui quella di registro, fondate su presupposti e finalità specifici, ma piuttosto individuando ulteriori indizi, gravi, precisi concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quello dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria (Cass. n. 12135/2019).
Pertanto, fermo il principio contenuto nella sentenza n. 16082/2013 di questa Corte, secondo cui “anche ai fini dell’applicazione del testo unico delle imposte sui redditi di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo (Cass. 15282/2008; 24982/2010)”, la CTR della Lombardia avrebbe dovuto scrutinare la questione concernente la legittimità dell’avviso di accertamento per avere l’Ufficio rideterminato in aumento la misura della plusvalenza, sostituendo al prezzo pattuito un valore venale presunto maggiore, all’esito dei soli riscontri espletati con riguardo all’imposta di registro sugli atti di compravendita del 18/3/1999, rep. n. 122055 e n. 122058, senza limitarsi ad affermare la vincolatività del valore di mercato del bene alienato, con ciò ponendo a carico del contribuente l’onere di dimostrare di aver percepito un prezzo più basso.
In altri termini, l’automatica trasposizione del valore dato al cespite ai fini dell’imposta di registro in sede di accertamento della plusvalenza per la tassazione IRPEF, non trova più ingresso in sede di valutazione della prova, nel senso che non è possibile ricondurre a quel solo dato il fondamento dell’accertamento, dovendo invece provvedere l’Ufficio a individuare ulteriori indizi, dotati di precisione, gravità e concordanza, che supportino adeguatamente il diverso valore della cessione rispetto a quanto dichiarato dal contribuente (Cass. n. 2610/2019).
Una volta allegate le prove, anche presuntive, a sostegno della pretesa tributaria, spetterà allora a quest’ultimo, con prova contraria, contraddire alle risultanze probatorie offerte dall’Agenzia.
Anche le restanti censure, che possono essere scrutinate congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono fondate per le ragioni di seguito esposte.
Le affermazioni del giudice regionale vanno riviste alla luce della disciplina introdotta dall’art. 5, comma 3, d.lgs. n. 147 del 2015, la quale, nei termini appena indicati, ha efficacia “retroattiva” e configurandosi come ius superveniens «impone, anche nella fase di cassazione, la disapplicazione della norma dichiarata illegittima e l’applicazione della disciplina risultante dalla decisione anzidetta con l’ulteriore conseguenza che, ove la nuova situazione di diritto obiettivo derivata dalla sentenza d’incostituzionalità [ … ] richieda accertamenti di fatto non necessari alla stregua della precedente disciplina, questi debbono essere compiuti in sede di merito, al qual fine, ove il processo si trovi nella fase di cassazione, deve disporsi il rinvio della causa al giudice di appello.» (Cass. 19/04/1995, n. 4349; Cass. 21/06/2016, n. 12779; Cass. 09/08/2017, n. 19806, cit.), salvo il limite del giudicato, nella specie non sussistente, essendo tuttora controversa la determinazione della base imponibile dell’IRPEF. (Cass. n. 34209/2019)
La decisione della CTR non si è attenuta ai suddetti princìpi e, quindi, va cassata, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, alla quale è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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