CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 25318 depositata il 28 agosto 2023
Tributi – Avviso di rettifica dell’accertamento – IVA – Acquisto di beni di provenienza extra comunitaria – Ravvedimento operoso – Error in procedendo – Meccanismo del “plafond” – Status di esportatore abituale – Sospensione di imposta nei limiti del plafond – Sanzioni – Accoglimento
Rilevato che
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, n. 505/02/2019 depositata il 24 gennaio 2019, veniva accolto l’appello proposto dalla società L. D.F. S.r.l. avverso la sentenza n. 4684/3/2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno, la quale aveva rigettato il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
2. Dalla integrata lettura degli atti, oltre che della sentenza, si evince che la ricorrente impugnava l’avviso di rettifica dell’accertamento n. 11659/17 per acquisto di beni di provenienza extra comunitaria ai sensi del d.p.r. n. 633 del 72, art. 8 comma 2. Le veniva contestato di aver proceduto senza addebito di imposta sulla base di dichiarazioni di intento ritenute false, non avendo effettuato alcuna esportazione o cessione infracomunitaria negli anni 2013 e 2014 e, quindi, in assenza di plafond IVA, come documentato da processo verbale di constatazione (cfr. p.2 sentenza impugnata).
3. La contribuente deduceva di operare sul mercato cinese, di aver presentato istanza per essere riconosciuta come esportatore abituale e, comunque, di aver regolarizzato la propria posizione IVA attraverso il ravvedimento operoso, con conseguente assenza di danno alcuno per l’erario. Tale prospettazione difensiva veniva disattesa dal giudice di prime cure, ma condivisa dal giudice di appello.
4. Contro la sentenza della CTR l’Agenzia presenta ricorso affidato a due motivi, cui resiste la contribuente con controricorso.
Considerato che
5. In via preliminare devono essere esaminate le plurime eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controricorrente. Il ricorso per cassazione non è inammissibile per violazione dell’art. 360 c.p.c., in quanto, a differenza di quanto ritenuto dalla società, esso non difetta totalmente dell’illustrazione dei motivi a sostegno dell’impugnazione, e le censure, per quanto succinte, individuano chiaramente violazioni di legge astrattamente idonee a determinare la nullità della sentenza impugnata. Peraltro, il contenuto delle doglianze va parametrato a quello della sentenza impugnata, a sua volta estremamente succinta. Non può trovare accoglimento neppure l’eccezione di inammissibilità del primo motivo in quanto asseritamente costituente una mera riproposizione delle difese espresse dall’Agenzia nel giudizio d’appello, dal momento che, al contrario, viene ivi specificamente censurata la ratio decidendi espressa dalla CTR, incentrata sul ravvedimento operoso e l’assenza di danno all’erario. Non è poi condivisibile la prospettata inammissibilità per assenza di specificità e riproduzione degli atti amministrativi, perché ciò che è contestato con il ricorso è la logicità e comprensibilità all’esterno dell’iter logico argomentativo espresso dalla CTR nella sua brevissima motivazione decisoria. Quanto infine alla prospettata inammissibilità del ricorso per decisione conforme alla giurisprudenza di legittimità, essa va scrutinata unitamente alla disamina delle censure espresse nel ricorso.
6. Con il primo motivo di ricorso, senza individuazione del pertinente paradigma dell’ art. 360 comma 1 c.p.c., comunque individuabile nel n. 3, la sentenza impugnata viene censurata per violazione del d.p.r. n. 633 del 1972, artt. 8, 70, d.lgs. n. 471 del 1997, 7, d.lgs. n. 472 del 1997, 13 per aver la CTR mancato di riconoscere l’applicabilità della sanzione al tributo evaso, dal momento che l’IVA non era stata pagata dalla contribuente, dichiaratasi falsamente esportatrice abituale e, dunque, non sussistevano i presupposti per il ravvedimento operoso nella fattispecie, in presenza di vantaggi fiscali indebitamente ottenuti con conseguente non utile invocabilità del principio di neutralità fiscale.
7. Con il secondo motivo di ricorso – in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – l’Agenzia deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente e per mancanza di elementi essenziali alla motivazione prevista dal codice di rito ordinario, in violazione dell’art. 132 c.p.c., nella parte in cui la CTR afferma che sussistono i presupposti per il ravvedimento operoso per non aver la società tratto alcun vantaggio dall’acquisto in esenzione in applicazione del principio di neutralità dell’imposta.
8. Il secondo motivo è da esaminarsi prioritariamente rispetto al primo perché, se accolto, idoneo a determinare di per sé la nullità della sentenza impugnata. La censura non può trovare ingresso. Si deve ribadire che “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01) e che “La riformulazione dell’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in l. 7 agosto 2012, n. 132, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nel caso di specie la motivazione, per quanto succinta, afferma chiaramente che, nonostante l’assenza di plafond e l’utilizzo di dichiarazioni di intenti false, è stato ritualmente applicato il ravvedimento operoso e la contribuente ha provveduto a regolarizzare l’IVA in assenza di pregiudizio per l’erario, iter argomentativo immediatamente comprensibile e che rispetta il minimo costituzionale.
9. Il primo motivo è al contrario fondato.
9.1. Va premesso che il meccanismo del c.d. “plafond”, di cui alla l. n. 28 del 1997, art. 2 comma 2, costituisce una modalità di assolvimento dell’Iva per le operazioni imponibili poste in essere dall’esportatore abituale, in quanto si sostanzia nella compensazione del relativo debito con il credito maturato sulle cessioni all’esportazione, od operazioni a esse assimilate, registrate nell’anno solare precedente, per un ammontare superiore al 10 per cento del complessivo volume di affari, ex d.p.r. n. 633 del 1972, artt. 8 comma 1, lett. a) e b), e 8-bis. Ciò consente al fornitore di effettuare la rivalsa nei suoi confronti attraverso lo scomputo del credito dell’esportatore e non attraverso la controprestazione monetaria; ne consegue che la non imponibilità degli acquisti effettuati dall’esportatore abituale discende direttamente dalle cessioni all’esportazione e dalle operazioni ad esse assimilate dal medesimo compiute, che ne costituiscono al contempo presupposto e limite quantitativo monetario utilizzabile nell’anno successivo (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 30800 del 19/10/2022).
9.2. Inoltre, con riferimento alle cessioni all’esportazione, dallo “status” di esportatore abituale, di cui al d.p.r. n. 633 del 1972, art. 8 comma 1, lett. c), deriva il riconoscimento della sospensione di imposta nei limiti del “plafond” disponibile così maturato, e siffatto “status” è acquisito dall’impresa che esporta o effettua vendite intracomunitarie di beni e servizi per almeno il dieci per cento, avuto riguardo alle operazioni poste in essere nell’anno precedente.
Nella presente fattispecie tale fatto è pacificamente escluso in capo alla contribuente cui, conseguentemente, per il periodo di imposta rilevante non può essere riconosciuto lo “status” di esportatore abituale.
9.3. Nondimeno, con riferimento all’assenza di tale “status”, questa Corte ha condivisibilmente affermato che, in tema di IVA, il “plafond” di cui al d.p.r. n. 633 del 1972, art. 8 comma 1, lett. c), costituisce solo un limite quantitativo monetario pari all’ammontare complessivo dei corrispettivi delle esportazioni utilizzabile nell’anno successivo per effettuare acquisti in regime di sospensione d’imposta, che non incide sulla sussistenza del credito impositivo ma soltanto sull’esecutività dello stesso, tenuto conto del maggior credito nei confronti dell’Erario strutturalmente collegato all’attività di esportatore abituale: ne deriva che, in mancanza di detto “status”, detto limite viene meno (Cass., sez. 5, sentenza n. 15835 del 15/06/2018, Rv. 649193 – 01). Conseguentemente, ai fini della decisione del caso concreto, non è di per sé dirimente l’assenza di “plafond”, ben potendo astrattamente operare il meccanismo del ravvedimento operoso anche in tal caso.
10. Va poi tenuto conto che nel caso sotteso alla controversia è pacifica (e del resto accertata dalla stessa CTR) la falsità delle dichiarazioni di intenti utilizzate dalla contribuente, e questa Corte ha già affermato in tema d’IVA che, nelle cessioni all’esportazione in regime di sospensione d’imposta ex d.p.r. n. 633 del 1972, art. 8 se la dichiarazione d’intenti si riveli ideologicamente falsa, perché emessa da soggetto privo del requisito di esportatore abituale, al cedente non è consentito l’esercizio fraudolento del diritto di valersi del limite di esecutività del debito IVA correlato alla suddetta qualità di esportatore abituale qualora, anche in base ad elementi presuntivi disponga di elementi tali da sospettare l’esistenza di irregolarità, gravando sul medesimo un onere di diligenza mediante l’adozione di tutte le ragionevoli misure in proprio potere (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 14979 del 15/07/2020, Rv. 658357 – 01; nello stesso senso, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9586 del 05/04/2019, Rv. 653364 – 02).
11. Quanto all’invocato principio di neutralità fiscale dell’IVA, la Corte reitera che esso esige che la detrazione a monte sia accordata solo se gli obblighi sostanziali sono stati soddisfatti (Cass., sez. 5, sentenza n. 22430 del 22/10/2014). In particolare, in una fattispecie non esattamente sovrapponibile alla presente ma simile, ossia di superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili ai fini IVA, la Sezione ha affermato che ciò equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, con la conseguenza che, ove il contribuente voglia validamente beneficiare del ravvedimento operoso di cui al d.lgs. n. 472 del 1997, art. 13 deve necessariamente corrispondere, oltre alla sanzione indicata dalla predetta disposizione, anche l’eccedenza d’imposta non compensabile (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 31706 del 07/12/2018, Rv. 651629 – 01). Infatti, il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dal d.lgs. n. 471 del 1997, art. 13 così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 18080 del 21/07/2017, Rv. 645020 – 01).
12. La CTR nella sentenza impugnata non compie alcun accertamento riguardo all’intervenuto pagamento della sanzione di cui all’art. 13 e agli interessi, profilo decisivo di incongruenza ai fini della sussunzione della fattispecie nel legittimo esercizio del ravvedimento operoso.
13. In riferimento all’aspetto sanzionatorio va infatti rammentato che, in tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale – e, pertanto, non è punibile ai sensi della l. n. 212 del 2000, art. 10 – ove non comporti un pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo ed, al contempo, non incida sulla determinazione della base imponibile e sul versamento del tributo.
Anche quanto agli interessi, non può essere trascurato il fatto che l’IVA all’importazione, pur essendo estranea all’obbligazione doganale, rientra tra i tributi che vanno corrisposti in occasione delle operazioni doganali e, pertanto, in virtù del rinvio contenuto nel d.p.r. n. 633 del 1972, art. 70 è soggetta alle disposizioni procedurali dettate per diritti di confine (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 21659 del 29/07/2021).
13. Conclusivamente, dev’essere affermato il seguente principio di diritto: “In materia di IVA all’importazione, in caso di indebito utilizzo del “plafond” è ammissibile il ravvedimento operoso di cui al d.lgs. n. 472 del 1997, art. 13 ma devono essere corrisposte anche le sanzioni, perché la violazione non ha carattere meramente formale dal momento che incide sul versamento del tributo, e gli interessi, poiché l’IVA all’importazione rientra tra i tributi che vanno corrisposti in occasione delle operazioni doganali e non in un momento successivo“.
14. In accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, va pertanto disposta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio, ai sensi della l. n. 130 del 2022, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, in relazione al profilo, oltre che per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, in relazione al profilo oltre che per la liquidazione delle spese di lite.
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