CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 25863 depositata il 12 settembre 2023
Tributi – Cessione ramo d’azienda – Ammortamento – Avviso di accertamento – Prestazione di servizi – Rigetto
Rilevato che
con rogito registrato il (…) A. – soc. coop a.r.l. cedeva alla S.G. s.r.l. un ramo d’azienda relativo all’attività di raccolta e trasporto di rifiuti solidi urbani, ricevendo l’importo di Euro 35.000,00 per attrezzature ed Euro 705.000,00 per avviamento. La S.G. procedeva quindi all’ammortamento dell’avviamento deducendo 1/18 per anno.
L’Agenzia delle entrate – in un avviso di accertamento notificato alla S.G. – riqualificava il contratto di cessione di azienda ravvisando in particolare – per quel che rileva in questa sede – una prestazione di servizi derivanti da un’obbligazione di fare, di non fare e di permettere in quanto la società A. si era impegnata a non operare per cinque anni nel settore della raccolta dei rifiuti.
Il ricorso proposto dalla S.G. contro l’atto impositivo veniva respinto dalla Commissione tributaria provinciale di Torino con sentenza poi passata in giudicato.
La S.G. chiedeva quindi il rimborso delle maggiori imposte versate a seguito della mancata deduzione integrale del costo di avviamento nell’anno di competenza, come sarebbe stato legittimo in base alla riqualificazione del contratto effettuata dall’Ufficio.
Contro il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso la S.G. proponeva ricorso dinanzi alla CTP di Torino che lo accoglieva. La CTR del Piemonte accoglieva parzialmente l’appello dell’Agenzia delle entrate.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21743/2015, accoglieva il ricorso della società contribuente con riguardo alla censurata indeducibilità del costo, ritenuto dall’Ufficio non inerente.
Il giudice del rinvio, con la sentenza indicata in epigrafe, riconosceva l’inerenza del costo e la sua deducibilità dichiarando l’illegittimità del silenzio rifiuto e l’obbligo dell’Ufficio di procedere al rimborso.
Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
La società contribuente resiste con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, per mancata attuazione del principio di diritto sancito nella sentenza di cassazione con rinvio e comunque di quanto ivi statuito.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, tuir, e dell’art. 2697 c.c.
Con i due motivi, trattati congiuntamente dalla ricorrente, si censura la sentenza impugnata per avere la CTR – dopo aver correttamente rilevato che la nozione di inerenza presuppone che il costo sia sostenuto al fine di svolgere un’attività potenzialmente idonea a produrre utili – statuito in modo apodittico che non è contestabile che il costo sostenuto dalla S.G. “per subentrare nei contratti stipulati dalla coop. A. ai fini dello svolgimento dell’attività di raccolta e smaltimento di rifiuti solidi urbani sia deducibile a fronte dei ricavi derivanti dai contratti stessi”, così riconoscendo l’inerenza del costo senza accertare in concreto l’esistenza e la produzione dei ricavi.
2. I due motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati.
Con la menzionata sentenza n. 21743/2015 questa Corte ha rilevato che la relazione di inerenza doveva essere valutata con riferimento alle prestazioni di non facere consistenti nell’astensione quinquennale nel settore di attività di raccolta dei rifiuti. Ha rimesso quindi la causa al giudice di merito per una corretta applicazione del concetto di inerenza intesa quale costo sostenuto al fine di svolgere un’attività potenzialmente idonea a produrre utili.
Il giudice del rinvio si è attenuto al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione. Difatti la CTR, dopo aver affermato che l’inerenza esprime un concetto relazionale tra due concetti (la spesa e l’impresa) per cui il costo assume rilevanza non tanto per la sua esplicita e diretta connessione a una precisa componente del reddito ma in virtù della sua correlazione con l’impresa in quanto tale, ha accertato in concreto nella fattispecie l’inerenza dei costi.
Ed invero, in tema di imposte sui redditi, affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utili (Cass. n. 16826/2007; in senso conforme Cass. n. 20049/2017), non essendo richiesta la prova di un rapporto diretto tra spesa e ricavo secondo una correlazione puramente meccanica e atomistica.
3. Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.