Corte di Cassazione ordinanza n. 27869 depositata il 22 settembre 2022
ove la cartella faccia seguito ad un atto prodromico l’emittente la cartella è onerato del «riferimento -diretto e specifico-, all’atto fiscale e/o alla sentenza che lo ha reso definitivo»
RILEVATO CHE
1. La società contribuente S. S.p.A. ha impugnato una cartella di pagamento per IVA 2003, 2004 e 2006, deducendo che la cartella, la quale indicava essere fondata su un accertamento, non era stata preceduta da alcun atto prodromico, era priva di motivazione, in quanto non consentiva di individuare l’avviso di accertamento o il provvedimento giurisdizionale cui si riferisse, nonché era stata emanata una volta decaduto l’Ufficio dal potere di riscossione.
2. Il giudice di prossimità (CTP di Bari) ha rigettato il ricorso.
3. La CTR della Puglia ha rigettato l’appello della società contribuente, ritenendo che la società contribuente avrebbe dovuto opporsi agli atti prodromici. Con sentenza in data 10 aprile 2014, n. 8479, questa Corte ha cassato con rinvio la sentenza di appello, osservando che «viene ivi affermato che la contribuente avrebbe dovuto opporsi agli atti prodromici, senza considerare che tali atti, nel caso, non risultavano concretamente indicati (…) i Giudici di appello, hanno escluso l’esistenza di vizi propri dell’impugnata cartella, omettendo di verificare ed indicare la concreta sussistenza degli atti presupposti impugnabili».
4. La CTR della Puglia, adita in sede di rinvio, con sentenza in data 2 settembre 2015, ha accolto l’appello della contribuente. Il giudice di appello ha accertato che la cartella è il primo atto con il quale è stata portata a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria definitiva ed ha ritenuto la cartella priva di motivazione, in quanto priva degli elementi indispensabili per consentire il controllo della pretesa impositiva ivi indicata, non essendo stati indicati gli estremi dell’atto presupposto sulla base del quale la cartella è stata emessa e senza indicazione degli importi per ciascun periodo di imposta.
5. Propone ricorso per cassazione l’Ufficio, affidato a due motivi;
la società contribuente resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.1 Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 53 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui il giudice del rinvio non ha rilevato che l’atto di riassunzione fosse inammissibile, per avere il suddetto atto contemplato argomentazioni che non tengono conto delle censure pertinenti rispetto alla sentenza di primo grado.
1.2 Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., violazione dell’art. 1309 cod. civ., nonché dell’art. 25 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nonché omesso esame di fatti decisivi e controversi. Osserva parte ricorrente che la motivazione della sentenza non terrebbe conto del fatto che il credito trarrebbe origine da dichiarazioni rese dalla parte nell’ambito di un PVC, che erano state notificate tre comunicazioni con l’indicazione degli importi liquidati e che parte contribuente avrebbe reso dichiarazioni confessorie in sede di ricorso di primo grado, per cui la pretesa tributaria sarebbe stata sostanzialmente conosciuta dalla società contribuente.
2. Il primo motivo è infondato, atteso il consolidato principio di questa Corte secondo cui, in forza dell’effetto devolutivo dell’appello, che preclude al giudice del gravame esclusivamente di estendere le sue statuizioni a punti che non siano compresi nel thema decidendum, il giudice di appello può riesaminare l’intera vicenda nel complesso dei suoi aspetti, salvo il giudicato interno (Cass., Sez. III, 13 aprile 2018, n. 9202), anche in caso di mera riproposizione delle questioni a sostegno della legittimità dell’accertamento (Cass., Sez. V, 10 novembre 2020, n. 25106; Cass., Sez. V, 4 novembre 2020, n. 24533; Cass., Sez. V, 9 ottobre 2020, n. 21774; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2018, n. 32954; Cass., Sez. V, 19 dicembre 2018, n. 32838; Cass., Sez. VI, 23 novembre 2018, n. 30525; Cass., Sez. VI, 5 ottobre 2018, n. 24641; Cass., Sez. VI, 22 marzo 2017, n. 7369; Cass., Sez. VI, 22 gennaio 2016, n. 1200; Cass., Sez. V, 29 febbraio 2012, n. 3064). Principio conforme a quello secondo cui gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo formulato dal d.l. n. 83/2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass., Sez. U., 16 novembre 2017, n. 27199).
3. Detto principio, applicabile al giudizio di appello, può essere applicato anche al giudizio di rinvio, ulteriormente vincolato dalla natura «chiusa» di questo giudizio, in cui l’oggetto dello stesso si identifica con le questioni rimesse dal giudice rescindente.
4. Il secondo motivo è inammissibile perché, come correttamente deduce il controricorrente, la censura articolata dal ricorrente non muove specifiche censure alla motivazione della sentenza impugnata, incentrata sul difetto di motivazione della cartella. Come, del resto, precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, ove la cartella faccia seguito ad un atto prodromico (avviso di accertamento o sentenza), l’emittente la cartella è onerato del «riferimento -diretto e specifico-, all’atto fiscale e/o alla sentenza che lo ha reso definitivo» (Cass., Sez. U., 14 luglio 2022, n. 22281). Nella specie, il giudice del rinvio ha accertato che «la cartella impugnata risulta sguarnita di qualsivoglia minimo riferimento ad altri eventuali atti precedentemente notificati […] è solo dato leggere solo la generica causale “iscrizione a ruolo a seguito di accertamento” e l’indicazione degli importi richiesti a titolo di IVA, sanzioni e interessi, per più anni, ma senza la specificazione, a fianco di ciascun importo, del singolo anno di riferimento». La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suindicati principi.
5. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo.
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 10.000,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
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