CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 30838 depositata il 6 novembre 2023

Lavoro – Malattia professionale – Risarcimento del danno biologico e morale – Istanza di conciliazione non comunicata al datore di lavoro – Prescrizione – Atto interruttivo – Accoglimento  

Rilevato che

1. la Corte d’Appello di Lecce, in riforma di sentenza del Tribunale di Taranto n. 3450/2012, con sentenza n. 270/2019, in accoglimento dell’appello degli eredi di V. C., condannava C. s.p.a. al pagamento in loro favore, pro quota, della somma di € 45.000,00, oltre interessi e rivalutazione monetaria dall’11/11/1997, a titolo di risarcimento del danno biologico e morale conseguente alla malattia professionale contratta dal dante causa, dipendente dal 1980 al 2007, deceduto nel 2014, e condannava G.I. s.p.a. a manlevare C. s.p.a. per tutte le somme al cui pagamento era stata condannata per tali titoli;

2. per quanto qui rileva, il Tribunale di Taranto aveva ritenuto prescritto il diritto al risarcimento, perché il danno si era manifestato quantomeno il 27/10/1997, data di denuncia al datore di lavoro di malattia professionale broncopolmonare riconosciuta dall’INAIL, mentre il ricorso introduttivo del giudizio era stato depositato, oltre il decennio rilevante ai sensi dell’art. 2946 c.c., il 4/4/2008 (e notificato il 29/5/2008); il Tribunale, infatti, aveva ritenuto che la richiesta del lavoratore di tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto inoltrata in data 15/6/2007 esclusivamente alla Direzione Provinciale del Lavoro di Taranto e non anche al datore di lavoro, non costituisse per tale motivo valido atto interruttivo della prescrizione; aveva altresì dichiarato inammissibile per tardività la richiesta di acquisizione della ricevuta di ritorno della raccomandata inviata il 29/6/2007 dalla DPL alla società (ricevuta il 4/7/2007) di convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione;

3. la Corte distrettuale, invece, in via preliminare ammetteva la produzione documentale in questione, in quanto ritenuta indispensabile per la decisione ai sensi dell’art. 437 c.p.c.; riconnetteva gli effetti interruttivi della prescrizione alla comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione alla società da parte della DPL; nel merito, istruita la causa mediante prove testimoniali e CTU medico-legale (sul nesso di causa tra malattia e attività lavorativa e sulla percentuale di danno biologico), nei limiti della quantificazione del danno richiesta in primo grado dal ricorrente (€ 1.000 per punto di invalidità), ivi ricompreso il danno morale, condannava la società datrice di lavoro al pagamento della somma sopra indicata, per i titoli dedotti, agli eredi dell’originario ricorrente in tale qualità, e la compagnia assicurativa Generali (chiamata in giudizio già in primo grado) a manlevare la prima per le relative somme;

4. per la cassazione della sentenza d’appello ricorre Generali, con 3 motivi; resiste C. con controricorso e ricorso incidentale autonomo con 11 motivi; resistono gli eredi di V. C. contro Generali con controricorso e ricorso incidentale con 1 motivo, e contro C. con controricorso e ricorso incidentale condizionato con 1 motivo; C. resiste con controricorso al ricorso incidentale condizionato degli eredi di V. C.; Generali e C. hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso per cassazione G.I. deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) illogica e contraddittoria motivazione in ordine al disposto di clausole del contratto di assicurazione che delimitavano la garanzia alle sole malattie insorte e manifestatesi durante il periodo di validità della polizza e conseguenti a fatti colposi posti in essere per la prima volta durante il tempo dell’assicurazione, ed escludevano il rischio amianto;

2. con il secondo motivo deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 2943, 2945, 2946 c.c. nei riflessi dell’art. 410 c.p.c., per erronea ritenuta efficacia interruttiva della prescrizione, contraddittoriamente attribuita all’istanza di conciliazione non comunicata al datore di lavoro, per effetto di documentazione tardivamente prodotta nel primo grado di giudizio e dichiarata inammissibile dal Tribunale;

3. con il terzo motivo deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) illogica e contraddittoria affermazione del principio dell’equivalenza delle condizioni in presenza di accertata malattia multifattoriale, e contemporanea negazione della proporzionale imputazione delle responsabilità relative quanto ai danni conseguenti;

4. con il primo motivo di ricorso incidentale C. deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1219, 2943, 2946, 2947 c.c., 410 c.p.c., anche in relazione all’art. 115 c.p.c., per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto provata l’interruzione della prescrizione sulla base di un documento, la convocazione indirizzata dalla DPL a C., mai prodotto nel corso del giudizio;

5. con il secondo motivo impugna per nullità (art. 360, n. 4, c.p.c.) le medesime statuizioni della sentenza sotto il profilo della decisione sulla base di una prova inesistente;

6. con il terzo motivo censura il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto interrotta la prescrizione sulla base del ridetto documento anche sotto il profilo (art. 360, n. 3, c.p.c.) della violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.;

7. con il quarto motivo di ricorso incidentale C. deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1219, 2943, 2946, 2697 c.c., 410 c.p.c., per avere, la sentenza gravata, erroneamente ritenuto la sola ricevuta di ritorno della raccomandata inviatale dalla DPL di Taranto atto interruttivo della prescrizione, pur non avendo detta ricevuta postale alcuno dei requisiti per ritenerlo tale;

8. con il quinto motivo deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) nullità e illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame del fatto decisivo costituito dalla mancata allegazione della richiesta di tentativo di conciliazione alla convocazione indirizzata dalla DPL a C.;

9. con il sesto motivo deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) nullità della sentenza per avere essa fondato il proprio convincimento su prove non offerte dalle parti e sull’errata percezione delle prove testimoniali e documentali, in relazione all’esposizione del lavoratore a sostanze nocive e ai dispositivi di protezione in uso;

10. con il settimo motivo censura le statuizioni della sentenza impugnata di cui al motivo precedente anche sotto il profilo (art. 360, n. 3, c.p.c.) della violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.;

11. con l’ottavo motivo di ricorso incidentale C. deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2087, 2697 c.c., 41 c.p. in quanto, pur essendo stata riconosciuta la natura multifattoriale della malattia del lavoratore, la sentenza gravata ha accertato la sussistenza del nesso causale tra l’attività lavorativa e la malattia e ne ha attribuito l’esclusiva responsabilità alla datrice di lavoro;

12. con il nono motivo deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1227, 2087 c.c. sulla quantificazione del risarcimento del danno, per essere stata condannata parte datoriale al risarcimento integrale del danno biologico e morale, pur essendo stata riconosciuta la sussistenza di concause della malattia diverse dall’attività lavorativa, ed essendo stato omesso l’accertamento di concorso di colpa del lavoratore;

13. con il decimo motivo deduce (art. 360, n. 4, c.p.c.) nullità della sentenza per omessa pronuncia in relazione all’art. 112 c.p.c. sulla specifica eccezione di quantificare il risarcimento tenendo conto del concorso colposo del lavoratore ai sensi dell’art. 1227 c.c.;

14. con l’undicesimo motivo deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 10 D.P.R. n. 1124/1965, 13 d. lgs n. 38/2000 per non aver sottratto dalla quantificazione del danno le somme liquidate dall’INAIL, potendo la società essere condannata eventualmente al solo risarcimento del danno differenziale; in subordine, C. ha reiterato, in caso di rigetto dei propri motivi di ricorso incidentale e di accoglimento del primo motivo di ricorso di G.I., l’istanza di chiamata in causa di I.A. s.p.a.;

15. gli eredi di V. C., con l’unico motivo del ricorso incidentale contro G.I., deducono (art. 360, n. 3 e n. 4, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., 1218, 2043, 2059 c.c. e delle tabelle del Tribunale di Milano di quantificazione del danno alla salute, per essere stato liquidato il danno in una cifra inferiore, non tenendo conto che la richiesta di danno non era stata limitata ma rimessa alla valutazione equitativa del giudice, che doveva essere considerata l’ulteriore componente del danno morale, che quindi il danno da risarcire era pari a € 311.787;

16. con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato contro C., gli eredi deducono i medesimi profili di nullità e violazione di legge di cui al punto precedente;

17. sono fondati per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso principale di G.I. e i primi 5 motivi del ricorso incidentale di C., relativi all’estinzione del diritto al risarcimento del danno alla salute nei suoi diversi aspetti per intervenuto decorso del termine decennale di prescrizione, tra la denuncia della malattia al datore di lavoro (1997) e la richiesta (2008) giudiziale al datore stesso di risarcimento del danno (differenziale) che sarebbe spettato ove accertati i presupposti della responsabilità datoriale, per mancata prova di atto idoneo all’interruzione della prescrizione, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi dei ricorsi, principale e incidentale, della compagnia assicuratrice e della società datrice di lavoro, e dei motivi di ricorso incidentale degli eredi del lavoratore originario ricorrente e deceduto in corso di causa;

18. a norma dell’art. 410 c.p.c. ratione temporis vigente, chi intende(va) proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409, doveva “promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione” presso la commissione di conciliazione; la “comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza”;

19. la norma è stata interpretata dalla consolidata giurisprudenza nel senso della necessità, da parte di chi avesse proposto il tentativo di conciliazione, di comunicazione della relativa domanda, oltre che alla DPL, anche alla controparte, ai fini dell’interruzione della prescrizione;

20. in difetto di comunicazione diretta da parte dell’interessato anche al datore di lavoro della promozione del tentativo obbligatorio di conciliazione, il dubbio circa l’idoneità della convocazione della DTL al datore di lavoro a interrompere la prescrizione è stato risolto nel senso che la comunicazione idonea a interrompere la prescrizione è solo quella che il lavoratore invii al datore (cfr. Cass n. 2965/2017, in particolare p. 10 della motivazione; Cass. 16452/2013, Cass. 20153/2005), con conseguente prescrizione del diritto se mancante;

21. a tale conclusione la giurisprudenza è pervenuta per la natura recettizia degli atti interruttivi della prescrizione, quale necessità, per aversi l’effetto interruttivo, di comunicazione alla persona alla quale sono destinati;

22. né, a sostegno della tesi secondo cui l’effetto interruttivo della prescrizione ex art. 410, comma 2, c.p.c., dovrebbe essere connesso alla mera instaurazione del tentativo obbligatorio di conciliazione, con la richiesta del lavoratore (indipendentemente dalla successiva comunicazione indirizzata dalla D.P.L. al datore di lavoro), la giurisprudenza di questa Corte relativa alla decadenza dall’impugnazione del licenziamento; va in proposito osservato che la norma richiamata fa riferimento a due istituti profondamente diversi; infatti, mentre il fondamento della prescrizione consiste nella presunzione di abbandono di un diritto per inerzia del titolare, il fondamento della decadenza si coglie nell’esigenza obiettiva del compimento di particolari atti entro un termine perentorio stabilito dalla legge, oltre il quale l’atto è inefficace, senza che abbiano rilievo le situazioni soggettive che hanno determinato l’inutile decorso del termine o l’inerzia del titolare, e senza possibilità di applicare alla decadenza le norme relative all’interruzione della prescrizione;

23. la disposizione in esame intende chiaramente distinguere gli effetti che il tentativo obbligatorio di conciliazione ha ai fini dell’interruzione della prescrizione dalle conseguenze che da esso derivano con riferimento ai termini decadenziali; riguardo alla decadenza dal potere di impugnazione del licenziamento, la sospensione del termine opera a partire dal deposito dell’istanza di espletamento della procedura di conciliazione (contenente l’impugnativa del licenziamento) essendo irrilevante, in quanto estraneo alla sfera di controllo del lavoratore, il momento in cui l’ufficio provvede a comunicare al datore di lavoro la convocazione per il tentativo di conciliazione;

invece, soltanto la comunicazione al debitore della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione determina l’interruzione della prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza;

24. attesa la natura recettizia degli atti interruttivi della prescrizione, sottolineato che il legislatore parla di interruzione e non di sospensione della prescrizione, deve ritenersi che la comunicazione che interrompe la prescrizione è quella fatta al datore di lavoro, cioè il soggetto giuridico controparte del rapporto di lavoro e soggetto passivo dell’azione di risarcimento (cfr. anche Cass. n. 20153/2005, Cass. n. 13046/2006; n. 967/2004);

25. da tali principi si è, invece, discostata la sentenza impugnata, che ha obliterato la circostanza, pacifica in atti, che la richiesta di tentativo di conciliazione non era stata inviata dall’interessato al datore di lavoro, al contrario direttamente citato in giudizio per il risarcimento del danno, ma oltre il decennio dalla manifestazione conosciuta della malattia; e che non ha considerato l’inidoneità della sola ricevuta di ritorno a provare la conoscenza delle rivendicazioni del lavoratore entro il decennio;

26. ora, considerando che gli atti recettizi producono effetti dal momento in cui vengono a conoscenza della persona alla quale sono destinati (art. 1334 c.c.), e che la conoscenza si presume quando sono giunti all’indirizzo del destinatario (art. 1335 c.c.), nel caso in esame non è dimostrato che il datore di lavoro abbia avuto conoscenza della richiesta di risarcimento del danno con la ricezione (entro il decennio) della convocazione (innanzi a, e) da parte della DTL (non dal lavoratore) per il tentativo di conciliazione; ciò perché in atti è stata prodotta solo la ricevuta di ritorno, e non la comunicazione della DTL cui essa evidentemente accedeva; mancando tale comunicazione, non ne è noto il contenuto e quale riferimento vi fosse nella comunicazione alla richiesta di risarcimento del lavoratore;

27. non è, quindi, appropriato, il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, al precedente di questa Corte n. 29419/2019, secondo cui la convocazione avanti alla competente commissione di conciliazione, all’esito della richiesta di svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione contenente la specificazione delle rivendicazioni avanzate costituisce una vera e propria messa in mora, valutabile ex art. 2943, comma 4, c.c., ai fini dell’interruzione della prescrizione, contenendo l’esplicitazione della pretesa e manifestando l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, perché il suddetto requisito oggettivo (specificazione delle rivendicazioni ed esplicitazione della pretesa) non risulta provato con l’acquisizione della mera ricevuta di ritorno;

28. ciò determina la fondatezza delle doglianze in proposito della società datrice e della compagnia assicuratrice, ancora a monte di quelle fondate sul principio che, nel rito del lavoro, l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice non può essere volta a superare gli effetti derivanti da una tardiva richiesta istruttoria delle parti o a supplire ad una carenza probatoria, in funzione sostitutiva degli oneri di parte;

29. la sentenza impugnata deve pertanto essere cassata in relazione ai motivi accolti, con assorbimento di tutte le ulteriori questioni;

30. non essendo necessari accertamenti di fatto, per effetto dell’estinzione per prescrizione del diritto (in assenza di validi tempestivi atti interruttivi) rivendicato con il ricorso introduttivo del giudizio e coltivato dagli eredi in appello, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto delle originarie domande;

31. le spese di lite dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità sono regolate dal regime della soccombenza e liquidate come da dispositivo;

P.Q.M.

Accoglie per quanto di ragione il secondo motivo del ricorso principale e i primi 5 motivi del ricorso incidentale di C. s.p.a., assorbiti gli ulteriori motivi ed i ricorsi incidentali degli eredi di C.V.; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le originarie domande;

condanna gli eredi di C.V. al pagamento delle spese di lite, che liquida per compensi in € 3.000 in favore di C. s.p.a. e in € 2.000 in favore di G.I. s.p.a. per il primo grado; per compensi in € 4.500 in favore di C. s.p.a. e in € 3.000 in favore di G.I. s.p.a. per il secondo grado; per compensi in € 4.500 in favore di C. s.p.a. e in € 4.500 in favore di G.I. s.p.a. per il presente giudizio; oltre spese generali al 15% e accessori di legge.