CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 35363 depositata il 18 dicembre 2023
Lavoro – Pensione di reversibilità – Riconoscimento dell’indennità integrativa speciale – Azione di ripetizione di indebito – Giurisdizione – Rigetto
Fatti di causa
1.– Il Tribunale di Isernia ha declinato la giurisdizione sulla domanda dell’INPS, volta a ottenere la restituzione dell’importo determinato dalla sentenza n. 866 del 21 dicembre 2010, pronunciata dalla Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello.
Ad avviso del giudice di prime cure, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, in quanto il rapporto di lavoro del coniuge della signora M.D.N., beneficiaria della pensione di reversibilità, è cessato nel 1987, in epoca anteriore all’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario.
2.– Con sentenza n. 95 del 2017, depositata il 12 aprile 2017, la Corte d’appello di Campobasso ha accolto il gravame dell’INPS e, in riforma della pronuncia del Tribunale di Isernia, ha condannato la signora M.D.N. a restituire all’INPS, in qualità di successore ex lege dell’INPDAP, l’importo di Euro 50.834,05.
2.1.– La Corte territoriale argomenta che, in materia di riconoscimento dell’indennità integrativa speciale sulla pensione di reversibilità, la giurisdizione è demandata al giudice del rapporto di lavoro.
Per le pretese sorte in data successiva al 30 giugno 1998 e per le situazioni giuridiche che si protraggono oltre tale data, si deve riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario, chiamato a valutare nella sua interezza una situazione sostanzialmente unitaria.
2.2.– La fondatezza dell’azione restitutoria non è stata contestata nei suoi presupposti e, pertanto, la domanda dell’INPS dev’essere accolta nei termini indicati in dispositivo.
3.– La signora M.D.N. ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Campobasso, con atto notificato il 9 giugno 2017 e affidato a due motivi, illustrati da memoria.
4.– L’INPS resiste con controricorso, notificato il 12 luglio 2017.
5.– La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1., primo comma, cod. proc. civ.
6.– Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
7.– Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta giorni successivi alla camera di consiglio (art. 380-bis.1., secondo comma, cod. proc. civ.).
Ragioni della decisione
1.– Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 1, cod. proc. civ.), la ricorrente denuncia violazione delle norme sul riparto di giurisdizione e, in particolare, dell’art. 69, comma 7, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Non sarebbe pertinente il richiamo ai principi di diritto concernenti le «controversie in materia di pubblico impiego, che attengano a diritti frazionati», sorti in parte prima e in parte dopo la data di discrimine del 30 giugno 1998, in quanto tali principi sarebbero destinati a regolare le sole fattispecie «inerenti al rapporto di pubblico impiego in senso stretto» (pagina 6 del ricorso per cassazione).
Nel caso di specie, inerente alla «materia contributiva» (pagina 7 del ricorso per cassazione), il diritto alla percezione degl’importi controversi si sarebbe perfezionato nel 1997, allorché la giurisdizione era radicata in capo al giudice amministrativo, e non già nel 2005, data dell’accertamento giudiziale.
Ad ogni modo, la giurisdizione del giudice ordinario difetterebbe anche da un diverso angolo visuale: nel caso di specie, sarebbe «probabile» l’operatività della giurisdizione esclusiva della Corte dei conti in materia di trattamento pensionistico, estesa anche agli atti di recupero dei ratei di pensione già erogati e a tutte le vicende suscettibili di ripercuotersi sulla determinazione del quantum del trattamento previdenziale.
2.– Con il secondo mezzo (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), la ricorrente deduce, in via gradata, il vizio di motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, attinente alla giurisdizione, e, in particolare, censura l’incongruo rilievo conferito dai giudici d’appello alla provenienza delle somme da un fondo di previdenza interno e al principio di concentrazione della giurisdizione, applicabile al solo «rapporto di impiego in senso stretto» (pagina 10 del ricorso per cassazione).
3.– Le censure possono essere esaminate congiuntamente, per l’inscindibile connessione che le lega, in quanto tendono tutte a contestare la declaratoria della giurisdizione del giudice ordinario.
4.– I motivi di ricorso devono essere disattesi, per le ragioni di seguito esposte.
5.– Giova, anzitutto, ripercorrere gli snodi salienti della controversia.
La sentenza, pronunciata in primo grado dalla Corte dei conti e recante il numero 75 del 2005, ha riconosciuto alla signora M.D.N. l’indennità integrativa speciale sulla pensione di reversibilità.
Tale pronuncia è stata riformata dalla Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello, con la sentenza n. 866 del 2010.
Sulla scorta delle statuizioni del giudice del gravame, l’INPS, succeduto all’INPDAP, ha proceduto al recupero delle somme versate in adempimento della decisione di primo grado e oramai sprovviste di ogni giustificazione causale, in conseguenza della riforma disposta in sede d’appello.
6.– Come emerge dalla sentenza impugnata e dalle stesse circostanziate deduzioni del ricorso per cassazione (pagine 1 e 2), il presente giudizio trae origine da un’azione di ripetizione d’indebito, promossa in base a una sentenza definitiva del giudice contabile, che ha privato di ogni titolo giustificativo le erogazioni effettuate dall’INPS in esecuzione della sentenza di primo grado.
Al caso di specie si attagliano, pertanto, i principi enunciati da questa Corte, che lo stesso controricorso richiama (pagine 4 e 5) e che la parte ricorrente, nella memoria illustrativa, non induce a rimeditare.
La controversia restitutoria, che scaturisca da una decisione già passata in giudicato, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto, in ragione dell’actio iudicati, il diritto di credito dell’ente previdenziale ha assunto un’autonoma rilevanza e si sostanzia nella richiesta di restituzione di una somma corrisposta indebitamente, alla stregua di un accertamento provvisto del crisma del giudicato (Cass., S.U., 22 dicembre 2009, n. 26961).
Alle medesime conclusioni questa Corte, a sezioni unite, è giunta, nel tracciare la linea di demarcazione tra la giurisdizione ordinaria e quella contabile.
Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti per le sole controversie che involgano il diritto o la misura di una pensione pubblica o le questioni ad essa funzionali.
Quanto agli atti di recupero di ratei erogati e indebitamente percepiti, la giurisdizione appartiene al giudice contabile solo se, in relazione all’indebito controverso, occorra accertare in giudizio l’an o il quantum del rapporto pensionistico, non anche quando si discuta in ordine alla sola sussistenza dei presupposti e delle condizioni di legge per il recupero di un indebito già certo e quantificato. La giurisdizione, in tale ipotesi, è attribuita al giudice ordinario (Cass., S.U., 5 aprile 2023, n. 9436).
7.– La sentenza inoppugnabile della Corte dei conti, nel riformare la pronuncia di primo grado, accerta l’infondatezza delle domande della ricorrente e, in maniera speculare, determina il sorgere di un diritto dell’INPS di conseguire la restituzione delle somme versate in ottemperanza al dictum del giudice di prime cure.
Il giudicato conforma la realtà sostanziale e conferisce un’autonoma rilevanza alla pretesa restitutoria dell’INPS, svincolata, ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione, dall’originario diritto di credito vantato dall’odierna ricorrente.
Su questo diritto di credito indugiano, per contro, le difese articolate nel ricorso e nella memoria illustrativa, senza annettere il necessario rilievo alle ragioni poste a fondamento dell’azione che l’Istituto ha intrapreso.
Sono proprio tali ragioni, poste in risalto dallo stesso ricorso per cassazione, a rivelarsi dirimenti e ad avvalorare la giurisdizione del giudice ordinario.
Compete, pertanto, al giudice ordinario la cognizione su una domanda che nel giudicato rinviene il suo ubi consistam, senza implicare alcuna necessità di un autonomo accertamento sulla spettanza di un determinato emolumento del trattamento pensionistico o sull’atteggiarsi del rapporto d’impiego, su cui la voce rivendicata s’innesta.
L’accertamento è oramai consacrato da un titolo irretrattabile ed è rimesso al giudice ordinario il solo compito di trarne tutti i corollari in punto di riequilibrio nei rapporti di dare e avere che intercorrono tra le parti.
8.– Nel dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario, la sentenza d’appello è dunque conforme a diritto e dev’essere confermata, alla luce dei rilievi illustrati.
Ne consegue che il ricorso, nel suo complesso, dev’essere respinto.
9.– La parte ricorrente dovrà rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio (art. 385, primo comma, cod. proc. civ.), liquidate in dispositivo.
10.– L’integrale rigetto del ricorso, proposto dopo il 30 gennaio 2013, impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo della ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
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