Corte di Cassazione ordinanza n. 35568 depositata il 2 dicembre 2022
accertamento – principio di inerenza – onere della prova
RILEVATO CHE
La società D.I. Srl, operante nel commercio all’ingrosso di frutta e verdura e la società Gruppo D.I. Srl, impugnavano gli avvisi di accertamento, ad esse rispettivamente notificati nella qualità di consolidata e consolidante, con cui l’Agenzia delle entrate, a seguito di verifica, aveva rideterminato il maggior reddito d’impresa, riconoscendo una percentuale di scarto del 3% sulla merce venduta, disconosciuto la deducibilità dei costi relativi ad una fattura per “consulenze di mercato”, effettuata da altra società del medesimo gruppo perché non inerente ed aveva recuperato l’Iva su operazioni intracomunitarie per l’inidoneità della documentazione a provare l’effettività delle cessioni.
La Commissione provinciale di Prato, in parziale accoglimento dei ricorsi, riconosceva una percentuale di scarto pari al 7% e ammetteva i costi relativi alla fattura per le consulenze. La sentenza era riformata dalla CTR in epigrafe limitatamente ai costi, per i quali riteneva corretta la ripresa.
Gruppo D.I. Srl, anche quale incorporante della società D.I. Fruit Srl in liquidazione, propone, con due motivi, ricorso per cassazione.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli 39, primo comma, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 per aver la CTR ritenuto l’antieconomicità della condotta della società, e integrati i requisiti di gravità, precisione e concordanza legittimanti l’accertamento induttivo, senza considerare lo stato di crisi in cui versava la società stessa, limitandosi a considerare l’entità della percentuale di scarto, elevata solamente al 7%.
2. Il motivo è inammissibile e per più ragioni.
2.1 Va rilevato, in primo luogo, che la doglianza in appello, per come risulta dalla sentenza impugnata, riguardava la congruità della percentuale di scarto (individuata nel 3% dall’Ufficio e nel 15% dalle società e riconosciuta dalla CTP, prima, e dalla CTR, poi, nel 7%) e non la sussistenza o meno dei presupposti per l’accertamento analitico- induttivo.
Il profilo della fondatezza della rideterminazione induttiva, invero, risulta introdotto – e di ciò la CTR dà atto – solo con una successiva memoria del 12 luglio 2015, indicazione che, tuttavia, ove volta ad introdurre una nuova questione era in sé inammissibile già in quella sede, neppure sussistendo l’onere di statuire.
Neppure dal ricorso per cassazione, del resto, risulta una censura più ampia ed articolata posto che, a pag. 6, si afferma “avverso la sentenza di prime cure aveva proposto ricorso in appello la Gruppo D.I. Srl, (che medio tempore aveva incorporata la D.I. Fruit in liq.) sostenendo la erroneità del riconoscimento solo parziale della illegittimità della determinazione induttiva dei ricavi di vendita e la illegittimità del recupero dell’Iva sulle operazioni infracomunitarie, risultando comunque provata l’uscita dalla della merce dal territorio nazionale”.
Chiaramente, dunque, le censure proposte in appello riguardavano esclusivamente l’entità della percentuale di scarto.
2.2 Il motivo, in ogni caso, ancorché proposto come violazione di legge, riguarda il percorso motivazionale della sentenza d’appello, che ha ritenuto legittimo e fondato l’accertamento analitico-induttivo, sicché, in ipotesi, avrebbe dovuto essere proposto ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. quale omesso esame di fatto decisivo, individuato nell’asserito stato di crisi.
La diversa prospettazione, peraltro, non può giovare posto che anche per tale profilo, la doglianza sarebbe inammissibile sia perché, trattandosi di sentenza depositata il 16 luglio 2015, la censura non è proponibile ex art. 348 ter c.p.c., sia perché la doglianza è carente in punto di autosufficienza, nulla essendo stato riprodotto in relazione all’asserito fatto, sia perché, in ogni caso, essa mira in realtà a contestare l’adeguatezza della motivazione.
3. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, tuir per aver la CTR ritenuto difettante di inerenza i costi relativi alla fattura relativa a “consulenze di mercato per l’anno 2009” emessa da altra società del medesimo gruppo per il solo fatto che il documento era generico e senza considerare l’organizzazione imprenditoriale di gruppo a monte dell’operazione.
3.1 Il motivo è infondato e al limite dell’inammissibile.
3.2 Va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la prova dell’inerenza di una operazione incombe sul contribuente (ex multis Cass. n. 18904 del 17/07/2018, per la quale «ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato»; v. anche Cass. n. 8001 del 22/03/2021 in tema di costi infragruppo).
3.3 Nella specie la CTR ha rilevato che l’Ufficio aveva fornito elementi idonei a disconoscere i costi posto che non solo la fattura era generica ma la stessa società che, astrattamente, avrebbe fornito la indicata consulenza non si occupava, per statuto, di simili compiti e, inoltre, la determinazione dell’importo era ancorata ad attività anteriori poiché riguardavano il 2008 (dal mese di agosto), elementi tutti che deponevano per ritenere i costi carenti non solo per inerenza ma anche per certezza e competenza, senza che la contribuente – come era suo onere – avesse fornito prova contraria.
3.4 Quanto all’asserita omessa valorizzazione dell’organizzazione imprenditoriale di gruppo, va sottolineato la genericità della deduzione della ricorrente, carente di autosufficienza e, comunque, priva di riscontro, richiedendosi, per contro, la specifica allegazione e prova degli elementi necessari in ordine all’asserita ripartizione di funzioni tra le diverse strutture societaria.
4. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, sono regolate per soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessive € 4.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.