CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 36373 depositata il 29 dicembre 2023
Lavoro – Pensionamento – Differenze retributive derivanti dall’inquadramento nel livello Quadro B in luogo del livello Quadro A – Causa estintiva tacita di una pattuizione contrattuale collettiva scritta – Inammissibilità
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Lecce, in parziale accoglimento dell’appello di F.P.G,. avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi che aveva respinto una serie di sue domande proposte nei confronti di ENAV dopo il pensionamento dall’1/6/2010, dichiarava il suo diritto a percepire le differenze retributive derivanti dall’inquadramento nel livello Quadro B in luogo del livello Quadro A dall’1/7/2008 al 31/5/2010, pari a € 3.178;
2. per quanto qui ancora rileva, la Corte distrettuale disattendeva la tesi datoriale relativa all’esistenza di circostanza estintiva dell’obbligazione economica assunta dall’ente nei confronti dei propri dipendenti in ragione dell’art. 27 CCNL per i dipendenti ENAV 2008/2011, in forza di sopravvenuto accordo tacito con le OO.SS. per la disapplicazione per mutuo consenso della norma contrattuale a fondamento delle rivendicazioni dell’ex-dipendente in quiescenza; il giudice d’appello osservava che, di fronte a un’esplicita previsione contrattuale, il diritto del singolo non potesse essere pretermesso da una difforme volontà delle parti sociali non esplicitata né formalizzata in un atto contrario con la medesima forma di quello che viene modificato, così come, invece, avvenuto con il successivo contratto collettivo del 2012 (che, appunto, aveva esplicitamente escluso la differenza tra le categorie di Quadro); proprio l’approvazione esplicita e concordata della modifica contrattuale confermava la necessaria forma scritta e l’insufficienza di un tacito comportamento delle parti per la disapplicazione di fatto del CCNL valido fino al 2012, nella parte in cui prevedeva la differenza tra due diversi livelli di Quadro;
3. per la cassazione della predetta sentenza ricorre ENAV con 2 motivi; resiste l’ex-dipendente con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
Considerato che
1. con il primo motivo, l’ente ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, n. 4, 1372, 2077 c.c.: sostiene l’erroneità della sentenza impugnata, poiché la distinzione tra Quadri direttivi (profilo A) e Quadri funzionari (profilo B) era in realtà rimasta sulla carta e, con il consenso delle parti sociali, mai attuata dal datore di lavoro, sino a quando tale distinzione era del tutto scomparsa nel nuovo elaborato contrattuale del 2012; di conseguenza contesta l’affermazione che per risolvere l’accordo contrattuale di cui all’art. 27 CCNL di categoria fosse necessario un atto della medesima forma e non fosse possibile un mutuo consenso esplicito, benché non scritto;
2. con il secondo motivo viene dedotta (art 360, n. 4, c.p.c.) violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la Corte territoriale pronunciata in ordine all’eccezione con cui il datore di lavoro ha sostenuto che l’art. 27 del CCNL di categoria in questione non aveva mai avuto vigenza per mutuo consenso;
3. i motivi sono da trattare congiuntamente in quanto connessi, e risultano inammissibili;
4. essi sono entrambi relativi all’eccezione di estinzione per mutuo consenso (ovvero mancata entrata in vigore) della clausola contrattuale collettiva che prevedeva, prima della sua espressa soppressione, due categorie di Quadro, clausola sulla base della quale l’originario ricorrente ha fondato la propria rivendicazione di differenze retributive nella misura accolta dalla Corte di Lecce;
5. in sostanza, parte ricorrente si duole del fatto che la circostanza della soppressione della distinzione tra le categorie di Quadro nella successiva versione del contratto collettivo sia stata valutata, nella sentenza gravata, come espressione, elemento sintomatico della necessità di espressa abrogazione scritta della clausola (a sua volta) scritta, anziché come ratifica di una disapplicazione per mutuo consenso già consolidata, secondo la ricorrente, nella prassi (non) applicativa nel periodo della sua vigenza formale;
6. tuttavia, così argomentando, parte ricorrente si pone sul terreno del mero dissenso motivazionale circa l’accertamento in fatto (della mancanza) di circostanze comprovanti una causa estintiva tacita di una pattuizione contrattuale collettiva scritta, e sugli elementi da cui trarre o meno l’esistenza del dedotto mutuo consenso, elementi di fatto non esaminabili in sede di legittimità a fronte di una motivazione del tutto congrua e logica sul punto, quale quella contenuta nella sentenza impugnata; dissenso non sull’interpretazione della norma collettiva, ma sulla prova (valutata nel merito insussistente) della sua abrogazione implicita successivamente ratificata dall’abrogazione esplicita, questione la cui considerazione, perciò, non è stata omessa, formando, al contrario, il nucleo centrale della decisione;
7. la sussumibilità delle doglianze in esame nell’ambito dell’accertamento in fatto si desume dalla giurisprudenza di questa Corte che ha chiarito che l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360, n. 5, c.p.c., tempo per tempo vigente (Cass. n. 29781/2017, n. 13660/2018); si tratta di pronunce relative a contratti di lavoro individuali a tempo determinato, ma il sottostante ragionamento è valido anche in questa materia, non vertendosi sull’interpretazione dalla clausola contrattuale collettiva, ma sulla prova di un accordo tra le parti per fatti concludenti e, a valle, sulla sua effettiva efficacia abrogante, circostanze di fatto ritenute nel merito non dimostrate;
8. in definitiva, anche in questa materia non può darsi ingresso, in alcun modo, ad una surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tenere sempre fermo l’insegnamento di questa Corte secondo cui in sede di legittimità il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione (fatto probatorio-massima di esperienza-fatto accertato) senza che sia consentito alla Corte sostituire una diversa massima di esperienza a quella utilizzata (potendo questa essere disattesa non già quando l’interferenza probatoria non sia da essa necessitata, ma solo quando non sia da essa neppure minimamente sorretta o sia addirittura smentita, avendosi, in tal caso, una mera apparenza del discorso giustificativo) o confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione (cfr. Cass. SS.UU. n. 8054/2014, Cass. n. 14953/2000, richiamate in motivazione da Cass. n. 29781/2017 cit.);
9. parte principale deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio secondo la regola della soccombenza;
10. all’inammissibilità del ricorso principale consegue la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 2.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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