CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 78 depositata il 2 gennaio 2024

Lavoro – Simulazione del rapporto di lavoro subordinato – Insinuazione allo stato passivo del fallimento – Credito per retribuzioni e TFR – Prova della sussistenza del requisito della subordinazione – Inammissibilità

Rilevato che

1. con decreto 15 (comunicato il 16) aprile 2019, il Tribunale di Napoli ha rigettato l’opposizione proposta da V.M., ai sensi dell’art. 98 l. fall., allo stato passivo del F.C. s.r.l., dal quale era stato escluso il credito di € 93.988,12 che egli vi aveva insinuato, ai sensi dell’art. 2751 bis n. 1 c.c., a titolo di retribuzioni da agosto 2013 a giugno 2014 e di T.f.r., per difetto di prova del rapporto di lavoro subordinato, simulato;

2. esso ha, infatti, ritenuto inammissibile la prova orale dedotta, per il difetto di tempestiva allegazione delle relative circostanze e insufficiente la documentazione prodotta, in parte inopponibile per mancanza di data certa anteriore al fallimento e in parte deponente per un rapporto di amministrazione, cui più propriamente riconducibile, a smentita del rapporto di subordinazione dedotto;

3. il Tribunale ha pertanto ravvisato la simulazione del rapporto di lavoro, sulla base della documentazione scrutinata (in particolare: buste paga, lettera di assunzione dell’8 gennaio 2010), priva di data certa e di sottoscrizione del datore di lavoro, adottando il ragionamento presuntivo, ben utilizzabile dal curatore, siccome terzo rispetto al negozio concluso dal debitore, non soggetto ai limiti probatori previsti dall’art. 1417 c.c.;

3. con atto notificato il 16 maggio 2019, V.M. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui il Fallimento ha resistito con controricorso;

4. entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.

5. il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.

Considerato che

1. il ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2120, 2697, 2722, 2723, 2724, 2725, 2726 c.c., 244 c.p.c., 24, 52, 92, 93, 95, 96, 99 l. fall., per erronea esclusione delle prove orali dedotte, in riferimento agli indici rilevanti di accertamento della subordinazione, nel rispetto delle norme fallimentari e civilistiche denunciate di inosservanza (primo motivo); omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione delle parti, di censura della valutazione della prova orale dedotta (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1414, 1417, 2113, 2120, 2126, 2697, 2700, 2712, 2719, 2929 c.c., per la mancanza di prova della simulazione eccepita dalla curatela, senza neppure specificazione se assoluta o relativa, in particolare riferimento al preteso accordo simulatorio e alla causa simulandi, tenuto conto dei numerosi documenti opponibili ad essa, tra i quali la comunicazione obbligatoria Unilav e l’estratto conto contributivo (terzo motivo);

omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione delle parti, in relazione alle prove costituite alla base della pretesa simulazione (quarto motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

3. non si configurano le violazioni di legge denunciate, soltanto enunciate senza alcuna critica selezione di conferenza al caso di specie, non implicando le censure un problema interpretativo delle stesse, né di falsa applicazione della legge, consistente nella sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addica, per inidoneità della fattispecie astratta da essa prevista a regolarla, oppure nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicano la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851). Esse consistono piuttosto nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 29 ottobre 2020, n. 23927), oggi peraltro nei rigorosi limiti del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;

3.1. in particolare, non ricorre la violazione dell’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395);

3.2. nel caso di specie, esso è stato correttamente posto a carico del creditore, siccome onerato della prova dell’esistenza del rapporto di lavoro, quale fatto costitutivo del credito insinuato allo stato passivo del fallimento (Cass. 28 settembre 2006, n. 21028; Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728, che in particolare esclude che, qualora la parte che ne deduce l’esistenza non abbia dimostrato la sussistenza del requisito della subordinazione, occorra la prova, ai fini del rigetto della domanda, anche dell’esistenza del diverso rapporto dedotto dalla controparte; Cass. 28 maggio 2018, n. 13264).

Infatti, il Tribunale ha, in particolare, negato ingresso alla prova testimoniale dedotta, rilevando il difetto di un’adeguata allegazione delle circostanze da cui desumere l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti (così al penultimo capoverso di pg. 3 del decreto), secondo il principio, caratterizzante il rito del lavoro, di circolarità tra oneri di allegazione, di contestazione e di prova (Cass. 24 ottobre 2017, n. 25148);

4. neppure si configura l’omesso esame di alcun “fatto storico”, principale o secondario, consistendo il motivo piuttosto nella deduzione di una mancata valutazione delle risultanze processuali, estraneo all’ambito devolutivo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012 (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940), pure privo del carattere di decisività proprio per la deduzione di una pluralità di fatti, atti e documenti, che esclude ex se la portata risolutiva di ciascuno (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13264);

5. le censure convergono, dunque, sotto profili diversi, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e di ricostruzione della fattispecie operata dal Tribunale, esclusivamente spettanti al giudice del merito, autore di un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato a giustificare il ragionamento logico-giuridico alla base della decisione, insindacabili in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987);

6. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 6.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.