CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 937 depositata il 10 gennaio 2024
Lavoro – Licenziamento – Clausola sociale di riassorbimento – Indennità sostitutiva del preavviso – Continuità con precedente rapporto di lavoro – Rigetto
Rilevato che
1. G.P., V.P., C.R. e G.S., premesso di avere prestato attività di lavoro alle dipendenze del Consorzio G., affidatario del servizio di igiene ambientale del Comune di San Giorgio a Cremano, che, dopo essere stati licenziati dal Consorzio, in applicazione della clausola sociale di riassorbimento di cui all’art. 6.1. del c.c.n.l. FISE ASSOAMBIENTE e della previsione contrattuale contenuta nel capitolato speciale di appalto, erano stati “riassorbiti” tramite assunzione ex novo da B. s,p.a., società subentrata nella gestione del servizio di igiene ambientale presso il detto Comune, adivano il giudice del lavoro chiedendo la condanna del Consorzio G. al pagamento della indennità sostitutiva del preavviso;
2. il giudice di primo grado rigettava la domanda;
3. la Corte di appello di Salerno, in riforma della decisione di primo grado, pacifico il mancato rispetto del termine di preavviso da parte del Consorzio G., ha condannato quest’ultimo al pagamento in favore degli appellanti delle somme per ciascuno indicate in dispositivo, oltre accessori, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso;
4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso il Consorzio G. sulla base di un unico articolato motivo illustrato con memoria; gli intimati non hanno svolto attività difensiva;
Considerato che
1. con unico articolato motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti di imprese e società esercenti servizi ambientali – FISE ASSOAMBIENTE – del 6 dicembre 2016 ed in particolare del comma 1, dei canoni legali di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e 1363 e sgg. c.c., nonché difetto e insufficienza di motivazione.
Censura la decisione per non avere valorizzato nella interpretazione delle norme collettive il canone ermeneutico rappresentato dal criterio letterale; in questa prospettiva evidenzia che il dato testuale non offriva elementi per affermare il diritto dei lavoratori, assunti con continuità dall’impresa subentrante nella gestione del servizio in oggetto, all’indennità sostitutiva del preavviso; contesta quindi la esclusione della natura consensuale della risoluzione del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’impresa cessata in considerazione del fatto che la norma contrattuale faceva comunque salvo il diritto del lavoratore di decidere se continuare o meno a prestare la propria attività nell’ambito dell’appalto seppure alle dipendenze del soggetto diverso; assume che l’automatismo del riassorbimento occupazionale e la garanzia del mantenimento delle precedenti condizioni di lavoro (retribuzione, profili professionali ecc.) con la impresa subentrante giustificava la mancata previsione nella disciplina collettiva di un meccanismo sanzionatorio in ipotesi di inosservanza del termine di preavviso;
sostiene che era da escludere ogni contrasto di tale regolamentazione con il principio, costantemente affermato dal giudice di legittimità, secondo il quale il preavviso si pone come condizione di liceità del recesso la cui inosservanza è sanzionata con l’obbligo di corrispondere un’indennità sostitutiva;
2. il motivo è infondato.
2.1. ritiene il Collegio, nell’esercizio del sindacato in funzione paranomofilattica attribuito a questa Corte dalla attuale formulazione del n. 3, comma 1, dell’art. 360 c.p.c., come modificato dall’art. 2 del d.gs. n. 40 del 2006, – (Cass. 18/12/2014 n. 26738; Cass. 19.3.2014; Cass. 19/03/2014 n. 6335; Cass. Sez. Un. 23/09/2010, n. 20075), che l’approdo ermeneutico al quale è pervenuta la Corte di merito nella interpretazione del contratto collettivo sia frutto di corretta e condivisibile applicazione delle regole legali di interpretazione;
2.2. l’art. 6 c.c.n.l. applicabile, rubricato “Avvicendamento di imprese nella gestione dell’appalto/affidamento di servizi”, definito in premessa l’ambito soggettivo di applicazione della relativa disciplina, per la parte di interesse così recita: “1. Alla scadenza del contratto di appalto/affidamento ovvero in caso di revoca della gestione del servizio, il rapporto di lavoro tra l’impresa cessante e il personale a tempo indeterminato addetto in via ordinaria o prevalente allo specifico appalto/affidamento è risolto, salvo diverso accordo tra le parti, a termini dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, con la corresponsione di quanto dovuto al personale stesso per effetto di tale risoluzione.
In deroga all’art. 75 del vigente c.c.n.l., il preavviso è di 15 giorni calendariali rispetto alla data di scadenza effettiva del contratto di appalto/affidamento in essere ovvero rispetto alla data di cessazione anticipata della gestione del servizio per effetto di revoca. Qualora la data di notifica della revoca non consenta di osservare il predetto termine, il preavviso è ridotto a 8 giorni calendariali. 2. L’impresa subentrante assume ex novo, con passaggio diretto, dal giorno iniziale della nuova gestione in appalto/affidamento previsto dal bando di gara, senza effettuazione del periodo di prova, tutto il personale addetto in via ordinaria o prevalente allo specifico appalto/affidamento, il quale, alla scadenza effettiva del contratto di appalto, risulti in forza presso l’azienda cessante per l’intero periodo di 240 giorni precedenti l’inizio della nuova gestione. …. “ .
2.3. con l’articolo in esame, quindi, le parti collettive hanno inteso dettare la disciplina relativa all’ipotesi – fisiologica nel caso di appalto di servizi – della cessazione della gestione del servizio (alla scadenza naturale o per revoca) oggetto di appalto da parte di un’impresa e del subentro alla stessa di un’ impresa diversa; ciò con l’evidente intento di evitare negative ricadute occupazionali sui dipendenti della impresa che ha cessato l’appalto, ai quali è stata garantita la “continuazione” del rapporto di lavoro, sostanzialmente alle medesime condizioni, con l’impresa subentrante. Il meccanismo a tal fine prefigurato dalle parti collettive, quale evincibile dalla piana lettura del punto 1 dell’art. 6 c.c.n.l. cit., è stato quello della previa risoluzione del rapporto di lavoro con l’impresa cessante e della assunzione, ex novo, in sostanziale continuità con il precedente rapporto di lavoro, dei dipendenti aventi diritto, tra i quali per come pacifico gli odierni intimati, da parte dell’impresa subentrante. Tanto esclude già in astratto che il passaggio alle dipendenze della nuova impresa appaltatrice sia riconducibile, come pure sembra adombrarsi in ricorso, all’ambito della cessione del contratto, posto che per espressa previsione pattizia l’assunzione presso l’impresa subentrante richiede la previa risoluzione del precedente rapporto di lavoro. Il rapporto di lavoro che si verrà ad instaurare con l’impresa subentrante è quindi, per volontà delle parti collettive, un rapporto nuovo rispetto a quello cessato ed in relazione a tale vicenda non vi è spazio per la configurabilità giuridica di una cessione del contratto di lavoro;
2.4. quanto alla cessazione del rapporto di lavoro con il precedente soggetto datore, questione che assume diretto interesse al fine della verifica della fondatezza della pretesa all’indennità sostitutiva del preavviso, la modalità di risoluzione è stata dalle parti collettive individuata, salvo diverso accordo tra le parti, nel negozio unilaterale di recesso da parte del datore di lavoro, come reso, tra l’altro, palese dall’esplicito riferimento nel comma 1 dell’art. 6 c.c.n.l. cit. all’ art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 che, come noto, regola le ipotesi di licenziamento con preavviso per giustificato motivo, soggettivo e oggettivo;
2.5. nella fattispecie in esame, per come incontestatamente accertato dalla Corte di appello, il rapporto di lavoro degli originari ricorrenti è cessato per effetto di licenziamento intimato senza rispetto del termine di preavviso, e non in via consensuale come pure previsto dalle disciplina collettiva, e tanto esclude la rilevanza di ogni profilo legato a tale presunta modalità di cessazione. Né la consensualità della cessazione del rapporto di lavoro, con conseguente esclusione del diritto dei dipendenti al preavviso, può essere recuperata, come prospetta parte ricorrente, in considerazione della sostanziale accettazione da parte del dipendente dell’assunzione presso la impresa subentrante; invero, tale momento si colloca in uno spazio temporale successivo e concettualmente distinto rispetto alla estinzione del rapporto di lavoro con l’impresa cessata; inoltre, come bene evidenziato dalla sentenza impugnata, il lavoratore, in definitiva, si trova a “subire” il cambio appalto e con esso la perdita del rapporto di lavoro con l’impresa cessata; in tale contesto non vi è ragione di negare il diritto del lavoratore alla fruizione del periodo di preavviso;
2.6. di tanto hanno mostrato di essere ben consapevoli le parti collettive, sia quando hanno fatto riferimento, quale modalità ordinaria di estinzione del rapporto di lavoro con la impresa cessata, al licenziamento con preavviso ex art. 3 l. n. 604/1966 sia quando hanno dettato in tema di diritto al preavviso una specifica disciplina – in deroga a quella generale dettata dall’art. 75 c.c.n.l.- per l’ipotesi del licenziamento intervenuto nell’ambito dell’avvicendamento fra imprese di cui all’art. 6 c.c.n.l. . Le parti collettive hanno stabilito infatti che il termine di preavviso fosse di quindici giorni in luogo dei maggiori termini stabiliti dal detto art. 75 c.c.n.l. . In tal modo le organizzazioni stipulanti hanno mostrato di ritenere che la garanzia occupazionale rappresentata dalla previsione di assunzione presso la impresa subentrante non elideva l’interesse del lavoratore ad un periodo di preavviso ma solo ne giustificava una durata più ridotta rispetto alla ipotesi ordinaria di licenziamento;
2.7. la ricostruzione della disciplina collettiva nei termini di cui sopra, frutto della piana lettura, testuale e sistematica, delle disposizioni pattizie negoziate dai soggetti stipulanti, risulta coerente con le ripetute affermazioni di questa Corte in tema di finalità del preavviso ex art. 2118 c.c. ravvisate, in relazione alla posizione del prestatore di lavoro, nell’esigenza di impedire da un lato che questi si trovi all’improvviso e contro la sua volontà di fronte alla rottura del contratto ed in conseguenza di ciò, versi in una imprevista situazione di disagio economico, e, dall’altro, in quella di consentire che il lavoratore stesso possa usufruire di un tempo minimo per trovarsi una nuova occupazione o di organizzare la propria esistenza nell’imminenza della cessazione del rapporto di lavoro. Non può infatti escludersi in radice, pur a fronte della garanzia di una nuova occupazione a condizioni sostanzialmente immutate con l’impresa subentrata nell’appalto, la esigenza per il lavoratore licenziato di uno spazio temporale che gli consenta di verificare possibili alternative occupazionali. In tale contesto va riaffermato l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso in ogni caso di licenziamento in cui non ci sia stato un preavviso lavorato e ciò, come già chiarito ripetutamente da questa Corte, senza eccettuare l’ipotesi in cui il lavoratore licenziato abbia immediatamente trovato un’altra occupazione lavorativa e neppure nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva preveda un procedimento per pervenire al passaggio diretto e immediato del personale dell’impresa cessante nell’appalto di servizi alle dipendenze dell’impresa subentrante lasciando ferme la risoluzione del rapporto di lavoro e la corresponsione di quanto dovuto per effetto della risoluzione stessa da parte dell’impresa cessante (Cass. n. 24530 del 2015, Cass., n. 1148 del 2014);
3. in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto;
4. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo gli intimati svolto attività difensiva;
5. ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese di lite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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