Corte di Cassazione ordinanza n. 9518 depositata il 24 marzo 2022
studi di settore – onere della prova – esclusione
Fatti di Causa
La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia Delle Entrate nr RJP01A501403 /2009 , nei confronti di C.G., in particolare per effetto della applicazione degli studi di settore di cui all’art. 62 bis del decreto-legge nr. 331/93, erano individuati maggiori ricavi , con conseguente rimodulazione della pretesa fiscale.
Tale atto era impugnato dalla società intimata che si doleva della illegittimità dell’accertamento, che si basava sul mero scostamento della dichiarazione rispetto agli studi di settore . Si costituiva l’Agenzia che ribadiva come i motivi di opposizione erano già stati valutati dall’ufficio in sede di contraddittorio preventivo.
La Ctp di Palermo respingeva il ricorso, ritenendo sufficienti per la determinazione del maggior reddito lo scostamento.
L’appello proposto dal contribuente era accolto dalla Ctr in quanto lo scostamento rispetto agli studi di settore dipendeva proprio dalla crisi che aveva colpito il settore del commercio delle auto usate, oggetto dell’attività di impresa del contribuente.
Propone ricorso in Cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi ad un unico motivo così sintetizzabile :
1) Violazione e /o falsa applicazione dell’art. 62 bis, del decreto legge 30.8.1993 n. 331 conv. nella legge 29.10.1993 n. 427 nonché dell’art. 39 primo comma lett. D , del dpr n. 600/1973 e dell’art. 54 del dpr 633/1972 in relazione all’art. 360 i comma n. 3 cpc .
Si costituiva il contribuente, con controricorso, chiedendo che il ricorso fosse dichiarato inammissibile o infondato .
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo il ricorrente si duole che la CTR non abbia applicato i principi di diritto, avendo considerato che i risultati conseguenti alla applicazione degli studi di settore fossero un semplice elemento indiziario, non in grado di supportare l’accertamento.
Il motivo è infondato.
In primis occorre evidenziare, che prima di emettere l’avviso impugnato l’Agenzia ha instaurato un contraddittorio con il contribuente per verificare le ragioni dello scostamento tra gli indici standardizzati ed i dati dichiarati, in quella sede il contribuente aveva evidenziato la crisi che aveva colpito il settore determinando nel 2007 la cessazione della attività.
Pertanto, nella fase endo-procedimentale era stato attivato il contraddittorio nell’ambito del quale il contribuente aveva potuto svolgere le proprie tesi difensive. In altri termini per effetto ed in esito al contraddittorio, l’Agenzia aveva l’obbligo di valutare gli argomenti difensivi dedotti, al fine di considerare se le presunzioni su cui si basano gli studi di settore dovevano, potessero trovare applicazione nel caso concreto. Proprio l’instaurazione di questo contraddittorio preventivo autorizzava il contribuente a contestare l’applicazione dei parametri, provando le circostanze concrete che giustificassero lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio – ove non ritenesse attendibili le allegazioni di parte – ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento.
Nel caso il giudice di appello non ha violato alcuna disposizione di legge non avendo messo in dubbio la possibilità giuridica per l’ufficio di trarre la prova dell’occultamento di reddito proprio per effetto della divergenza di quanto dichiarato dal contribuente ed i risultati degli studi di settore, ritenendo invece che nel concreto il contribuente avesse dato la prova della non applicabilità nel caso specifico degli studi di settore, con valutazione di merito non oggetto di riesame in questa sede . Secondo la disciplina vigente, tenendo conto anche dei principi giurisprudenziali in materia, il contribuente ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame. Nel caso con valutazione di fatto immune da censure la Ctr ha ritenuto che, tenendo conto anche dello scarto poco rilevante tra fatturato dichiarato e quello desumibile dagli studi di settore come riportato nel ricorso (2.154.792 dichiarato e quello desunto da studi settore di 2.329.967,00 con una modesta differenza del 7/8% ), la crisi, che colpì il settore della compravendita delle auto usate era tale da giustificare la non applicazione al caso concreto degli studi di settore anche alla luce che l’imprenditore dovette cessare l’attività poco tempo proprio per la mancanza di rimuneratività.
In altri termini il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata visto che nel caso la Ctr non ha escluso la validità degli studi di settore in astratto, bensì a seguito di valutazioni di dati economici ed in particolare della crisi del settore e della cessazione della attività di lì a poco, ha ritenuto non applicabili al caso concreto, e quindi il ricorrente ha tralasciato di valutare in concreto le argomentazioni svolte dalla Ctr limitandosi a mere e generiche affermazioni di principio. Le spese seguono la soccombenza e liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del grado liquidate in euro 5600 oltre oneri di legge
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