CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 dicembre 2019, n. 31528
Licenziamento – Calo delle vendite – Riorganizzazione del lavoro – Domanda diretta alla corresponsione dell’indennità supplementare – Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 134/2018 del 21 maggio 2018, respingeva il reclamo proposto da E.H. e confermava la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Modena che aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimato al ricorrente dalla società S.I. s.p.a. e, per l’effetto, aveva rigettato la domanda del dirigente diretta alla corresponsione dell’indennità supplementare ex art. 19 CCNL Dirigenti Imprese Industriali.
2. Osservava la Corte di appello che, alla stregua delle risultanze istruttorie, doveva escludersi il carattere arbitrario del licenziamento e doveva ravvisarsi la sua giustificatezza, in quanto:
– a seguito del calo delle vendite dei prodotti del marchio A., l’appellata aveva riorganizzato il lavoro assegnando ad alcune risorse interne i compiti di Direttore Commerciale Estero precedentemente espletati dal ricorrente;
– il licenziamento era fondato sulla decisione del Consiglio di Amministrazione della società appellata di affidare all’Amministratore delegato, sig. G., la diretta responsabilità della direzione e della gestione di tutte le attività di carattere commerciale estero della Divisione A.;
– a seguito del licenziamento, i contatti con gli agenti per l’estero vennero effettivamente tenuti dal predetto G. e, dopo il suo decesso, da un’impiegata part- time;
– la finalità di ottenere un risparmio di spesa deve ritenersi pienamente ammissibile nell’ottica del contenimento dei costi che assiste sempre l’iniziativa economica del datore di lavoro.
3. Per la cassazione di tale sentenza E.H. ha proposto ricorso affidato a sei motivi, cui ha resistito con controricorso la società S.I. s.p.a.
4. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.) e nullità della sentenza per non avere pronunciato sul reale contenuto dell’appello, non tenendo in considerazione le doglianze del reclamante in ordine al fatto che, dopo il licenziamento, il signor G. non aveva mai effettivamente assunto, né tantomeno svolto, le mansioni di direttore commerciale estero di Savoia Italia S.p.A. per la divisione A..
In particolare, era stato dedotto che il predetto G. non aveva mai espletato le attività imprescindibili e peculiari di tale funzione aziendale, quali la visita dei clienti all’estero per la promozione e la vendita dei prodotti commercializzati alla società o la strutturazione della rete distributiva aziendale mediante la selezione di agenti e rivenditori. In ordine a tale circostanza, dedotta come motivo fondamentale dell’impugnazione, la sentenza aveva omesso di pronunciare.
2. Con il secondo motivo si denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.), rappresentato dalla circostanza che il signor G. era affetto da una grave malattia che gli impediva di esercitare il ruolo di direttore commerciale per l’estero.
3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2118 e 2119 cod. civ., e degli artt. 1 e 3 legge n. 604 del 1966 e dell’art. 19 CCNL dirigenti industriali, nella parte in cui la sentenza ha ritenuto la giustificatezza del licenziamento, omettendo di considerare il carattere falso, pretestuoso e generico della motivazione addotta dal datore di lavoro, con conseguente violazione del principio di buona fede e correttezza.
Si sottolinea che, anche nel caso di licenziamento del dirigente, è pur sempre necessario che l’atto di recesso datoriale si fondi su fatti veri e reali, cioè su ragioni obiettive ed effettive, oltre che apprezzabili sul piano del diritto, e che il recesso sia giustificato da motivazione coerente.
4. Con il quarto motivo si denuncia nullità della sentenza e del procedimento per omissione di una reale motivazione della sentenza stessa o per mera apparenza di essa con violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., per avere del tutto omesso di argomentare in ordine a fatti storici decisivi ai fini del decidere e cioè, da un lato, che sig. G. era gravemente ammalato e, dall’altro, che anche in considerazione della malattia, il predetto non viaggiava, non si recava all’estero per visitare i clienti, né per promuovere l’immagine dell’azienda e la vendita dei suoi prodotti e non partecipava alla strutturazione della rete commerciale estera.
Si sostiene poi che neppure era consentito al giudice di appello fare riferimento alla circostanza, non oggetto della comunicazione datoriale e pertanto irrilevante e pure esulante dal tenore dell’atto di reclamo, relativa alla ripartizione delle attività già svolte dal dott. H. tra altri dipendenti.
5. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2118 e 2119 cod. civ., dell’art. 3 legge n. 604 del 1966 e dell’art. 19 CCNL Dirigenti Industriali.
Il motivo è formulato in via condizionata all’accoglimento dei precedenti (“…in conseguenza degli errori e vizi denunziati ai precedenti motivi di ricorso…”) e attiene al mancato riconoscimento del diritto alla indennità supplementare prevista dall’articolo 19 C.C.N.L. 25 novembre 2009 per il caso di ingiustificatezza del licenziamento del dirigente.
6. Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e dell’art. 13, comma 1, d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo modificato dalla legge 228 del 2012, per avere la Corte d’appello condannato l’appellante al pagamento le spese legali relative al secondo grado di giudizio, confermando altresì la statuizione di condanna al pagamento delle spese di primo grado, e al raddoppio del contributo unificato del grado di appello, quale conseguenza dell'”erroneo rigetto dell’appello principale” proposto dal reclamante.
7. I primi quattro motivi sono infondati, con assorbimento del quinto e del sesto, in quanto il relativo esame presuppone l’accoglimento dei precedenti.
7.1. Innanzitutto, va ribadito il principio, più volte affermato in sede di legittimità, che il licenziamento individuale del dirigente d’azienda può fondarsi su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale, che non debbono necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione, dato che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. (Cass. n. 12668 del 2016). In particolare, la nozione di giustificatezza del recesso (che si discosta da quella di giustificato motivo) è ravvisabile ove sussista l’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario e non emerga, in base ad elementi oggettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione; il giudice deve limitarsi al controllo sull’effettività delle scelte imprenditoriali poste a base del licenziamento, non potendo sindacare il merito di tali scelte, garantite dal precetto di cui all’art. 41 Cost. (Cass. n. 9665 del 2019).
7.2. Tanto premesso, l’accertamento del giudice di merito ha riguardato l’effettività della scelta imprenditoriale, senza sindacare nel merito le ragioni economiche che determinarono la determinazione aziendale di sopprimere il posto di lavoro di livello dirigenziale occupato dall’odierno ricorrente al fine di realizzare un’economia di costi.
8. Il ricorrente incentra il complesso dei motivi del ricorso sul rilievo, a suo avviso determinante e non debitamente considerato dal giudice di appello, che il sig. G., Amministratore delegato della società, che gli subentrò nella responsabilità e nella gestione del settore commerciale estero del ramo aziendale relativo alla produzione A., in realtà non avrebbe svolto o non avrebbe potuto svolgere tali funzioni, implicanti non solo contatti con gli agenti di commercio, ma anche spostamenti e viaggi all’esterno e una serie di compiti a lui preclusi dalla gravità delle condizioni di salute in cui versava e che di lì a poco ne avrebbero causato la morte.
8.1. Tuttavia, la valutazione della non pretestuosità del licenziamento del dirigente è stata condotta correttamente dalla Corte di appello, che ha accertato l’effettività della soppressione della posizione lavorativa occupata dal ricorrente, con redistribuzione delle relative funzioni all’Amministratore delegato e, dopo il suo decesso, ad altri dipendenti assegnati al medesimo settore.
8.2. La circostanza di come abbia svolto tali mansioni il sig. G. non è stata esaminata dalla Corte in quanto, all’evidenza, ritenuta ininfluente ai fini del decidere. La ratio decidendi risiede nell’avere la Corte di appello escluso la violazione di buona fede e correttezza nella determinazione dell’impresa, a fronte del calo delle vendite, accertato in giudizio, di valutare conveniente procedere nell’immediato ad una riduzione dei costi relativi alla posizione dirigenziale occupata dal dott. H. e affidare al legale rappresentante della società in prima persona la responsabilità del settore, e ciò indipendentemente dai risultati che ne sarebbero conseguiti.
9. Più volte è stato affermato da questa Corte che le ragioni inerenti all’attività produttiva attengono a scelte riservate all’imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell’azienda anche dal punto di vista economico ed organizzativo, sicché esse, quando siano effettive e non simulate o pretestuose, non sono sindacabili dal giudice quanto ai profili della congruità ed opportunità e, quanto alla possibilità di soppressione di una posizione organizzativa con redistribuzione dei compiti tra il personale già in forza nell’azienda, che non solo la giustificatezza del licenziamento del dirigente, ma anche la (più stringente) ragione costituita dal giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ex art. 3 della I. n. 604 del 1966, è ravvisabile anche soltanto in una diversa ripartizione di determinate mansioni fra il personale in servizio, attuata ai fini di una più economica ed efficiente gestione aziendale. In tale ultima evenienza è verificabile dal giudice di merito il nesso causale fra la scelta imprenditoriale e il licenziamento e nel caso in esame tale verifica è stata condotta dal giudice di merito in conformità ai suddetti principi.
10. Quanto ai rilievi di omesso esame di un motivo di reclamo (art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.) e di nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione (art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.), è sufficiente rilevare che la sentenza ha trattato l’argomento su cui si incentrano tutte le doglianze dell’attuale ricorrente, osservando che l’istruttoria aveva avvalorato l’effettività della causale del recesso, la quale – occorre ribadire – non poteva riguardare la capacità o idoneità del sig. G. a svolgere tutte le mansioni prima espletate dal ricorrente (questione irrilevante ai fini del decidere), ma l’avvenuta (e non fittizia) assunzione della “diretta responsabilità della direzione e gestione di tutte le attività di carattere commerciale estero della Divisione A.”, costituente la ragione posta a base del recesso, da parte dell’Amministratore delegato, sig. F.G..
11. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
12. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13 (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma1-bis, dello stesso articolo 13.