CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 aprile 2018, n. 8247
Tributi – Credito di imposta – Compensazione – Tardivo pagamento – Principio del favor rei
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 80 del 29 luglio 2009 la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia rigettava l’appello proposto dal Consorzio M.I.B. – School of Management avverso la statuizione di primo grado che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto dal predetto consorzio avverso l’atto di irrogazione della sanzione per aver effettuato, in relazione all’anno di imposta 2000, la compensazione dell’imposta a credito eccedente l’importo massimo previsto dall’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 241 del 1997.
1.1. Sostenevano i giudici di appello che l’anticipata ed illegittima compensazione aveva comportato un sostanziale tardivo pagamento dell’imposta pacificamente dovuta in quanto, attraverso la non consentita compensazione della parte di credito eccedente l’importo massimo compensabile ai sensi del citato art. 25, aveva determinato un «omesso versamento del debito corrispondente al credito erroneamente portato in compensazione»; che al caso di specie, in cui veniva in rilievo l’omesso versamento dell’imposta dovuta per l’anno di imposta 2000, non era applicabile né la disposizione di cui all’art. 8 della legge n. 212 del 2000, avente efficacia a decorrere dall’anno 2002, né la causa di non punibilità delle violazioni meramente formali di cui all’art. 6, comma 5 bis, del d.lgs. n. 472 del 1997 (erroneamente indicato in sentenza come d.lgs. n. 471 del 1997), tale non potendosi qualificare la violazione accertata.
2. Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrati con memoria, cui replica l’intimata con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’illogica ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata sul fatto controverso e decisivo costituito dalla natura, sostanziale o meramente formale, della violazione commessa dalla società contribuente. Sostiene la ricorrente che la CTR ha dapprima affermato la natura sostanziale della violazione commessa dalla contribuente, stante il tardivo pagamento dell’imposta pacificamente dovuta ma illegittimamente compensata, oltre l’importo massimo previsto ex lege, e successivamente sostenuto che la violazione era meramente formale.
2. Il motivo, a prescindere dal rilievo che viene inammissibilmente dedotta l’illogicità e l’insufficienza della motivazione laddove, invece, viene sostanzialmente prospettata un’intrinseca contraddizione della statuizione impugnata, è infondato e va rigettato.
2.1. Deve, infatti, escludersi che la CTR abbia ritenuto che quella commessa dalla società contribuente fosse violazione di natura formale laddove ha affermato che l’art. 6, comma 5 bis, del d.lgs. n. 472 del 1997 (erroneamente indicato in sentenza come d.lgs. n. 471 del 1997) «introduceva una causa di non punibilità per le violazioni meramente formali applicabili, per il principio del “favor rei”, anche nel caso di specie, ma con la specificazione che non punibili sono “le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo”». Invero, è la società contribuente ad interpretare erroneamente tale affermazione atteso che la CTR non sostiene che quella accertata è violazione di tipo formale, ma che “nel caso di specie” é applicabile, per il principio del favor rei, il comma 5 bis dell’art. 6 decreto citato, introdotto dall’art. 7, lett. a), del d.lgs. n. 32 del 2001, per poi però precisare che «la violazione aveva determinato un omesso tempestivo versamento del tributo, come tale sanzionabile anche alla luce del disposto del citato art. 6 comma 5 bis» d.lgs. n. 472 del 1997 (erroneamente indicato in sentenza come «D.Lgs. 427/97»).
3. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omessa e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sul fatto controverso e decisivo costituito dalla equiparazione al tardivo versamento dell’utilizzo del credito di imposta oltre l’importo massimo consentito, «senza pronunciarsi sulla richiesta di applicazione della sanzione in misura ridotta, formulata dal ricorrente in via subordinata, fin dal primo grado di giudizio» e «sulla violazione dei principi che informano il sistema sanzionatorio tributario (e penale) tra cui quello di legalità, gradualità e ragionevolezza». Sostiene inoltre la ricorrente che la CTR non avrebbe esaminato ¡^numerosi elementi che, se adeguatamente valutati, lo avrebbero comunque, e indipendentemente dall’adesione alla tesi dell’Ufficio, indotto a dichiarare che nel caso di specie la sanzione non era comunque irrogabile (o al più irrogabile in misura ridotta)» (ricorso, pag. 14), né aveva motivato sulla mancanza di danno per l’erario.
4. Il motivo è ¡rifondato ed inammissibile.
5. E’ inammissibile per diverse convergenti ragioni, la prima delle quali va ravvisata nell’erronea sussunzione del vizio dedotto che, con riferimento ai motivi sui quali la CTR non si sarebbe pronunciata, maschera, dietro lo schermo del vizio motivazionale, la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
5.1. La seconda ragione di inammissibilità va individuata nel difetto di autosufficienza del motivo laddove omette di indicare i «numerosi elementi» dei quali lamenta l’omesso esame da parte dei giudici di appello.
6. A quanto detto aggiungasi che la sentenza impugnata non incorre affatto nel vizio denunciato posto che la CTR ha fornito adeguata motivazione delle ragioni della decisione adottata, avendo molto chiaramente affermato che «l’anticipata ed illegittima compensazione ha comportato un sostanziale tardivo pagamento dell’imposta pacificamente dovuta», avendo la società contribuente omesso di versare alla scadenza prevista il debito «corrispondente» alla parte di credito erroneamente portato in compensazione. Quanto al danno per l’erario, la riproduzione in sentenza del contenuto integrale del comma 5 del più volte citato art. 6 d.lgs. n. 472 del 1997, con la sottolineatura delle espressioni “non incidono […] sul versamento del tributo”, rende ragione della palese infondatezza della denunciata omissione motivazionale.
7. Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., posto in correlazione con l’art. 111 Cost. per non avere la CTR pronunciato su diversi motivi di appello.
8. La censura in esame è inammissibile per violazione dei canoni di specificità ed autosufficienza che presiedono alla redazione dei motivi di ricorso per cassazione, avendo la ricorrente fatto generico riferimento ad una serie di richieste avanzate ai giudici di appello a sostegno della tesi della natura della violazione contestata (soltanto formale), diversa da quella (sostanziale) ritenuta dall’amministrazione finanziaria, prima, e dai giudici di merito, poi, omettendo di riportare il contenuto delle domande rivolte ai giudici di appello e di indicare il luogo, il tempo e la fase della deduzione del motivo, viepiù richiesto nella specie con riferimento all’omessa pronuncia sul motivo di impugnazione dell’atto sanzionatorio con cui aveva dedotto la violazione dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 462 del 1997 (per omessa comunicazione dell’esito del controllo), posto che di tale domanda non vi è traccia neppure nella parte illustrativa dello svolgimento del processo della sentenza impugnata.
8.1. Al riguardo deve ricordarsi che, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riprodotte puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte. Tanto al fine di consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività, sulla base del solo ricorso proposto (cfr. cass. n. 3610 del 2016 che richiama Cass. Sez. U. n. 15781 del 2005, nonché Cass. n. 1732 e n. 2138 del 2006; n. 5344 del 2013).
9. Con il quarto motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 e 3 d.lgs. n. 472 del 1997. Sostiene la ricorrente che il citato art. 13 sanziona l’omesso o tardivo versamento dell’imposta e che quindi non era applicabile all’ipotesi di specie in cui viene in evidenza soltanto un utilizzo non consentito di un credito di imposta comunque sussistente ed effettivo.
10. La censura è palesemente infondata in quanto la compensazione di un credito d’imposta, seppur legittimamente vantato, in misura superiore al limite annuo previsto dal d.lgs. n. 241 del 1997, art. 25, comma 2, (nella misura di 500 milioni delle vecchie lire, poi elevato ad un miliardo dalla legge n. 388 del 2000, art. 34, comma 1) realizza quel mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti (cfr. Cass. n. 18080 del 2017, conf. a Cass. n. 18369 del 2012, n. 25525 e 25526 del 2014 e n. 23755 del 2015).
11. Con il quinto motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 2 e 5 bis, d.lgs. n. 472 del 1997 e 10, comma 3 legge 212 del 2000, per avere i giudici di appello erroneamente ritenuto legittima l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dall’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 ad una violazione meramente formale quale quella nella specie commessa dalla società contribuente.
12. Il motivo è inammissibile perché in esso si dà per presupposto che la compensazione c.d. “sopra soglia”, come quella di specie, costituisca violazione soltanto formale, che invece i giudici di appello hanno escluso sul rilievo che, equivalendo al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, esso incide sul versamento del tributo.
Statuizione, quella della CTR, conforme ai principi giurisprudenziali ripetutamente affermati da questa Corte secondo cui la violazione meramente formale non punibile deve rispondere a due concorrenti requisiti, ovvero di non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, di non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo (Cass. n. 27211 del 2014; conf. n. 27621 del 2008, n. 5897 del 2013, n. 2605 e n. 25700 del 2016, nonché n. 4960 del 2017), il secondo dei quali si è concretizzato nel caso in esame con l’omesso tempestivo versamento da parte della società contribuente della parte del tributo illegittimamente compensata (in termini, Cass. n. 5209 del 2011).
13. Con il sesto motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della legge n. 212 del 2000. Sostiene la ricorrente che la citata disposizione consente l’estinzione per compensazione dell’obbligazione tributaria senza alcun limite e che «la particolare sede in cui tale principio viene evocato conferisce allo stesso valore di principio generale immanente (nel sistema tributario» (ricorso pag. 24). Sostiene, altresì, che in mancanza di emanazione di un regolamento ai sensi della legge n. 400 del 1988, prevista dalla disposizione censurata come condizione per l’estensione dell’operatività della disciplina della compensazione a tutti i tributi con decorrenza dall’anno 2002, rendeva tale norma immediatamente applicabile.
14. Il motivo è palesemente inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della statuizione impugnata che, seppur ha ritenuto inapplicabile retroattivamente la previsione di generale compensabilità dei tributi, non ha di certo escluso l’applicazione dell’istituto della compensazione nel caso in esame, quanto la possibilità di operarla oltre il limite annuo previsto dal d.lgs. n. 241 del 1997, art. 25, comma 2, che è disposizione che risponde alla ragionevole preoccupazione del Legislatore di «non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale» (Cass. n. 2215 del 2014) e che è stata ritenuta compatibile anche con l’ordinamento unionale (cfr. Corte di giustizia, sentenza 16 marzo 2017, in causa C- 211/16, Bimotor).
15. La censura in esame sarebbe in ogni caso infondata atteso che, in materia tributaria, il principio secondo cui la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi e con le modalità espressamente previste dalla legge – non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso, ed ogni deduzione sono regolate da specifiche, inderogabili norme di legge – non può considerarsi superato per effetto della legge n. 212 del 2000, art. 8, comma 1, «il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti [soltanto] l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno d’imposta 2002» (Cass. n. 17001 del 2013, v. anche Cass. n. 12262 del 2007, n. 22872 del 2006).
16. Con il settimo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 462 del 1997. Sostiene la ricorrente di aver chiesto dichiararsi illegittima la sanzione applicata nella misura del 30 per cento, «non avendo avuto la possibilità di estinguere il debito, mediante pagamento della sanzione ridotta di un terzo» (rectius: ad un terzo), ma che «su tale specifica domanda la Commissione Tributaria Regionale non si è pronunciata e non ha motivato le ragioni dell’omessa pronuncia» (così a pag. 27 del ricorso).
17. Il motivo è palesemente inammissibile oltre che infondato.
18. E’ inammissibile innanzitutto perché, sulla premessa che nel giudizio di legittimità non può essere proposto nessun motivo, né di fatto né di diritto, che comporti l’allargamento della materia del contendere (cfr., ex multis, Cass. n. 9097 del 2002, n. 17041 del 2013), la ricorrente non ha adempiuto all’onere di specificazione del luogo e del tempo di deduzione della domanda di riduzione della sanzione ai sensi della disposizione censurata, di cui nessuna menzione si fa nella sentenza impugnata, che è circostanza che rende viepiù necessaria la deduzione, nella specie del tutto omessa, di aver ritualmente introdotto la domanda con il ricorso principale e di averla tempestivamente riproposta in sede di appello. Da ciò consegue l’inammissibilità anche del vizio di omessa pronuncia, pure dedotto nel motivo in esame. A ciò aggiungasi che viene dedotta la violazione di legge dell’art. 2 d.lgs. n. 462 del 1997 ma senza alcuna specifica argomentazione intelligibile ed esauriente, intesa a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata – nel caso di specie neanche graficamente riportate – debbano ritenersi in contrasto con la disposizione censurata o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (cfr. Cass. n. 828 del 2007; n. 635 del 2015).
Circostanza, questa, integrante un ulteriore profilo di inammissibilità del mezzo, il quale è, come sopra anticipato, anche del tutto infondato, ponendosi in contrasto con la prevalente giurisprudenza della Corte secondo cui «la definizione agevolata delle sanzioni non si applica in caso di omesso o ritardato pagamento dei tributi, ravvisabile anche laddove sia stata effettuata compensazione in misura superiore a quella consentita, sia ove la sanzione sia stata irrogata unitamente all’avviso di accertamento sia se sia stata irrogata con un distinto ed autonomo atto» (v. Cass. n. 27315 del 2016; n. 17721 del 2009; v. anche Cass. n. 18080 del 2017 che spiega le ragioni di non condivisione della contraria tesi sostenuta da Cass. n. 18682 del 2016, rilevando che «la ratio della norma si individua nel fatto che, in presenza di omissioni di versamenti di imposta, il legislatore ha inteso vietare in ogni caso l’accesso alla definizione agevolata delle sole sanzioni, essendo consentito unicamente di beneficiare di sanzioni determinate ex lege in misura ridotta allorché il contribuente abbia provveduto al pagamento integrale, nei termini previsti, della somma dovuta a titolo di imposta»).
19. Conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata, in applicazione del principio della soccombenza, al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
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