CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 aprile 2019, n. 9591
Tributi – IVA – Leasing traslativo nautico – IVA forfetizzata ex art. 7, co. 4, lett. f), del D.P.R. n. 633 del 1972 – Applicazione – Condizioni – Simulazione di contratto – Effettivo contratto di vendita di imbarcazioni – Esclusione
Fatti di causa
1. L’A.E. ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe di rigetto dell’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza dalla CTP di Venezia (n. 13/13/2012).
Quest’ultima, a sua volta, aveva accolto l’impugnazione proposta dal contribuente contro avviso di accertamento IVA 2004 (n. T5B03T100075/2009), per maggiore IVA oltre sanzioni, notificato il 21 ottobre 2009.
2. La complessità della ricostruzione dei fatti di causa ne impone una puntuale loro sintesi, nei termini che seguono (per quanto emerge dalla sentenza impugnata oltre che dal ricorso, dal controricorso e dagli atti e documenti in essi riportati e da essi richiamati oltre che depositati).
3. Sulla base anche di PVC del 27 maggio 2008 e per quanto rileva limitatamente al presente giudizio, l’Amministrazione finanziaria notificò alla s.p.a. F.L. s.p.a., esercente attività di leasing finanziario e poi incorporata da BNP PARIBAS LEASE GROUP s.p.a. (di seguito anche: «BNP s.p.a.»), l’avviso di accertamento di cui innanzi, con il quale rettificò la dichiarazione IVA presentata per il 2004.
L’A.E. in particolare rilevò, sempre con riferimento all’esercizio 2004, che un contratto avente ad oggetto leasing finanziario nautico presentava (al pari di quattro contratti relativi all’esercizio precedente) anomalie tali da far propendere per una sostanziale simulazione di contratto di prestazione di servizi (locazione finanziaria) in luogo di un contratto di vendita dell’imbarcazione, e conseguente applicazione (indebita) della relativa IVA (forfetizzata) ex art. 7, comma 4, lett. f), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (nella sua formulazione, ratione temporis applicabile, dopo le modifiche apportate dall’art. 46 della I. 21 novembre 2000, n. 342).
Il detto art. 7, comma 4, lett. f), ante novella del 2000, nel sancire il principio di territorialità dell’IVA, prevedeva difatti, limitatamente a quanto rileva ai presenti fini, che le prestazioni derivanti da contratti di locazione anche finanziaria, noleggio e simili di mezzi di trasporto, se rese da soggetti domiciliati o residenti in Italia a soggetti domiciliati o residenti fuori della Comunità economica europea, si sarebbero dovute considerare come effettuate nel territorio dello Stato quando utilizzate in Italia o in altro Stato della Comunità stessa. Ne derivava che le dette prestazioni, se rese a soggetti domiciliati o residenti nel territorio della Comunità, si sarebbero dovute considerare sempre integralmente imponibili anche nel caso in cui il mezzo di trasporto non fosse utilizzato nel territorio comunitario. L’art. 46 della I. 21 novembre 2000, n. 342, modificò la detta lettera f), espungendo l’inciso: «a soggetti domiciliati o residenti fuori della Comunità economica europea». Ne derivò che tutte le prestazioni di cui innanzi, quindi anche quelle di leasing finanziario nautico in oggetto, anche se rese da soggetto domiciliato o residente in Italia ad altro soggetto domiciliato o residente in Italia, divennero imponibili ai fini IVA non integralmente ma solo nella misura in cui il bene venisse effettivamente utilizzato in Italia o nel territorio comunitario. Per applicare il detto criterio l’A.E. (con circolare n. 49 del 7 giugno 2002, richiamata dalle successive nn. 284/2007 e 38/E del 22 luglio 2009) diede luogo ad una prassi amministrativa che ammetteva una determinazione forfettaria della permanenza del natante fuori dalle acque territoriali Comunitarie (e poi dell’UE), secondo una percentuale ricavata dal tipo di propulsore e dalla lunghezza dello stesso natante. Sicché, l’aliquota per le dette operazioni di leasing finanziario nautico pur rimanendo quella ordinaria (all’epoca pari al 20%) si sarebbe dovuta applicare, come avvenuto nel caso di specie, su base imponibile ridotta alla stregua della suddetta percentuale.
L’Amministrazione contestò quindi al contribuente di aver sostanzialmente «abusato» dello strumento contrattuale del leasing finanziario nautico, caratterizzandolo con «particolarità anomale» anche in forza di un collegamento negoziale con il contratto intercorrente tra l’utilizzatore ed il fornitore, al fine di beneficiare dello speciale regime dell’IVA innanzi descritto, in luogo del diverso ordinario regime dell’IVA sulle cessioni che, invece, si sarebbe dovuto applicare in forza del contratto realmente concluso ed avente ad oggetto la compravendita dell’imbarcazione.
Tra i principali elementi di anomalia che, a detta dell’Amministrazione finanziaria, si sarebbero posti alla base della tesi di cui innanzi vi era l’entità del maxicanone iniziale. Essa non risultava correlata alla logica tipica del leasing finanziario bensì all’importo in precedenza corrisposto dall’utilizzatore (futuro) al fornitore (futuro), considerante anche permuta di altro natante, e poi, in seguito alla stipulazione del leasing, riportato (il detto anticipo al fornitore) dalla società di leasing in compensazione quale canone iniziale. Trattavasi di maxicanone iniziale pari al 50% del valore dell’imbarcazione, a fronte di un canone usuale, a detta dell’A.E., pari al 25% (come emergente da una circolare dell’associazione di categoria, l’«Assolea»).
Altri elementi considerati anomali furono poi, in sintesi: la durata della locazione finanziaria, pari a trentasei mesi; il numero dei canoni di locazione, undici, per un importo ciascuno di euro 92.483,00; l’importo notevolmente basso quale prezzo di riscatto (pari allo 0,1% del valore dell’imbarcazione, cioè ad euro 1.900,00). Nella specie l’imbarcazione, in esecuzione del contratto in oggetto, fu riscattata non in via anticipata bensì alla scadenza contrattuale (il 9 novembre 2007), diversamente da quanto avvenne in ordine al altri contratti inerenti il differente esercizio 2003 (non oggetto del precedente giudizio).
4. Il contribuente presentò prima all’A.E. deduzioni scritte, che, pur non contestando gli elementi fattuali di cui innanzi, confutavano la tesi della simulazione connotata dal comportamento abusivo prospettato dall’Amministrazione, e poi ricorso al Giudice tributario, accolto dalla CTP con sentenza confermata in appello.
5. La sentenza di primo grado fu difatti appellata dall’A.E., che sostanzialmente ripropose quanto prospettato in sede di avviso di accertamento ed in primo grado (nei termini innanzi esplicitati, come emerge dall’atto di appello riportato nel ricorso per ragioni di autosufficienza).
La CTR rigettò l’appello dell’Amministrazione, confermando la statuizione di primo grado, con sentenza oggetto di attuale ricorso per cassazione.
Ricostruita la vicenda contrattuale sulla base degli elementi fattuali di cui innanzi, la Commissione regionale escluse un comportamento di abuso del diritto (invece prospettato dall’A.E. muovendo dalla descritta simulazione contrattuale). La CTR ritenne in particolare correttamente applicata la disciplina in materia d’IVA di cui al citato art. 7, comma 4 lett. f) del d.P.R. n. 633 del 1972 (ratione temporis applicabile) e non conferenti le prospettazioni dell’A.E. circa gli asseriti elementi di anomalia dei contratti di leasing finanziario che, a detta dell’A.E. avrebbero dovuto far propendere per una simulazione contrattuale volta al mero ottenimento dei vantaggi fiscali di cui innanzi.
La CTR ritenne in particolare il versamento del c.d. maxicanone iniziale, nella specie, come innanzi detto, corrispondente al 50% del prezzo dell’imbarcazione, «funzionale all’opportunità di limitare il rischio finanziario in capo alla società di leasing» derivante dalla stipulazione del contratto di leasing finanziario nautico. Il basso prezzo del riscatto (nella specie comunque avvenuto al termine della durata del contratto e non in via anticipata), invece, evidenziava che i canoni pagati al concedente dall’utilizzatore erano tali da coprire quasi interamente il costo finanziario dell’operazione, corrispondendo ciò ad uno degli elementi di garanzia dell’investimento da parte della società di leasing. La Commissione ritenne quindi che «un basso prezzo del riscatto non fosse nella specie interpretabile quale indizio di una carenza della funzione finanziaria del contratto, né come indizio di una anomalia dell’intera pattuizione contrattuale».
Il Giudice di secondo grado, infine, dopo aver qualificato il negozio giuridico quale leasing finanziario e, quindi, non alla stregua di compravendita, anche in ragione della normativa euro unitaria come interpretata dalla Corte di Giustizia escluse una condotta di «abuso del diritto», valorizzando in capo al contribuente l’interesse economico proprio del concedente leasing finanziari, e quindi l’assenza del mero scopo di ottenere un risparmio fiscale.
6. Contro la sentenza d’appello l’A.E. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, mentre la contribuente si è difesa con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso.
In sede di discussione le parti hanno concluso come riportato in epigrafe.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso non merita accoglimento, per le ragioni e nei termini di seguito evidenziati.
2. Con il motivo n. 1 si deduce: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 7, c. 4 lett. f) (quest’ultimo nel testo vigente ratione temporis) d.P.R. 26.10.1972 n. 633, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.».
2.1. Il motivo in oggetto è inammissibile.
Al di là della formulazione della rubrica, in sostanza, come emerge da tutte le pagine nelle quali si diffonde il motivo in esame, il ricorrente si duole, della ritenuta non esatta interpretazione del negozio giuridico intercorso tra i contraenti in termini di effettivo leasing traslativo nautico e non nei (da lui ritenuti) corretti termini di contratto di compravendita dell’imbarcazione. Dalla detta errata interpretazione contrattuale sarebbe derivata la violazione o falsa applicazione delle norme di cui innanzi in merito all’applicazione del descritto regime forfettario dell’IVA.
Sicché, in primo luogo, non sono pertinenti gli invocati parametri normativi, in quanto il ricorrente, al più, avrebbe dovuto sindacare la sentenza sotto il profilo della non corretta applicazione dei parametri dell’ermeneutica contrattuale.
In secondo luogo, la censura non prospetta neanche una falsa applicazione di norme di legge (quelle richiamate ed in primis il citato art. 7) in quanto non deduce un errore di sussunzione di una accertata fattispecie concreta nella previsione normativa astratta bensì mira a sindacare proprio il detto accertamento in punto di fatto.
Nel fare ciò, infine, il ricorrente mira, altrettanto inammissibilmente, a sostituire la propria valutazione dei fatti a quella condotta dal Giudice di merito e, quindi, a sostituire la propria interpretazione della volontà dei contraenti (si vedano, solo in particolare, pag. 24, 25, 30, 32 e 33).
3. Con il motivo n. 2, si deduce «violazione e falsa applicazione degli artt. 36 c. 2, n. 4 d.lgs. 32.12.1992 n. 546 (difetto assoluto di motivazione); 53 Cost. e dei principi di diritto dell’Unione europea concernenti il divieto di abuso di forme giuridiche in materia di applicazione dell’IVA derivanti dalla Direttiva 77/388/CE (sesta direttiva), in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4».
3.1. Il motivo è infondato oltre che per taluni profili inammissibile.
In primo luogo, inammissibilmente, si sindaca direttamente la «violazione e falsa applicazione» di una norma costituzionale (art. 53 Cost.) senza neanche prospettare quale sarebbe il parametro normativo di riferimento, di diritto interno ovvero eurounitario. Lo stesso dicasi con riferimento all’asserita violazione e falsa applicazione di norme eurounitarie, prospettata senza l’indicazione specifica di quali norme si tratterebbe e, comunque, in assenza anche della mera prospettazione di una erronea interpretazione ovvero di un errore di sussunzione nella fattispecie normativa astratta della fattispecie concretamente accertata.
Il ricorrente ancora una volta mira a sostituire una propria valutazione a quella del Giudice di merito circa l’interpretazione del negozio giuridico, peraltro senza sindacare la sentenza sotto il profilo della non corretta applicazione dei parametri dell’ermeneutica contrattuale, ed in ordine all’asserita condotta di abuso del diritto. Quest’ultima è stata invece esclusa dalla sentenza impugnata argomentando dall’effettiva stipulazione di un contratto di leasing finanziario nautico (in assenza di simulazione contrattuale), al quale si riconnettono in capo alla società concedente i vantaggi propri di tale contratto, non concluso per ottenere vantaggio fiscale.
Il motivo è invece infondato laddove prospetta un’omessa motivazione, considerando apodittiche la conclusioni della CTR, alla stregua della nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, c.p.c. (applicabile nella specie) ad opera dell’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (conv., con modif., dalla I. 7 agosto 2012, n. 134).
In merito alla modifica di cui innanzi, come chiarito da questa Corte anche a Sezioni Unite, essa (tramite il nuovo n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c.) ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (ex plurimis, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629831-01, e successive conformi tra le quali, tra le più recenti, anche Cass. sez. 2, 29/10/2018, n. 27415, Rv. 651020-01).
Quanto al vizio di omessa motivazione, dedotto dal ricorrente (si veda, in particolare, pag. 36), la detta riformulazione dell’art. 360, comma 1, c.p.c. è in particolare interpretata da questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (ex plurimis: Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629830-01; Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8054, Rv. 629832-01 e successive conformi, tra le quali anche Cass. sez. 3, 12/10/2017, n. 23940, Rv. 645828 – 01, per la quale, quindi, non sono più ammissibili mere censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale ma solo quelle deducenti violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, e quindi causa di nullità della sentenza, e Cass. sez. 6-3, 25/09/2018, n. 22598, Rv. 650880-01, che riconduce il vizio in oggetto ad una nullità processuale denunciabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.).
Non rientra però nelle ipotesi di cui innanzi la motivazione della CTR la quale, invece, ha ritenuto correttamente applicata la disciplina in materia d’IVA di cui al citato art. 7, comma 4 lett. f) del d.P.R. n. 633 del 1972 (ratione temporis applicabile) e non conferenti le prospettazioni dell’A.E. circa gli asseriti elementi di anomalia del contratto di leasing finanziario che, a detta dell’A.E. avrebbero dovuto far propendere per una simulazione contrattuale volta al mero ottenimento dei vantaggi fiscali di cui innanzi.
Per la Commissione regionale, più nel dettaglio, il versamento del c.d. maxicanone iniziale, nella specie corrispondente al 50% del prezzo dell’imbarcazione, è stato «funzionale all’opportunità di limitare il rischio finanziario in capo alla società di leasing» derivante dalla stipulazione del contratto di leasing finanziario nautico. Il basso prezzo del riscatto (nella specie comunque avvenuto al termine della durata del contratto e non in via anticipata), invece, ha evidenziato che i canoni pagati al concedente dall’utilizzatore fossero effettivamente tali da coprire quasi interamente il costo finanziario dell’operazione, corrispondendo ciò ad uno degli elementi di garanzia dell’investimento da parte della società di leasing. La Commissione ha ritenuto quindi che «un basso prezzo del riscatto non fosse nella specie interpretabile quale indizio di una carenza della funzione finanziaria del contratto, né come indizio di una anomalia dell’intera pattuizione contrattuale».
Il Giudice di secondo grado, infine, dopo aver qualificato il contratto quale leasing finanziario e, quindi, non alla stregua di compravendita (ancorché in forza di negozio simulato), anche in ragione della normativa eurounitaria, come interpretata dalla Corte di Giustizia, ha escluso una condotta di «abuso del diritto». La sentenza sotto tale profilo ha valorizzando in capo al contribuente l’interesse economico proprio del concedente leasing finanziari, quale effettivamente era la società contribuente, e quindi l’assenza del mero scopo di ottenere un risparmio fiscale.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che si liquidano, in applicazione dei parametri applicabili ratione temporis, in complessivi euro 14.000,00, oltre il 15% per spese generali nonché IVA e C.P.A., come per legge.
Per converso, nella specie, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228) un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione, trattandosi di Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esente dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (ex plurimis: Cass. sez. Cass. sez. 6-4, 29/01/2016, n. 1778, Rv. 638714-01; Cass. sez. 6-4, 05/11/2014, n. 23514, Rv. 633209-01; Cass. sez. 3, 14/03/2014, n. 5955, Rv. 630550-01).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità in favore del contro ricorrente, che si liquidano in complessivi euro 14.000,00, oltre al 15% per spese generali, IVA e C.P.A., come per legge.
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