CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 giugno 2018, n. 14390

Cessione di ramo d’azienda – Prosecuzione dei rapporti di lavoro con la cedente – Tutela dei diritti dei lavoratori – Ramo d’azienda – Nozione – Accertamento – Criteri

Fatti di causa

1. Il Tribunale d Roma aveva dichiarato la nullità del contratto di cessione di ramo d’azienda stipulato in data 30.12.2004 tra Sistemi Informativi s.p.a. e S. s.p.a. e, per l’effetto, la prosecuzione dei rapporti di lavoro con la cedente, tra gli altri, di S. V., condannando Sistemi informativi s.p.a. a ripristinare il rapporto di lavoro con il predetto nella precedente sede, con la qualifica e le mansioni di inquadramento ed il trattamento economico precedentemente corrisposto, detratto quanto percepito alle dipendenze di S. s.p.a., rigettando nel resto i ricorsi.

2. La Corte di appello capitolina, con sentenza del 28.5.2012, limitava la statuizione di condanna di Sistemi informativi s.p.a., quanto al trattamento economico e, sulla base del disposto ripristino del rapporto di lavoro degli appellanti, con la qualifica, le mansioni possedute ed il trattamento in precedenza corrisposto, al solo periodo corrente, per il S., dal 31.10.2004 sino al 16.11.2005. Rilevava che anche la novella del 2003 aveva previsto che l’identificazione di un ramo d’azienda dovesse essere sussistente al momento del trasferimento ed apprezzabile da un punto di vista oggettivo, essendo escluso che da essa si potesse prescindere o che la stessa potesse esistere solo per volontà delle parti, dovendo escludersi la possibilità di mere operazioni di esternalizzazione di servizi e tanto meno di una pura e semplice espulsione di quote di personale, intesa come pluralità di rapporti individuali. Osservava che l’atto di cessione di cui era causa non aveva avuto ad oggetto un ramo di azienda nel senso di entità economica o di organizzazione di lavoratori connotata da legame funzionale che rendesse le attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati e che il trasferimento aveva riguardato rapporti di lavoro con una parte soltanto dei dipendenti addetti e dotazioni di ufficio assolutamente prive di rilevanza, non coerenti con l’attività da svolgere e non idonee ad assicurare i servizi di vendita software e, quindi, a garantire il funzionamento dell’entità trasferita già al momento della cessione. Aggiungeva che nella specie si era trattato di una semplice dismissione di elementi disaggregati e che non erano stati trasferiti tutti gli addetti alla Direzione PAL, senza che l’azienda avesse in qualche modo dato conto di tale circostanza in coerenza con la necessità che il trasferimento interessasse lavoratori dotati di una particolare specializzazione ed in possesso di Know how, sicché riteneva valido quanto affermato in primo grado circa l’assenza di un’articolazione aziendale in grado di presentarsi in modo autosufficiente e da costituire oggetto della cessione del ramo attuata dalle parti (non poteva considerarsi tale l'”attività di rivendita di software e di system integration della Venditrice”, che non costituiva peraltro l’intero ramo Direzione prodotti PAL – Pubblica Amministrazione Locale).

3. Rilevava, però, il giudice del gravame, quanto ai rapporti degli appellati cessati con dimissioni rassegnate presso la cessionaria, che le dimissioni non determinassero la cessazione del rapporto nei confronti dell’effettivo titolare, ma che le stesse erano comunque idonee, al pari del licenziamento, a porre nel nulla l’obbligazione retributiva, per l’assorbente considerazione che con la gravata sentenza si era ritenuto – senza che sul punto fosse stato proposto gravame incidentale – la sussistenza dell’interesse ad agire dei lavoratori limitatamente al periodo intercorrente fra la data della cessione e quella delle intervenute dimissioni, con la conseguenza che la statuizione di condanna nei confronti di Sistemi Informativi s.p.a., per effetto del disposto e confermato ripristino del rapporto di lavoro dell’appellato, doveva essere limitata al solo periodo corrente dalla data della cessione del ramo d’azienda al 16.11.2005.

4. Di tale decisione domanda la cassazione V. S., affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resiste, con controricorso, la società, che propone ricorso incidentale affidato a due motivi, illustrati con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resiste, con controricorso, il S.. Il ricorso principale è stato notificato anche a B. C. e D. F. M., litisconsorti del Sinascalchi nel giudizio di appello.

Ragioni della decisione

1. Con il ricorso principale è dedotta contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, c.p.c.), sostenendosi che le dimissioni sono state presentate nei confronti di soggetto diverso e che nessuna efficacia hanno potuto sortire nei riguardi della ritenuta perdurante datrice di lavoro in forza dell’azione di nullità della cessione del ramo aziendale, mancando dunque l’interesse, nonché l’onere di impugnazione di tali dimissioni, e che tali principi, condivisi dalla Corte d’appello, sono stati, poi, contraddittoriamente disattesi dove quest’ultima ha ritenuto che le statuizioni di condanna andassero temporalmente limitate alla data delle dimissioni, senza considerare che l’obbligazione retributiva discendeva dalla sancita condanna al ripristino del rapporto, con il trattamento precedentemente corrisposto. Si osserva che il primo giudice non aveva posto alcuna limitazione di carattere temporale al completo ripristino del rapporto di lavoro, sicché nessun onere di impugnativa poteva legittimamente ritenersi sussistere in capo al S. Si aggiunge che era stata anche attivata procedura monitoria per il recupero delle retribuzioni maturate fino alla data di reintegrazione del 20.3.2008 e si richiama giurisprudenza sul carattere neutro del rinvenimento di altra occupazione nelle more del giudizio di impugnativa del licenziamento volto ad ottenere la condanna dell’originario datore di lavoro alla reintegrazione nei termini di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

2. Con il ricorso incidentale, si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. ed, in particolare, del 5° comma dello stesso articolo, della Direttiva europea concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti e della giurisprudenza applicativa della Corte di Giustizia UE, con violazione degli artt. 1362 e ss. c. c., nonché dell’art. 47 della I. 428/1990, dell’art. 113 c.p.c. e dell’art. 24 Cost. inerenti la garanzia del diritto alla prova, dell’art. 115, co. 2, c.p.c., dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonché difetto di motivazione, ex art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., sostenendosi che non era necessaria, ai fini della validità della cessione, anche alla luce di sentenza della C.G.U.E. n. 107/10, la disponibilità di significativi elementi patrimoniali, essendosi considerato il trasferimento del know how delle competenze acquisite dal personale ceduto ed essendo i debiti trasferiti, diversamente da come ritenuto dai giudice del merito, coerenti al trasferimento di una entità “labour intensive” in grado di garantire alla stessa al momento della cessione di funzionare in modo autonomo, senza considerare che non era stata ammessa la prova sulla deduzione di Sistemi Informativi sulle professionalità componenti l’entità trasferita.

3. Sono poi denunciati, quale vizio di motivazione, l’omessa analisi del documento prodotto dal ricorrente e la mancata ammissione di prova testimoniale dedotta, in particolare, sulla professionalità degli addetti all’entità trasferita e dell’effettiva consistenza dei beni materiali ceduti. Si osserva che dal raffronto tra documenti (di quello richiamato con l’allegato C del contratto di cessione) risultava che erano passati 61 su 70 dipendenti addetti all’attività di confezionamento di pacchetti applicativi sviluppati da S. per la P.A. al 1.12.2004.

4. Per evidenti ragioni di priorità logico giuridica, deve trattarsi preliminarmente il ricorso incidentale della società.

5. Quanto al primo motivo, va osservato che correttamente è stato ritenuto che non può conferirsi significatività alla circostanza che la cessione sia stata realizzata in favore di soggetto imprenditoriale rivelatosi incapace di assolvere con regolarità le proprie obbligazioni, essendo invece centrale, per escludere la validità del trasferimento di ramo aziendale la non configurabilità del compendio aziendale ceduto quale autonoma articolazione dìimpresa ai sensi dell’art. 2112 c.c. anche ove applicato il criterio enunciato da Cass. 2151 del 30.1.2013 (identificazione del ramo da parte del cedente e del cessionario al momento del trasferimento).

6. La Corte territoriale, nel ritenere che la traslazione del ramo d’azienda costituito “dall’insieme dei beni, risorse umane rapporti contrattuali passività e avviamento connessi alla gestione, conduzione ed esercizio dell’attività di rivendita di software e di Sistem integration della venditrice” fosse avvenuta in contrasto con i principi di cui all’art. 2112, 5° co., 2° parte, c. c., ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento, interpretata secondo i principi richiamati e risulta coerente anche con la normativa comunitaria ed i principi costituzionali. La sentenza impugnata si sottrae, pertanto, alla censura mossa, e risulta rispettosa dei principi affermati da questa Corte di Cassazione, che ha, in materia di trasferimento di azienda o di parte (c.d. ramo) di essa, precisato che tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e 2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112, comma quinto, cod. civ., sostituito dall’art. 32 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276) perseguono il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva, osservando che la citata direttiva del 1998 richiede, pertanto, che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria, e, analogamente, l’art. 2112, quinto comma, cod.civ. si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”. Deve, quindi, trattarsi di un’entità economica organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di una sola opera (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 24 gennaio 2002, C-51/00), ovvero di un’organizzazione quale legame funzionale che renda le attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati (cfr. ex aliis: Cass. n. 21697 del 13.10.2009; n. 21481 del 9.10.2009; n. 20422 del 3.10.2012, n. 10542 del 25 febbraio 2016), là dove, infine, il motivo del trasferimento ben può consistere nell’intento di superare uno stato di difficoltà economica (cfr., Cass. 8.6.2009 n. 13171).

7. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione anche del dictum giurisprudenziale, che – dopo avere ribadito che per “ramo d’azienda”, come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla disciplina dettata per la cessione d’azienda, deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità – ha anche precisato che (come affermato anche dalla Corte di Giustizia, sentenza 24 gennaio 2002, C-51/00 Temco, e sentenza 6.3.2014, in causa C- 458/12, Amatori ed altri , punti 34 e 35) tale trasferimento deve consentire l’esercizio di una attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obbiettivo, il cui accertamento presuppone la valutazione complessiva di una pluralità di elementi, tra loro in rapporto di interdipendenza in relazione al tipo di impresa, consistenti nell’eventuale trapasso di elementi materiali o immateriali e del loro valore, nell’avvenuta riassunzione in fatto della maggior parte del personale da parte della nuova impresa, in ciò differenziandosi dalla cessione del contratto ex art. 1406 cod. civ., che attiene alla vicenda circolatoria del solo contratto, comportando la sola sostituzione di uno sei soggetti contraenti e necessitando, per la sua efficacia, del consenso del lavoratore ceduto (cfr. Cass. 17 marzo 2009 n. 6452).

8. Sulla base degli elementi sopra indicati, incontroversi e pacificamente riportati nella gravata sentenza, è stata rilevata, invero, la mancanza dell’autonomia ed autosufficienza dell’articolazione aziendale trasferita, valutata in concreto, con giudizio non adeguatamente censurato nella presente sede, come una sommatoria di lavoratori, di scarni beni aziendali di ridotto valore con aggregazione nel ramo ceduto di frazioni eterogenee dell’attività aziendali non autosufficienti e non coordinate fra loro, in assenza di una reale sede aziendale, e quindi di una omogeneità e consistenza dei lavoratori, dei beni e delle attività trasferiti idonee ad evidenziarne il collegamento funzionale e l’attitudine a configurare un autonomo ramo aziendale.

9. Con riguardo al secondo motivo del ricorso incidentale, deve, in primo luogo, affermarsi I’ inammissibilità nella presente sede di legittimità dei rilievi attinenti alla valutazione nel merito di documenti che comproverebbero, a dire della ricorrente incidentale, l’erroneità dell’esame compiutone dai giudici di primo e secondo grado, senza peraltro indicare se il documento di raffronto fosse stato ritualmente

depositato e precisarne la sede di rinvenimento in relazione alla sua rituale pregressa produzione.

10. Per il resto, va qui richiamato l’insegnamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui: la censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 c.p.c., n. 4 in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità (cfr., in tali termini, ex aliis, Cass. 29.3.2013 n. 6825).

11. Quanto all’ulteriore doglianza riferita alla mancata ammissione della prova per testi richiesta, è sufficiente il richiamo ad ulteriore principio reiteratamente affermato da questa Corte, alla cui stregua il ricorrente per Cassazione, ove denunci l’esistenza di vizi della sentenza correlati al rifiuto opposto dal giudice di merito di dare ingresso a una prova per testi, ovvero all’omessa valutazione, da parte dello stesso giudice, di un documento, ha l’onere sia di dimostrare la sussistenza di un nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, sia di indicare specificamente, nel ricorso, anche mediante integrale trascrizione, le circostanze concrete che formavano oggetto dei capitoli di prova o il contenuto esatto del documento asseritamente pretermesso. Ciò per dar modo al giudice di legittimità di verificare la validità e la decisività delle disattese deduzioni di prova sulla sola base del ricorso per cassazione, stante il principio di autosufficienza di tale atto di impugnazione, senza che si rendano necessarie indagini integrative o che possa, all’uopo, svolgere funzione sostitutiva il richiamo “per relationem” ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio (cfr. Cass. 17.5.2007 n. 11457, Cass. 17.5.2006 n. 11501).

12. L’unico motivo del ricorso principale, prospettato come vizio motivazionale, è anch’ esso da disattendere, in ragione del rilievo che nella stessa domanda introduttiva, come si evince dalla sentenza qui impugnata (pag. 4), era stato richiesto il risarcimento del danno in misura corrispondente al trattamento economico in godimento all’atto della cessione da erogarsi fino alla data delle dimissioni del S., con espressa limitazione della domanda a tale periodo. Pertanto, in disparte ogni valutazione sulla natura risarcitoria ovvero retributiva delle pretese economiche connesse all’illegittimità della cessione (questione giammai prospettata dal ricorrente), non è configurabile alcuna contraddittorietà della pronuncia in relazione alla questione delineata. Correttamente è stata in dispositivo affermata la suddetta delimitazione del dovutum in coerenza con la stessa impostazione del ricorrente in sede di originario ricorso.

13. Le considerazioni svolte conducono al rigetto dei ricorsi principale ed incidentale.

14. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione integrale tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.

15. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002 per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo dovuto ai sensi della indicata norma.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per l’incidentale, a norma dell’art.13, comma 1bis, del citato D.P.R..