CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 luglio 2021, n. 18893
Tributi – Controllo della dichiarazione art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 – Recupero omessi versamenti dichiarati – Cartella di pagamento – Legittimità – Mancato invio avviso bonario – Irrilevanza
Fatti di causa
1. L’Agente della Riscossione di Salerno, E.P. s.p.a., notificò a G.F., esercente la professione di avvocato, la cartella di pagamento n. 10020100023205004 all’esito di controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi, ai sensi degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, presentata per l’anno d’imposta 2006, con la quale era stato contestato l’omesso versamento delle imposte dichiarate ai fini IRPEF, IRAP e I.V.A.
2. Il contribuente propose ricorso eccependo l’illegittimità della cartella di pagamento per mancata preventiva notifica dell’avviso bonario, per mancata sottoscrizione e per difetto di motivazione e, nel merito, contestò la fondatezza della pretesa impositiva ai fini Irap per violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, stante l’inesistenza di una autonoma organizzazione.
3. Respinto il ricorso dai giudici provinciali, il contribuente propose gravame dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania che confermò la sentenza di primo grado.
In particolare, i giudici di appello osservarono che:
a) l’iscrizione a ruolo operata dall’ufficio finanziario ai sensi dell’art. 36- bis del d.P.R. n. 600 del 1973, alla lettera b), consentiva la correzione di errori materiali e di calcolo commessi dal contribuente ai fini della determinazione dell’imponibile e delle imposte; nel caso di specie l’Amministrazione aveva proceduto al controllo formale della dichiarazione dei redditi Unico 2007, per l’anno 2006, recuperando a tassazione le imposte evidenziate in dichiarazione e non pagate;
b) era condivisibile il principio espresso dalla sentenza n. 26671 del 2009 di questa Corte secondo cui <<In tema di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento, nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, costituisce l’atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come tale deve essere motivata; tuttavia, nel caso di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo nella propria dichiarazione, nonché qualora vengano richiesti interessi e sovrattasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima>>;
c) l’obbligo della indicazione del responsabile del procedimento era stato introdotto a far data dai ruoli consegnati successivamente al 1 giugno 2008, con l’art. 36, comma 4-ter del d.l. n. 248 del 2007, con la conseguenza che per le cartelle con ruolo consegnato in data antecedente al 1 giugno 2008, come nel caso in esame, non poteva invocarsi l’applicazione di tale disposizione normativa, come confermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 58 del 2009;
d) nel modello Unico 2007, al quadro RE, al rigo RE11 relativo alle spese per prestazioni di lavoro dipendente e assimilato, era indicato l’importo di spesa pari ad euro 40.943 che evidenziava la presenza di elementi significativi di un considerevole apporto organizzativo all’attività, tale da poter ricondurre il contribuente tra i soggetti passivi Irap, a norma dell’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997.
4. G.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione d’appello, affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, rubricato «violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il contribuente lamenta che i giudici di appello hanno omesso di pronunciarsi sull’eccezione di nullità della cartella di pagamento per il mancato invio della <<comunicazione d’irregolarità>> o <<avviso bonario>>, sebbene avesse censurato, con specifico motivo di gravame, la sentenza di primo grado che aveva disatteso tale doglianza.
Con l’atto di appello aveva evidenziato che: a) la comunicazione d’irregolarità era sempre obbligatoria e che non era condivisibile la tesi della sentenza di primo grado secondo cui l’emissione di tale avviso era necessaria nelle sole ipotesi di <<incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione>>; b) la procedura d’iscrizione a ruolo e di notificazione della cartella di pagamento, come quella in contestazione, soggiaceva alla disciplina dettata dall’art. 1 del d.l. 17 giugno 2005, n. 106, convertito dalla legge 31 luglio 2005, n. 156, e nell’ambito della predetta procedura gli avvisi bonari o le comunicazioni d’irregolarità recapitati potevano essere regolati usufruendo di una sanzione ridotta rispetto a quella normalmente applicata, per cui l’inosservanza della procedura menzionata pregiudicava anche tale diritto del contribuente; la tesi seguita dalla Commissione tributaria determinava una disparità di trattamento tra i valori risultanti dalla dichiarazione e non versati, sempre soggetti alla sanzione del 30 per cento, ed i valori iscritti a ruolo nella cd. <<incertezza>> che potevano beneficiare della riduzione del 10 per cento.
2. Con il secondo motivo, censurando la decisione impugnata per omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente sostiene che, ove non si ritenga configurabile il primo vizio dedotto, sulla medesima questione sarebbe comunque ravvisabile un vizio di motivazione.
3. Il primo ed il secondo motivo, strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.
3.1. Occorre premettere che i mezzi sono tra loro alternativi, secondo il principio che «La differenza fra l’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. consiste nel fatto che, nel primo caso, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulata, mentre nel secondo l’omessa trattazione riguarda una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione» (Cass., sez. 6-5, 4/12/2014, n. 25714).
3.2. Nel caso di specie deve ritenersi che non di vizio motivazionale si tratti, bensì di un’omessa pronuncia.
Invero, il giudice di appello non si è pronunciato sul motivo di appello relativo alla nullità della cartella di pagamento per mancato invio della <<comunicazione di irregolarità>> o dell’avviso bonario.
Nello svolgimento del processo della sentenza censurata si fa espresso riferimento all’eccezione sollevata dal contribuente con il ricorso introduttivo e reiterata in grado di appello, ma nel corpo della motivazione i giudici di merito si limitano a rigettare l’impugnazione, senza che sia rinvenibile alcun passaggio motivazionale in ordine alle ragioni del rigetto.
Non può, quindi, ritenersi che il giudice di appello abbia esaminato la questione, pur risultando la stessa prospettata, secondo i passaggi riportati dal ricorrente in ricorso in omaggio al principio della autosufficienza, con conseguente omessa pronuncia su di un motivo di appello, censurabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ.
3.3. Tuttavia, ritiene questa Corte di potere fare applicazione della previsione contenuta nell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., potendosi in questa sede esaminare la questione di diritto prospettata, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
La Commissione tributaria regionale, nella pronuncia impugnata (a pag. 4), ha precisato che <<nel caso in esame l’ufficio ha proceduto al controllo formale, ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. 600/73, della dichiarazione dei redditi Unico 2007 per l’anno 2006 recuperando l’importo delle imposte evidenziate in dichiarazione e non pagate in autotassazione>>, in tal modo accertando che l’Amministrazione finanziaria ha posto in essere un mero riscontro cartolare rientrante nelle procedure automatizzate; ha, altresì, spiegato, che per effetto della mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti nella dichiarazione dei redditi, il contribuente si trovava già nella condizione di conoscere i presupposti della pretesa fiscale; ne discende che è proprio nella interazione della cartella esattoriale medesima con la dichiarazione dei redditi che risiede il motivo per cui il legislatore ritiene assolto l’onere di motivazione mediante il mero richiamo alla dichiarazione medesima.
3.4. E’ consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non è stata emessa la comunicazione preventiva prevista dal comma 3 dell’art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ogni qual volta la pretesa derivi dal mancato versamento di somme esposte in dichiarazione dallo stesso contribuente, ovvero da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate. Infatti, la comunicazione preventiva all’iscrizione a ruolo è necessaria solo quando vengano rilevati degli errori nella dichiarazione, mentre in caso di riscontrata regolarità dichiarativa non vi è alcun obbligo di preventiva informazione se il contribuente ha poi omesso di versare gli importi dichiarati, o, con riferimento alla I. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, se non «sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione» (Cass., sez. 5, 23/07/2010, n. 17396; Cass., sez. 6-5, 3/01/2014, n. 42; Cass., sez. 6-5, 17/02/2015, n. 3154; Cass., sez. 5 25/10/2017, n. 25294; Cass., sez. 5, 24/01/2018, n. 1711; Cass., sez. 5, 9/01/2019, n. 376; Cass., sez. 5, 17/12/2019, n. 33344).
Nel primo caso di comunicazione dell’esito della liquidazione (c.d. comunicazione di irregolarità) prevista dal comma 3 dell’art. 36-bis d.P.R. n. 600/73, «quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero dai controlli eseguiti dall’ufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge un’imposta o una maggiore imposta», il relativo obbligo imposto all’amministrazione non è sanzionato da alcuna nullità; si tratta infatti, come è stato osservato, di una forma blanda di partecipazione del contribuente nel procedimento, inidonea a generare un vincolo procedimentale in termini di obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale. Tanto si giustifica in considerazione del maggiore grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, cui non può che corrispondere una conseguente irrilevanza della violazione di tale disciplina partecipativa ai fini della validità del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo. Nei procedimenti ordinari di liquidazione dei tributi dovuti in base alle dichiarazioni, in considerazione dell’elevato grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, lo svolgimento di un effettivo contraddittorio fra ufficio e contribuente, ad avviso del legislatore, non rappresenta una fase indispensabile del procedimento, essendo sempre possibile per il contribuente far valere eventuali doglianze in punto di illegittimità della pretesa impositiva in sede di impugnazione del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo (ex multis, Cass., sez. 5, 5/10/2016, n. 19893).
Quanto, poi, al contraddittorio endoprocedimentale imposto dall’art. 6, comma 5, dello Statuto del contribuente – obbligo sanzionato, a differenza del primo, con la nullità in caso di inadempimento – giova ribadire che, secondo l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità, esso non è imposto «in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, ma soltanto <<qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione>>, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso» (Cass., Sez. 5, 25/05/2012, n. 8342; Cass., sez. 6 – 5, 8/07/2014, n. 15584; Cass., sez. 5, 10/06/2015, n. 12023; Cass., sez. 5, 18/03/2016, n. 5394).
3.5. Nella specie la CTR ha accertato che l’Amministrazione finanziaria, all’esito del controllo formale, ha proceduto a recuperare a tassazione l’importo delle imposte esposte nella dichiarazione dei redditi e non versate, ossia gli stessi tributi che il contribuente aveva riconosciuto dovuti e di cui aveva omesso il pagamento; pertanto, ai fini della validità della cartella, non era necessaria la preventiva comunicazione del c.d. avviso bonario.
3.6. A tale conclusione non è di ostacolo la circostanza, pure dedotta dal contribuente, che la procedura d’iscrizione a ruolo e di notificazione della cartella di pagamento impugnata in questa sede soggiacesse alla disciplina dettata dall’art. 1 del d.l. 17 giugno 2005, n. 106, convertito dalla legge 31 luglio 2005, n. 156, e che il mancato invio dell’avviso bonario avrebbe impedito al contribuente di beneficiare della riduzione della sanzione, pari ad un terzo, normalmente prevista, come stabilito dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462.
Tale ultima disposizione dispone, con riferimento alla riscossione delle somme dovute a seguito dei controlli automatici, ovvero dei controlli eseguiti dagli uffici, effettuati ai sensi del citato art. 36-bis (o, in materia di I.V.A., dell’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972), che l’iscrizione a ruolo non è eseguita se il contribuente o il sostituto d’imposta provvede a pagare le somme dovute entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione prevista dal detto art. 36-bis, comma 3 (o, in materia di I.V.A., dal comma 3 del citato art. 54-bis). In tal caso (intervenuto pagamento delle somme dovute nel termine di trenta giorni) l’ammontare delle sanzioni amministrative dovute è ridotto (ad un terzo).
Presupposto per la riduzione delle sanzioni in esame è, dunque, l’intervenuto pagamento delle somme dovute in base al controllo ex art. 36- bis (o, per l’I.V.A., ex art. 54-bis citato), nel termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’esito della liquidazione ovvero decorrenti dalla notificazione della cartella di pagamento nel caso di omissione del c.d. «avviso bonario», qualora l’omissione non integri causa di nullità della cartella stessa, bensì mera irregolarità a cagione dell’insussistenza di rilevanti incertezze su aspetti importanti della dichiarazione. Quanto detto vale anche nel caso in cui nella stessa cartella non sia contenuta alcuna comunicazione della possibilità della riduzione delle sanzioni dovute ex art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462 del 1997. La mera irregolarità di cui innanzi non preclude difatti il pagamento del dovuto a seguito della notificazione della cartella di pagamento, con conseguente operatività della riduzione della sanzione (Cass. sez. 5, 06/07/2016, n. 13759; Cass., sez. 5, 31/01/2019, n. 2870).
4. Con il terzo motivo si deduce omessa o insufficiente motivazione della sentenza, in relazione al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., con riguardo alla mancata sottoscrizione autografa della cartella di pagamento da parte del funzionario responsabile della riscossione, nonché da parte del funzionario responsabile dell’iscrizione a ruolo.
Precisa il ricorrente che nell’atto di appello aveva censurato la decisione di primo grado, sottolineando che la cartella di pagamento riportava esclusivamente l’indicazione meccanografica del <<responsabile del procedimento>> senza che fosse stata apposta alcuna firma; su tale questione la sentenza non aveva motivato, <<confondendo>> l’eccezione rappresentata dall’omessa sottoscrizione con la mancata indicazione del responsabile del procedimento, eccezione quest’ultima che non era stata oggetto di alcuna censura né nel ricorso introduttivo, né nel giudizio di appello, risultando evidente e pacifica la indicazione dei nominativi in cartella dei suddetti responsabili, ancorché privi di sottoscrizione. Pertanto, la questione relativa al difetto di sottoscrizione non era stata esaminata dalla C.T.R. che si era pronunciata su una diversa eccezione, mai proposta; peraltro, la sentenza impugnata conteneva un’ulteriore inesattezza, in quanto dall’esame della cartella si evinceva chiaramente che il ruolo risaliva al 2010, per cui non potevano esservi dubbi che fosse invocabile la disposizione di cui all’art. 36, comma 4-ter, del d.l. n. 248 del 2007.
4.1. Anche il terzo motivo va rigettato.
4.2. Pur se è evidente che non vi è stata pronuncia esplicita sulla questione, posta con l’eccezione in esame, della mancanza della sottoscrizione della cartella esattoriale impugnata, questo Collegio non può che dare seguito al consolidato indirizzo che «alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto» (Cass., sez. 2, 1/02/2010, n. 2313; Cass., sez. 5, 28/06/2017, n. 16171; Cass., sez. 5, 19/04/2018, n. 9693).
4.3. Va riaffermato, sul punto, il principio secondo cui «In tema di riscossione delle imposte sul reddito, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice» (Cass., sez. 5, 5/12/2014, n. 25773; Cass., sez. 5, 4/12/2019, n. 31605; Cass., sez. 5, 29/08/2018, n. 21290).
4.4. Trattandosi di ruolo reso esecutivo nel 2010, si applica l’art. 36, comma 4-ter, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, ai sensi del quale <<la cartella di pagamento di cui all’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni, contiene, altresì, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella. Le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1° giugno 2008. La mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse>>.
Ciò trova, peraltro, conferma nell’ulteriore periodo del comma in esame, ove si fa esplicito riferimento alla mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti, con evidente riferimento ad entrambe le figure di responsabili indicati nel periodo precedente.
Risulta, tuttavia, dalla stessa illustrazione del mezzo di ricorso in esame che è pacifica, nel caso in esame, la indicazione, nella cartella di pagamento, dei nominativi del responsabile del procedimento e del responsabile del procedimento di iscrizione a ruolo e che la doglianza attiene alla sola mancanza della sottoscrizione, cosicché non è configurabile il vizio denunciato.
5. Con il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000 e dei principi sulla motivazione dell’atto impositivo, in relazione al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., e si duole che i giudici regionali abbiano ritenuto valida e sufficientemente motivata la cartella di pagamento impugnata.
Assume il ricorrente che l’esigenza di una sufficiente motivazione della cartella di pagamento riveste particolare rilievo nel caso di specie, in ragione della mancata preventiva notificazione della comunicazione di irregolarità o avviso bonario che avrebbe dovuto costituire la motivazione delle concrete cui siano rettificati i risultati della dichiarazione e, quindi, sia esercitata una vera e propria potestà impositiva, va motivato debitamente, dovendosi rendere edotto il contribuente dei fatti su cui si fonda la pretesa, mentre quello con cui si proceda, in sede di controllo cartolare ex artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, alla liquidazione dell’imposta in base ai dati contenuti nella dichiarazione o rinvenibili negli archivi dell’anagrafe tributaria, può essere motivato con il mero richiamo alla dichiarazione, poiché il contribuente è già in grado di conoscere i presupposti della pretesa>> (Cass., sez. 5, 20/09/2017, n. 21804).
Sviluppando tali principi, questa Corte ha precisato che <<la cartella di pagamento emessa all’esito di un procedimento di controllo cd. formale o automatizzato, a cui l’Amministrazione finanziaria ha potuto procedere attingendo i dati necessari direttamente dalla dichiarazione, può essere motivata con il mero richiamo a tale atto, atteso che il contribuente è già in grado di conoscere i presupposti della pretesa, anche qualora si richiedano somme maggiori di quelle risultanti dalla dichiarazione» (Cass. Sez. 5, n. 27/07/2016, n. 15564).
5.3. Tali principi, come correttamente ritenuto dalla C.T.R., risultano pienamente applicabili al caso di specie, in considerazione della circostanza che l’emissione della cartella impugnata è avvenuta all’esito di un procedimento di controllo c.d. formale o automatizzato ex art. 36-bis d.P.R. n. 600/73 del modello Unico 2007 per l’anno 2006, a cui l’Amministrazione ha potuto procedere attingendo i dati necessari direttamente dalla dichiarazione stessa, ove trovava esposizione un debito a titolo di imposta Irap. In relazione a tale pretesa, il contenuto della cartella, prodotta unitamente al ricorso per cassazione, risulta conforme agli enunciati principi, riportando non soltanto il dettaglio degli addebiti, l’indicazione del tributo, del periodo d’imposta, dei singoli importi iscritti a ruolo, con indicazione del numero dello stesso e della data di esecutività, ma, altresì, il titolo dei singoli recuperi a tassazione.
6. Con il quinto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente lamenta che la decisione gravata ha confermato la statuizione della Commissione provinciale con riferimento alla sussistenza dei presupposti impositivi ai fini Irap sulla sola base dei dati risultanti dal rigo RE011 della dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2006, relativo alle spese per lavoro dipendente ed assimilati, ammontanti ad euro 40.493,00.
Ribadisce che la giurisprudenza di legittimità attribuisce alla struttura utilizzata per l’esercizio dell’attività di libero professionista una rilevanza, ai fini della configurazione della soggettività passiva, solo quando sussista l’attitudine di questa ad imprimere all’attività del lavoratore autonomo un quid pluris economicamente rilevante in termini di maggiore capacità di arricchimento che, altrimenti, il soggetto passivo, confidando solo sulle proprie risorse intellettuali, non otterrebbe: soltanto al verificarsi dell’esistenza di questa peculiare forza e capacità, il fattore organizzativo si qualifica sufficientemente <<autonomo>> e tale da integrare il presupposto del tributo.
Il giudice di merito, a suo avviso, non avrebbe fatto buon governo dell’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, poiché si è limitato a dedurre l’esistenza dell’elemento organizzativo dell’attività sulla sola base della presenza di spese per collaborazioni, senza verificare l’esistenza degli elementi caratteristici di una struttura organizzativa idonea a far emergere la soggezione al tributo de quo. La stessa Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 45 del 13 giugno 2008, aveva riconosciuto, in conformità all’orientamento espresso dai giudici di legittimità, la non assoggettabilità ad Irap dei professionisti che avessero provato l’assenza di autonoma organizzazione nel senso del mancato utilizzo di lavoro di terzi e di fattori produttivi che superassero la modesta entità.
6.1. Il motivo è infondato.
6.2. E’ pacifico che il ricorrente ha presentato la dichiarazione dei redditi affermando di essere soggetto all’Irap di cui esponeva l’ammontare, salvo poi ometterne il versamento. In tale situazione l’Agenzia delle Entrate è legittimata ad emettere la cartella di pagamento a norma dell’art. 36-bis d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, poiché la sussistenza della autonoma organizzazione, quale presupposto applicativo dell’imposta, è stata dichiarata dallo stesso contribuente.
E’ ben vero che la dichiarazione dei redditi non è un atto negoziale ma una dichiarazione di scienza, emendabile e ritrattabile, con la conseguenza che il contribuente è sempre ammesso, in sede contenziosa, a provare che l’originaria dichiarazione era viziata da un errore di fatto o di diritto e che il presupposto impositivo non era sussistente (Cass., sez. U, 30/06/2016, n. 13378; Cass., sez. 5, 28/10/2015, n. 21968). Ma in tal caso, in applicazione delle regole generali sulla distribuzione dell’onere probatorio stabilite dall’art. 2697 cod. civ., spetta al contribuente che <<ritratta>> la propria dichiarazione fornire la prova del fatto impedivo della obbligazione tributaria (asserita mancanza della autonoma organizzazione). Se così non fosse, si determinerebbe un irrazionale disparità di trattamento a sfavore di coloro che chiedono il rimborso di una imposta versata e non dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla restituzione, rispetto a coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti all’imposta ed averla indicata nella dichiarazione, ne omettono il versamento (Cass., sez. 5, 28/12/2016, n. 27127; Cass., sez. 5, 9/03/2018, n. 5728; Cass., sez. 5, 5/03/2020, n. 6239).
6.3. In particolare, il contribuente avrebbe dovuto precisare in ricorso se e come la propria attività forense possa rientrare nei parametri tracciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza del 10 maggio 2016, n. 9451 (laddove hanno statuito che il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive>>, con la precisazione che <<…Lo stesso limite segnato in relazione ai beni strumentali non può che valere, armonicamente, per il fattore lavoro, la cui soglia minimale si arresta all’impiego di un collaboratore>>); se le spese emergenti dal modello Unico 2007 siano da imputare ad una collaborazione continuativa o piuttosto meramente occasionale e, quindi, se siano strettamente afferenti all’esercizio in modo organizzato della propria attività professionale o se siano (e in che misura) riconducibili a prestazioni strettamente connesse all’esercizio della professione forense, come il compenso per le domiciliazioni di altri colleghi, componenti che, esulando dall’assetto strettamente organizzativo dell’attività professionale, non appaiono di per sé indicativi di autonoma organizzazione (Cass., sez. 6-5, 8/11/2016, n. 22695); o ancora se presso il suo studio svolgesse pratica un tirocinante, considerato che la funzione fondamentale del praticante è quella di imparare e non potenziare la produttività dello studio (Cass., sez. 6-5, 8/11/2016, n. 22705).
In difetto di tali allegazioni, i giudici di appello, nell’evidenziare che l’onere di dimostrare l’assenza di una autonoma organizzazione gravava sul contribuente, avendo rilevato che dall’allegato al Modello Unico 2007 emergevano spese, per un importo di euro 40.943,00, per prestazioni di lavoro dipendente e assimilato, circostanza che denotava la presenza di elementi significativi della esistenza di un considerevole apporto organizzativo all’attività di avvocato, hanno ritenuto sussistente il presupposto impositivo, facendo corretta applicazione dei principi su esposti e dell’art. 2 del d.lgs. n 446 del 1997.
7. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguenza condanna del ricorrente, secondo i criteri della soccombenza, al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
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