CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 06 marzo 2018, n. 5287
Avvocati – Cassa di previdenza forense – Contributo di solidarietà – Restituzione – Questione di legittimità costituzionale
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 15.3.2012, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la pronuncia di primo grado che, ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1°, lett. b), I. n. 576/1980, aveva rigettato la domanda dell’Avv. D. R. volta alla restituzione della somma di € 792.951,69, oltre interessi, versata alla Cassa Nazionale Forense a titolo di contributo di solidarietà dal 1997 al 2008.
La Corte, in particolare, dopo aver preliminarmente rigettato le eccezioni d’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sollevate dalla Cassa per difetto d’incidentalità e di rilevanza nonché di una soluzione che non invadesse la sfera di discrezionalità del legislatore, ha ritenuto la questione manifestamente infondata, all’uopo richiamando le argomentazioni di Corte cost. nn. 132 del 1984 e 173 del 1986.
Contro tale statuizione ricorre l’Avv. D. R., riproponendo davanti a questa Corte, sotto tre distinti profili, la medesima questione di legittimità costituzionale già dichiarata manifestamente infondata dai giudici di merito. Resiste la Cassa con controricorso, nel quale reitera preliminarmente le plurime eccezioni di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale già proposte nella precedente fase di appello. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di censura, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 1°, lett. b), I. n. 576/1980, in relazione agli artt. 2, 3, 38, 41, 42, 47 e 53 Cost., per avere la Corte di merito ritenuto che la questione di legittimità costituzionale proposta nel presente giudizio fosse identica a quella decisa da Corte cost. n. 132 del 1984, nonostante che il profilo qui sollevato concernesse la ragionevolezza di una contribuzione di solidarietà imposta su tutto il reddito eccedente la soglia di cui all’art. 10, comma 1°, lett. a), I. n. 576/1980, ossia senza la previa fissazione di alcun massimale.
Con il secondo motivo, le medesime censure di violazione di legge sono reiterate mediante richiamo a Corte cost. n. 173 del 1986, nella parte in cui essa ha sottolineato la necessità che il legislatore non violi il principio di proporzionalità che regola il rapporto tra contributi, retribuzione e pensione.
Con il terzo motivo, infine, il ricorrente propone le anzidette censure per avere la Corte di merito ritenuto irrilevante l’esistenza di avanzi di gestione nel bilancio della Cassa, laddove Corte cost. n. 1008 del 1988 ne aveva giudicato, sia pure in altra vicenda, la rilevanza ai fini del giudizio di ragionevolezza.
Va preliminarmente escluso che, come sostenuto da parte ricorrente nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., la mancata proposizione di un ricorso incidentale da parte della Cassa debba inibire a questa Corte di conoscere delle plurime eccezioni di inammissibilità della proposta questione di legittimità costituzionale già disattese dalla Corte di merito. Vero è, infatti, che il principio richiamato dalla Cassa, secondo cui il ricorso incidentale per cassazione presuppone la soccombenza e non può essere proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel merito, richiede per la sua applicazione che il giudice d’appello non si sia pronunciato su talune questioni pregiudiziali o preliminari e non si applica viceversa all’ipotesi di c.d. soccombenza teorica, che si ha quando il giudice di merito abbia pronunciato sulla questione pregiudiziale o preliminare, rigettandola, nel qual caso la parte che intenda riproporre la questione non può non proporre ricorso incidentale, che s’intenderà comunque condizionato (cfr. da ult. Cass. nn. 22095 del 2017, 4619 e 7523 del 2015). Ma non è meno vero che le questioni pregiudiziali e/o preliminari sulle quali si può configurare una soccombenza teorica sono, per definizione, questioni altre rispetto a quella che forma oggetto del giudizio, per come individuata dal petitum e dalla causa petendi: che siano pregiudiziali di rito, come ad es. la giurisdizione o la competenza, ovvero preliminari di merito, come ad es. la legitimatio ad causam o la prescrizione, si tratta infatti di questioni che permettono di risolvere la controversia senza pronunciarsi sulla questione concernente la spettanza del bene della vita che, invece, forma propriamente oggetto del giudizio di merito.
Ciò precisato, è evidente che nessuna delle eccezioni d’inammissibilità che ha sollevato la Cassa in relazione alla proposta questione di legittimità costituzionale può logicamente attingere al rango di questione pregiudiziale o preliminare: si tratta infatti di questioni concernenti il merito del giudizio di rilevanza e non manifesta infondatezza della proposta questione di legittimità costituzionale, l’accoglimento della quale, a sua volta, costituisce il presupposto necessario per ritenere fondata la domanda restitutoria fatta valere nel presente giudizio. Ed è evidente che codeste questioni ben avrebbe potuto questa Corte rilevarle anche d’ufficio, giusta il principio iura novit curia (art. 113 c.p.c.), in nient’altro risolvendosi il giudizio richiestole dall’art. 23, comma 2°, I. n. 87/1953.
Tanto premesso, è parimenti evidente come non possa convenirsi con la Cassa resistente nell’assunto secondo cui l’odierna domanda giudiziale si risolverebbe nella prospettazione della questione di legittimità costituzionale: i casi in cui può configurarsi un difetto d’incidentalità della questione di legittimità costituzionale, giusta la costante giurisprudenza del giudice delle leggi, sono quelli in cui vi sia piena coincidenza tra il petitum proposto davanti al giudice a quo e la questione di legittimità costituzionale medesima (v. in tal senso, tra le tante, Corte cost. nn. 127 del 1998, 38 del 2009, 220 del 2010), in ipotesi perché le parti non hanno interessi propri da far valere in giudizio ma si fanno portatrici ciascuna di un più ampio interesse pubblico (c.d. fictio litis), mentre nel caso di specie è indubitabile che parte ricorrente abbia formulato nei confronti della Cassa una precisa domanda di condanna alla restituzione delle somme versate a titolo di contributo di solidarietà. Il fatto, poi, che della fondatezza di quest’ultima si possa decidere solo previa declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 10, comma 1°, lett. b), I. n. 576/1980, e dunque previa verifica della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione proposta, rientra nella logica d’incidentalità disegnata dall’art. 23, I. n. 87/1953, il quale, appunto, prevede che «il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale».
Deve invece parzialmente convenirsi con la Cassa controricorrente nel rilievo d’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1°, lett. b), I. n. 576/1980.
Questa Corte, invero, ha da tempo chiarito che, in conseguenza dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 509/1994 (recante attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, I. n. 537/1993, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, tra i quali la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense), si è verificata una sostanziale delegificazione della disciplina relativa sia al rapporto contributivo, che tali enti intrattengono con i loro iscritti, sia al rapporto previdenziale, che concerne le prestazioni che essi sono tenuti a corrispondere ai beneficiari: la determinazione della relativa disciplina è stata infatti affidata dalla legge all’autonomia regolamentare degli enti, i quali, nel rispetto dei vincoli costituzionali ed entro i limiti delle loro attribuzioni, possono dettare disposizioni anche in deroga a disposizioni di legge precedenti (così, in particolare, Cass. n. 24202 del 2009).
Ciò premesso, è evidente che, avendo il Regolamento contributivo della Cassa approvato con decreto interministeriale 7.2.2003 e successive modifiche previsto una disposizione di contenuto analogo a quella sospettata d’illegittimità costituzionale, la rilevanza di quest’ultima ai fini del decidere deve necessariamente circoscriversi al periodo precedente all’emanazione del Regolamento stesso: il contrario avviso espresso dalla Corte territoriale, secondo la quale la caducazione della disposizione dell’art. 10, comma 1°, lett. b), I. n. 576/1980, «determinerebbe automaticamente anche l’illegittimità e quindi l’inapplicabilità del regolamento medesimo» (così la sentenza impugnata, pag. 4), oblitera precisamente il dato normativo dell’autonomia regolamentare degli enti in funzione dell’obiettivo di mantenere l’equilibrio gestionale nel lungo periodo e che la conformità degli atti di autonomia regolamentare ai vincoli costituzionali e ai limiti imposti dal legislatore è rimessa piuttosto al sindacato giurisdizionale ordinario, in relazione all’eventuale contrasto con norme imperative di legge (così ancora Cass. n. 24202 del 2009). Ed è appena il caso di soggiungere che non si potrebbe d’ufficio rilevare codesto (supposto) contrasto tra il Regolamento e le norme imperative di legge (costituzionale in primis) senza violare il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato: valga al riguardo ricordare che la generica denunzia di illiceità o illegittimità di un fatto non integra nemmeno per implicito l’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda, onde sarebbe viziata di extrapetizione la pronunzia giurisdizionale emessa in base ad una circostanza che non ha attitudine alcuna a specificare una concreta situazione contra legem come ragione dell’azione fatta valere in giudizio (giurisprudenza consolidata fin da Cass. n. 615 del 1980).
Pur così delimitatane la rilevanza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1°, lett. b), I. n. 576/1980, è nondimeno manifestamente infondata.
E’ sufficiente, al riguardo, rilevare che, chiamata a pronunciarsi su analoga questione di legittimità costituzionale delle disposizioni della legge n. 576/1980, nella parte in cui non prevedono un tetto massimo alla contribuzione erogata dai pensionati di vecchiaia per finalità solidaristica, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione sul rilievo che essa avrebbe richiesto l’adozione di una pronuncia additiva, la quale, essendo possibile solo allorché esista un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, (cosiddetta a “rime obbligate”, in ossequio al disposto dell’art. 28, I. n. 87/1953, secondo cui «il controllo di legittimità della Corte costituzionale su una legge o un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento»), non è nella specie configurabile, in considerazione «dell’ampia discrezionalità spettante al legislatore in materia previdenziale» (Corte cost. n. 254 del 2016).
Né contrari argomenti possono desumersi, a parere del Collegio, dall’ulteriore pronuncia del giudice delle leggi invocata in ricorso, la n. 1008 del 1988, giacché in quel caso, trattandosi di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6°, I. n. 576/1980, nella parte in cui disponeva la riduzione a due terzi della pensione di vecchiaia qualora il titolare restasse iscritto agli albi di avvocato e/o di procuratore, una soluzione “a rime obbligate” era chiaramente disponibile già alla stregua del testo della legge, dal momento che, anche «ammesso che un apporto ulteriore di solidarietà sia necessario, il principio di eguaglianza esige che esso gravi proporzionalmente su tutti i membri della categoria, e non soltanto – sotto specie di decurtazione della pensione – sui pensionati che conservano l’iscrizione all’albo» (così Corte cost. n. 1008 del 1988, in motivazione).
Il ricorso, pertanto, va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 8.200,00, di cui € 8.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
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