CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 aprile 2020, n. 11603
Appropriazione indebita aggravata in concorso – Qualificazione giuridica del fatto operata dal giudice – Impossibilità di rilevare d’ufficio la prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata in Cassazione
Ritenuto in fatto
1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino ricorre per cassazione per l’annullamento della sentenza della medesima Corte territoriale (pronunciata in data 25/10/2018) con cui, in parziale riforma di quella del Tribunale di Torino, in ordine alla contestazione di appropriazione indebita aggravata in concorso (artt. 81 cpv., 110, 646 e 61 n. 11 cod. pen.), ha assolto D.R. per non aver commesso il fatto e confermato la condanna della coimputata D.B.M. limitatamente alle condotte commesse dopo il 25.4.2011 (riducendo per l’effetto la pena), dichiarando estinte per prescrizione quelle precedenti. Il ricorso attiene esclusivamente alla qualificazione giuridica del fatto operata dal giudice del merito e riguarda, pertanto, la sola posizione dell’imputata D.B.M..
1.1. Con il primo motivo il P.G. ricorrente deduce l’erronea applicazione della legge penale con riguardo alla corretta qualificazione giudica del fatto, da ricondursi alla diversa fattispecie del furto pluriaggravato anche dall’uso del mezzo fraudolento, circostanza aggravante quest’ultima che era stata descritta nei termini fattuali nel capo di imputazione, quale condotta consistita nel registrare in modo infedele gli importi dei buoni pasto ricevuti in pagamento, trattenendo l’imputata la differenza pagata in contanti. Il fatto che l’imputata, in qualità di cassiera, non avesse la disponibilità autonoma del denaro di cui si era impossessata, escludeva l’ipotesi dell’appropriazione indebita. Ella, infatti, al pari di un cassiere di banca, non aveva altro compito che quello di eseguire esattamente le disposizioni del titolare, unico possessore e dominus degli incassi della società.
1.2. Con il secondo motivo deduce l’errata applicazione dell’art. 157 cod. pen.: la sussunzione del fatto nell’ambito della diversa ipotesi del furto pluriaggravato (art. 625 n. 2 e n. 6 cod. pen.) rendeva illegittima la declaratoria di prescrizione adottata con riguardo alle condotte che l’imputata aveva commesso prima del 25.4.2011 (così sussistendo l’interesse a ricorrere della parte pubblica), non essendosi ancora prescritte alla data della sentenza di appello.
2. Con nota in data 18/11/2019, l’avv. N.F., quale difensore dell’imputata D.B.M., ha eccepito di non avere ricevuto alcuna notifica del ricorso presentato dalla Procura generale presso la Corte di appello di Torino, con violazione del diritto di difesa. Per tale motivo, il processo veniva rinviato all’odierna udienza, al fine di effettuare per tempo l’avviso al difensore.
Considerato in diritto
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1. Con riguardo alla corretta qualificazione giuridica del fatto, questa Corte, con orientamento a cui il Collegio intende aderire e con il quale il ricorrente omette specificamente di confrontarsi, ha chiarito che chi è adibito, all’interno di un supermercato, a compiti di cassiere presso uno dei registratori di cassa, con l’ulteriore incarico di effettuare le operazioni di chiusura contabile e di consegnare il denaro dell’incasso alla direzione, ha valido titolo per detenere le somme per il periodo di tempo necessario allo svolgimento dei detti compiti. Qualora risulti da comportamenti esteriori univoci e concludenti la volontà del soggetto di tenere il denaro per sé come proprio, è ravvisabile a carico dello stesso il reato di appropriazione indebita, e non già quello di furto (Sez. 2, n. 37688 dell’11/10/2011, n.m.; Sez. 4, n. 374 del 18.11.1994 dep. 18.1.1995, Rv 200739).
Nel caso, di specie, per come ricostruito dal giudice del merito, l’imputata si appropriava materialmente delle somme versate in contanti dai clienti a fronte della consumazioni dei pasti e provvedeva, al contempo, anche alla relativa registrazione dei pagamenti in modo infedele facendo falsamente risultare che fossero effettuati esclusivamente a mezzo buoni pasto, indicando un valore di ciascun ticket superiore a quello effettivo. Ella, pertanto, quale destinataria dell’obbligo di custodia del danaro in dotazione alla cassa, era titolare del possesso delle relative somme e come tale, disponendone direttamente in proprio favore, risponde di appropriazione indebita in danno della società presso cui lavorava (in termini Sez. 2, n. 28786 del 18/6/2015, Rv. 264152).
2.2. Il secondo motivo di ricorso con cui il P.G. presso la Corte di appello si duole dell’errata applicazione delle disposizioni sulla prescrizione risulta assorbito dal rigetto del primo motivo in punto di qualificazione giuridica del fatto, in quanto dipendente dalla risoluzione di tale questione.
3. Infondata risulta anche l’eccezione di prescrizione, sollevata dalla difesa dell’imputata, delle restanti condotte di appropriazione indebita maturata nel corso del giudizio di legittimità. Al riguardo, questa Corte ha precisato come l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare ex officio la prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso per cassazione (ex multis, Sez. 2, n. 28848 dell’8/5/2013, Rv. 256463; S.U., n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266).
4. Con riguardo alle spese di giudizio chieste dalla parte civile nei confronti dell’imputata nelle conclusioni scritte, ritiene il Collegio che l’istanza non sia meritevole di accoglimento per carenza di interesse. Le statuizioni civili, infatti, risultano passate in giudicato per mancata impugnazione, da parte dell’imputata, della sentenza di appello che le ha confermate. Il gravame proposto dal pubblico ministero, investendo solo la qualificazione giuridica del fatto riguarda esclusivamente i profili penali della vicenda processuale e non pregiudica in alcun modo gli interessi concernenti l’obbligazione risarcitoria nascente dal fatto illecito in questione – che mantiene rilievo penale a prescindere dalla qualificazione giuridica del fatto nel delitto di appropriazione indebita o di furto aggravato – da cui deriva il diritto al risarcimento del danno vantato dal danneggiato dal reato ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. Né la parte civile ha indicato specifici profili che potessero riverberarsi nel successivo processo civile per la determinazione del quantum del danno da reato in conseguenza della differente qualificazione giuridica oggetto del ricorso del pubblico ministero. Né l’interesse della parte civile ad intervenire nel giudizio potrebbe conseguire all’eventuale prescrizione del reato, pur sollecitata dalla difesa dell’imputata, laddove il ricorso del pubblico ministero non fosse stato ritenuto inammissibile, in quanto l’eventuale annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione non avrebbe in alcun modo pregiudicato le statuizioni civili, poiché confermate dalla sentenza di appello, divenuta irrevocabile sul punto (sulla carenza di interesse della parte civile a dolersi della diversa qualificazione giuridica del fatto, ex multis Sez. 5, n. 25597 del 14/5/2019, Rv. 277311; Sez. 3, n. 14812 del 30/11/2016, dep. 2017, Rv. 269752; Sez. 2, n. 37034 del 18/6/2003, Rv. 228407; Sez. 1, n. 2874 del 10/7/2018, dep. 2019, Rv. 274800).
5. L’applicazione di principi giurisprudenziali consolidati consente di redigere la motivazione della decisione in forma semplificata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per la liquidazione delle spese richieste dalla parte civile. Motivazione semplificata.
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