CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 gennaio 2019, n. 133
Pensione di anzianità – Ragionieri e Periti Commerciali – Coefficiente di neutralizzazione – Ricongiunzione dei periodi assicurativi sono
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 1018/2015, ha respinto l’appello proposto da A.C. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città di rigetto delle domande proposte nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali (da ora in poi Cassa) relative: a) al riconoscimento del diritto alla liquidazione della pensione di anzianità, di cui fruiva dal primo dicembre 2007, tenendo conto del principio del pro rata di cui all’art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995, nel testo anteriore alle modifiche di cui all’art. 1, comma 763, l. n. 296 del 2006 e quindi secondo i criteri vigenti anteriormente alle delibere del Comitato dei Delegati 22 giugno 2002 e 7 giugno 2003 da ritenersi illegittime, e ciò per l’intera quota retributiva della pensione o, in subordine, solo per le anzianità maturate fino al 22 giugno 2002 e, secondo il Regolamento vigente, applicando il cd. coefficiente di neutralizzazione solo sulla quota di pensione corrispondente alle anzianità maturate successivamente alla sua introduzione, con condanna al pagamento delle somme specificate; b) in subordine, al riconoscimento del diritto ad ottenere la riduzione dell’onere di ricongiunzione come già determinato nella nota del 22.11.2000, in misura proporzionale alla riduzione del trattamento pensionistico subita per effetto delle citate delibere con condanna della Cassa alla restituzione degli importi versati in eccedenza.
2. La Corte territoriale, condividendo la decisione di primo grado, ha ritenuto che la domanda principale non potesse essere accolta in ragione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione in ordine agli effetti delle modifiche dell’art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995 quanto all’obbligo del rispetto del principio del pro rata, non più concepito in modo assoluto, trattandosi di trattamento pensionistico liquidato dopo il primo gennaio 2007. Quanto alla domanda subordinata, la sentenza impugnata ha ritenuto infondata la richiesta di ritenere parzialmente risolto l’accordo di ricongiunzione con diritto alla riduzione della propria prestazione (ex art. 1464 cod.civ.), in ragione del fatto che il costo a carico del lavoratore prescinde dalla verifica, a valle, dell’effettivo incremento dell’importo della pensione e che vanno considerati, in senso impeditivo all’accoglimento della pretesa, sia il carattere solidaristico della gestione della Cassa che la natura di negozio bilaterale di natura pubblicistica dell’istituto della ricongiunzione con conseguente impossibilità di ripensamenti salvo errore (ai sensi degli artt. 1428 e 1429 cod.civ.), per entrambe le parti, dopo l’accettazione della relativa domanda.
3. Avverso tale sentenza, ricorre per Cassazione A.C. sulla base di due articolati motivi. Resiste la Cassa con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo deduce la violazione e o falsa applicazione dell’art. 1, comma 488, l. n. 147 del 2013, dell’art. 1, comma 763, l. n. 296 del 2006 e dell’ art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995 e pone questione di legittimità costituzionale, criticando l’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte di cassazione n. 17742 del 2015 laddove ha affermato che la norma interpretativa di cui all’art. 1, comma 488, l. n. 147 del 2013, ha assegnato alle delibere già adottate dall’Ente prima del 2007 < il crisma della legittimità ed efficacia> e ne ha in sostanza elevato il rango della fonte da regolamentare (e quindi da sub primaria) a primaria Ad avviso del ricorrente, in particolare, tale elevazione della forza del potere regolamentare della Cassa nel sistema generale delle fonti dell’ordinamento implicherebbe la necessità di valutare la legittimità costituzionale dell’atto regolamentare al pari delle norme primarie di rango legislativo, cosa di cui le Sezioni Unite non si sono occupate così non cogliendo il grave pregiudizio arrecato alla posizione previdenziale in via di maturazione ed alla adeguatezza del trattamento pensionistico di anzianità dalle modifiche introdotte dalla Cassa con il Regolamento del 1.1.2004, agli artt. 50 e 53, in cui sono stati trasfusi i contenuti delle delibere 22 giugno 2002 e 7 giugno 2003. Ciò integra, ad avviso del ricorrente, la violazione dell’art. 38, secondo comma, della Costituzione, oltre che del principio di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento ex art. 3 Costituzione, nonché della tutela del risparmio in forma di accantonamento contributivo ai sensi dell’art. 47 della Costituzione e dell’art. 1, Protocollo addizionale alla CEDU e dell’art. 117 della Costituzione. Sotto altro profilo, il motivo critica l’arresto delle citate Sezioni Unite laddove risulta affermata la natura interpretativa dell’art. 1, comma 488, l. n. 147 del 2013 e l’efficacia sanante riconosciuta a tale disposizione dall’anno 2007 in poi posto che non vi era mai stato alcun dubbio interpretativo sul significato dell’ultimo periodo del comma 763, art. 1, l. n. 296 del 2006 e le Sezioni Unite erroneamente avrebbero fondato l’accertamento della natura interpretativa della norma sopravvenuta, riferita appunto all’ultimo periodo del comma 763, rapportandola al secondo periodo del medesimo comma sul quale si sarebbe, invece, registrata l’incertezza interpretativa. Neanche strutturalmente, ad avviso del ricorrente, si potrebbe cogliere la natura interpretativa della disposizione in commento perché non assegna alla norma interpretata uno dei possibili significati della <clausola di salvezza> ma un nuovo precetto, con l’effetto di rendere applicabili le norme regolamentari previgenti al fine della liquidazione del trattamento pensionistico liquidato dal primo gennaio 2007.
2. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 4 l. n. 45 del 1990 e 1323 e 1464 cod. civ. e ciò in ragione del fatto che la sentenza impugnata aveva negato che vi fosse uno stretto collegamento tra gli oneri di ricongiunzione ed importo del trattamento pensionistico e che vi fosse necessaria corrispettività tra contribuzione e prestazione, con ciò errando in diritto dal momento che il meccanismo di calcolo della riserva matematica di cui all’art. 2, comma 2, l. n. 45 del 1990 e l’art. 13, comma 6, l. n. 1338 del 1962 dimostrava la relazione giuridica tra onere di ricongiunzione e calcolo del trattamento pensionistico successivo alla ricongiunzione; peraltro, l’accordo di ricongiunzione, definito in giurisprudenza quale <negozio bilaterale di natura pubblicistica>, seppure si caratterizzi per il regime di irretrattabilità della domanda, non comporta che il relativo accordo sottostante sfugga alle azioni di tutela del contraente in caso di squilibrio ingiustificato tra prestazione e controprestazione ai sensi dell’art. 1464 cod. civ.
3. Il primo motivo è infondato. La questione proposta si risolve in una critica alla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte n. 17742 del 2015, cui va, invece, data continuità, che la parte ricorrente ricava da una lettura della sentenza delle Sezioni Unite che – come si evidenzierà – non risponde ai suoi reali contenuti. Si sostiene che la pronuncia ora richiamata abbia errato nel confermare la dichiarata natura interpretativa dell’art. 1, comma 488, l. n. 147 del 2013, posto che non vi era alcuna incertezza interpretativa sui contenuti della cd. clausola di salvezza di cui all’art. 1, comma 763, l. n. 296 del 2006; da ciò, ad avviso del ricorrente scaturirebbe l’irretroattività del disposto della legge del 2013 e la necessità di ritenere che la cd. salvezza delle delibere della Cassa non possa operare anche dopo l’intervento dell’art. 1, comma 763, I. n, 296 del 2003 in quanto, sempre ad opera di SS.UU. n. 17742 del 2015, si sarebbe attribuito al Regolamento adottato il 1.1.2004 la forza di norma di natura primaria in insanabile contrasto con i principi costituzionali contenuti negli artt. 38, secondo comma, 3 e 47 Cost. nonché con l’art. 1 del Protocollo aggiuntivo alla CEDU e, quindi, con l’art. 117 Cost.
4. La soluzione della specifica questione poggia sulla preliminare determinazione della linea di demarcazione dell’esercizio dei poteri regolamentari della Cassa, posto che, più in generale, il rispetto del principio di autonomia riconosciuto agli enti previdenziali privati e la natura obbligatoria del regime assicurativo che gli stessi gestiscono comporta necessariamente una relazione con la fonte legislativa nei cui confronti esiste un obbligo di conformazione; la realizzazione del fine pubblico imposto dall’art. 38 Cost. è mediata dalla legge ed è, dunque, la legge che di volta in volta fissa i corretti parametri di riferimento dei poteri regolamentari e che impone ai medesimi la cifra della garanzia da riconoscere agli assicurati. In questo solco, dunque, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (tra le tante Cass. n. 24202 del 2009; n. 13602 del 2012; n. 24534 del 2013; SS.UU. n. 18136 del 2015 e n. 17442 del 2015), è solida nell’affermare che:
a) la L. 23 agosto 1988, n. 400, art.17, comma 2, indica i regolamenti di delegificazione come quelli “destinati a sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali, in conformità a nuove norme generali regolatrici della materia stabilite con legge, e con effetto di abrogazione differita delle disposizioni legislative sostituite” (Corte cost. n. 376 del 2002) e tale disposizione, pur priva di rango costituzionale, disegna un modello di carattere generale, cosicché la deviazione da esso, ad opera della legge ordinaria, è di stretta interpretazione; pertanto, laddove il legislatore “delegante” ha inteso assegnare alla fonte subprimaria delegata anche il potere normativo di derogare a specifiche disposizioni collocate al superiore livello primario lo ha previsto espressamente;
b) il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, ha posto alle Casse “privatizzate” l’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la stabilità delle rispettive gestioni mediante l’adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale. Per far ciò l’art. 1, comma 4, in combinato disposto con l’art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria (il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale) ad introdurre norme generali ed astratte ed a tal proposito si è parlato di “sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti (cfr, Cass. 16 novembre 2009, n. 24202) e si è aggiunto “anche in deroga a disposizioni di legge precedenti, ma in realtà le suddette disposizioni del D.Lgs. n. 509 cit., non hanno affatto attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla citata L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, sicché ad essi – e, quindi, anche all’emanando Regolamento della Cassa di previdenza ragionieri – non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse “privatizzate”, a cominciare dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che costituisce il riferimento normativo centrale per l’esito di questa controversia e che ha natura di norma imperativa inderogabile dall’autonomia normativa delle Casse privatizzate;
c) ciò del resto è dimostrato anche dal fatto che, quando è emersa l’opportunità di modificare tale disposizione, vi ha provveduto la legge (L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763) e non il Regolamento della Cassa.
5. La giurisprudenza di questa Corte, nel ricostruire il succedersi degli interventi legislativi inerenti all’art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995 ha, in sintesi, consolidato i seguenti principi:
– la garanzia costituita dal principio c.d. del pro rata – il cui rispetto è prescritto ex art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995 per le casse privatizzate ex D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti – ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare delle Casse” (ex pluribus: Cass. sez. lav., 18 aprile 2011, n. 8846; Cass. sez. lav., 2 maggio 2011, n. 9621; Cass. sez. 6-L, 7 marzo 2012, n. 3613; Cass. sez. lav., 30 luglio 2012, n. 13607, Cass. sez. 6-L, 14 febbraio 2014, n. 3520; Cass. SS.UU. 17742 del 2015);
– l’art. 1, comma 763, ha sostituito il concetto del pro rata di cui all’originario art. 3, comma 12, con un concetto meno rigido, introducendo una disposizione innovativa, secondo cui le Casse privatizzate nell’esercizio del loro potere regolamentare sono tenute non più al “rispetto del principio del pro rata” (vecchia formulazione), ma a tenere “presente il principio dei pro rata” nonché “i criteri di gradualità e di equità fra generazioni” (nuova formulazione), a partire dal 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della legge n. 296 con ciò il criterio del pro rata è stato reso flessibile e posto in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni consentendo alla Cassa, solo dalla data di entrata in vigore della norma, di adottare Delibere in cui il principio del pro rata venga temperato rispetto ai criteri originali di cui alla L. n. 335 del 1995, (tra le tante, v. Cass. 18.04.11 n. 8847, 7.03.12 n. 3613 e 30.07.12 n. 13607, 14.02.14 nn. 3514 e 3520 richiamate da Cass. SS.UU. n. 17742 del 2015 e n. 18136 del 2015);
– l’ultimo periodo del comma 763, per il quale “Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ovvero degli enti di cui al D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, ed approvati dai Ministeri vigilanti prima data di entrata in vigore della presente legge”, non costituisce una validazione successiva delle disposizioni regolamentari delle Casse Interessate nella parte in cui non ottemperavano alla prescrizione del “rispetto del principio del pro rata”, ma riguarda le delibere future, successive al 1 gennaio 2007 e non può operare retroattivamente al fine di rendere legittime delibere anteriori che dovevano invece conformarsi alla normativa vigente al momento in cui erano state emanate ed ai fini della liquidazione della pensione. La legittimità delle delibera va valutata a seconda del periodo in cui il diritto sia maturato (prima o dopo quella data) e del concetto di pro rata accolto dalla legislazione al momento vigente;
– la norma della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 488, non si pone in contrasto con i principi enunciati dalla Corte EDU, assumendo una ben determinata fisionomia interpretativa nella vicenda della riforma della previdenza gestita dagli enti privatizzati, in quanto lo stesso comma 488 interviene solo sul secondo parametro applicativo relativo alla applicazione attenuata dello stesso principio, ai sensi della formulazione del comma 12 introdotta dalla L. n. 296, art. 1, comma 768 e non sul primo parametro di validità della regolamentazione della Cassa (rispetto assoluto dei pro rata, in forza della originaria formulazione della L. n. 335, art. 3, comma 12) così confermando l’interpretazione sposata da Cass. n. 24221 del 2014 ed in difformità da Cass. n. 17892 del 2014 che, negandone la reale natura interpretativa e la conformità ai precetti costituzionali e della CEDU, aveva riferito l’ambito della norma interpretativa anche alle pensioni maturate prima del 1.1.2007.
6. Ciò premesso, è evidente che la natura realmente interpretativa dell’art 1, comma 488, l. n. 147 del 2013 è stata convincentemente correlata alla oggettiva ambiguità del testo dell’art. 1, comma 768, l. n. 296 del 2006 in punto di limiti dell’effetto sanante delle precedenti delibere, testimoniata dalla giurisprudenza non uniforme della Corte di cassazione; dunque, alla luce della interpretazione complessiva sopra ricordata, non può essere messo in dubbio che nel caso di specie
– ove la liquidazione del trattamento pensionistico è avvenuta con decorrenza dal primo dicembre 2007 – vada applicata la formulazione dell’art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995 modificata nel 2006.
7. Inoltre, specificato nei termini di cui sopra il rapporto esistente tra potere regolamentare della Cassa e legge, non può ritenersi fondato l’assunto del ricorrente secondo cui la giurisprudenza di questa Corte avrebbe sostenuto una sorta di legificazione delle delibere trasfuse nel Regolamento della Cassa del 1.1.2004 di talché le relative disposizioni sarebbero suscettibili di formare oggetto di giudizio incidentale di costituzionalità, ai sensi dell’art. 134 della Cost.; al contrario, la giurisprudenza di legittimità ha sempre rimarcato il nesso di stretta correlazione esistente tra le norme di legge ed il potere regolamentare delle casse professionali con l’obbligo di quest’ultimo di conformarsi alla prima. Né il discorso può mutare intendendo includere all’interno del contesto normativo sospettato di illegittimità costituzionale anche le disposizioni introdotte a modifica dell’originaria formulazione dell’art. 3, comma 12, l. n. 335 del 1995 poiché, in concreto, le censure formulate investono solo il contenuto normativo degli atti regolamentari che non costituiscono specificazione delle disposizioni di legge e quindi non possono formare oggetto del sindacato di legittimità della Corte costituzionale, ai sensi dell’art. 134 Cost. (Corte Cost. n. 254 del 2016, Corte Cost. nn. 162 del 2008; 354 del 2008, 456 del 1994, 1104 del 1988, 389 del 2004 e 15 del 1999) posto che il vaglio del Giudice delle leggi su disposizioni di atti regolamentari è ammissibile, ai sensi dell’art. 134 Cost., solo quando essi costituiscano specificazione delle disposizioni di legge censurate mentre per le norme di natura regolamentare, come i regolamenti di “delegificazione”, la garanzia costituzionale è normalmente da ricercare, a seconda dei casi, o nella questione di legittimità costituzionale sulla legge abilitante il Governo all’adozione del regolamento, ove il vizio sia ad essa riconducibile (per avere posto principi incostituzionali o per aver omesso di porre principi in materie che costituzionalmente li richiedono); o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell’ambito dei poteri spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed esclusivo del regolamento stesso. (Corte Cost. n. 427 del 2000).
Nessuno di tali vizi risulta evidenziato né, in effetti, ricorre nelle disposizioni che hanno delimitato nel tempo il potere regolamentare delle Casse professionali.
8. Il secondo motivo è pure infondato. Ci si duole del rigetto della domanda subordinata di restituzione della maggior somma a suo tempo corrisposta a titolo di onere di ricongiunzione a fronte del minor importo di pensione liquidato per effetto della nuova regolamentazione ed, in applicazione dell’ordinario rimedio contrattuale della riduzione del prezzo in ipotesi di inadempimento parziale (art. 1464 cod.civ.), si richiede la riduzione dell’onere di ricongiunzione a suo tempo versato.
L’art. 1464 cod. civ., che si afferma essere stato violato, dispone che quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile (art. 1258 cod.civ.), l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
8.1. Il rimedio contrattuale in esame, dunque, va ricondotto necessariamente alla prestazione dedotta nell’obbligazione e non ad altre possibili conseguenze derivanti dalla prestazione medesima ma esterne ad essa. La legge n. 45 del 1990, art. 1, comma due, per quanto qui di interesse, attribuisce al libero professionista che sia stato iscritto a forme obbligatorie di previdenza per lavoratori dipendenti, pubblici o privati, o per lavoratori autonomi, la facoltà di ricongiungere tutti i periodi di contribuzione presso le medesime forme previdenziali, nella gestione cui risulta iscritto in qualità di libero professionista secondo le modalità previste dall’art. 2 della medesima legge, ai fini del diritto e della misura di un’unica pensione.
8.2. E’, dunque, evidente che l’obbligo assunto dalla Cassa, corrispondente all’oggetto della prestazione dedotta nel negozio bilaterale di diritto pubblico, è quello di attivarsi ai sensi dell’art. 4 della legge in commento, ad acquisire gli elementi necessari od utili per la costituzione della posizione assicurativa e la determinazione dell’onere di riscatto e, quindi, all’esito della procedura dettagliatamente regolata dalla legge ed ottenuto l’adempimento del richiedente, di costituire la detta posizione.
L’art. 5, comma 1, l. n. 45 del 1990, inoltre, a proposito della determinazione del diritto e della misura della pensione, prevede che le norme per la determinazione del diritto e della misura della pensione unica derivante dalla ricongiunzione dei periodi assicurativi sono quelle in vigore nella gestione presso la quale si accentra la posizione assicurativa, purché i periodi di contribuzione ricongiunti non siano inferiori a 35 anni o sia stata raggiunta l’età per il collocamento a riposo per aver maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, fatte salve le specifiche norme per la pensione di inabilità o invalidità.
8.3. Se il quadro normativo che regola le vicende dell’istituto della facoltà di ricongiunzione ex l. n. 45 del 1990 è quello appena sintetizzato, appare evidente che non possa configurarsi in termini di parziale inadempimento la mera modifica delle regole di liquidazione del trattamento pensionistico di anzianità cui l’assicurato, esercitando altra sua facoltà, decide di accedere successivamente al perfezionamento della ricongiunzione della contribuzione. Si tratta di eventi, estranei alle prestazioni assunte con la procedura di ricongiunzione, non certo addebitabili alla condotta del debitore ma che rientrano nelle dinamiche gestionali della Cassa, soggette, per quanto si è ampiamente detto in relazione al primo motivo, agli obblighi di conformazione alla legge trattandosi di materia relativa alle assicurazioni obbligatorie, quindi, di rilievo pubblico.
9. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo. L’esito del ricorso determina l’obbligo del pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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