CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 giugno 2018, n. 14827
Lavoro subordinato – Costituzione del rapporto – Durata del rapporto a tempo determinato – Pluralità di contratti a termine – Nullità dell’apposizione del termine – Conversione in unico contratto a tempo indeterminato – Prescrizione dei crediti relativi – Decorrenza in costanza di rapporto – Esclusione
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Firenze ha parzialmente accolto gli appelli, principale e incidentale, rispettivamente proposti dall’Università per Stranieri di S. e da A.F. e, in parziale riforma delle sentenze n. 105 del 9.5.2008 e n. 245 dell’11.12.2009 pronunciate dal Tribunale di Siena, fermo l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto del 14 luglio 1997, ha condannato l’Università: a riammettere in servizio l’originaria ricorrente con le mansioni di collaboratore esperto linguistico; a corrispondere alla stessa a titolo di risarcimento del danno 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale spettante; al pagamento delle differenze retributive maturate dall’8 giugno 2001 all’8 giugno 2006.
2. La Corte territoriale, per quel che qui rileva, ha evidenziato che la legge n. 236/1995 ha consentito alle Università il ricorso al contratto a termine solo per fronteggiare esigenze di carattere temporaneo, insussistenti nella fattispecie in quanto la F. aveva sottoscritto plurimi contratti che avevano interessato il periodo luglio 1997/luglio 2006 e che dimostravano una “esigenza strutturale connaturata alla stessa ragion d’essere del servizio fornito dall’Università per stranieri”. Ha aggiunto che l’originaria ricorrente aveva anche allegato di avere sottoscritto i contratti a termine dopo l’inizio dell’esecuzione della prestazione e detta circostanza, da sola sufficiente a far ritenere la nullità della clausola di durata, non era stata smentita dall’Università.
3. Il giudice di appello, pertanto, ha ritenuto fondata la domanda volta ad ottenere le differenze retributive fra il trattamento previsto per il collaboratore assunto a tempo indeterminato e quello di fatto corrisposto e ha evidenziato che detta voce di credito non può essere ritenuta ricompresa nell’indennità prevista dall’art. 32 della legge n. 183/2010. Ha, però, accolto l’eccezione di prescrizione quinquennale, riproposta in grado d’appello dall’Università, e ha evidenziato che in caso di successione di contratti a termine, quanto alle differenze retributive, il dies a quo decorre dalla data di scadenza di ciascun rapporto.
4. La Corte territoriale ha ritenuto fondato anche l’appello incidentale della F. ed ha rilevato che aveva errato il Tribunale nell’escludere la possibilità di conversione ai sensi dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, trattandosi di norma non applicabile al contratto che intercorre fra l’Università e il collaboratore linguistico, qualificato espressamente dal legislatore di diritto privato. Essendo pacifico che la violazione della legge n. 230/1962 rende nulla solo la clausola appositiva del termine e che ai lettori devono essere garantiti gli stessi diritti riconosciuti al cittadino italiano, ha accertato il diritto della F. ad essere riammessa in servizio ed a percepire il trattamento retributivo come quantificato dalla consulenza tecnica d’ufficio, che aveva tenuto conto della complessiva anzianità, delle previsioni dei contratti collettivi e dell’impegno orario richiesto sulla base dei diversi contratti.
5. Conseguentemente la Corte ha ritenuto applicabile anche l’art. 32 della legge n. 183/2010 ed ha escluso che l’indennità onnicomprensiva potesse essere riconosciuta in aggiunta alle retribuzioni maturate dalla data dell’offerta delle prestazioni lavorative.
6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Università per Stranieri di S. sulla base di tre motivi, contrastati da A.F., che ha proposto ricorso incidentale affidato ad un’unica censura, illustrato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia «violazione art. 334 c.p.c.- omesso esame di un punto su cui le parti hanno interloquito» e rileva che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la tardività dell’appello incidentale, eccepita dall’Università in quanto la F. era stata soccombente rispetto alla domanda di conversione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato. La stessa, quindi, doveva proporre appello nei termini di legge avverso l’autonomo capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato detta domanda. Aggiunge che in ogni caso il giudice di appello era incorso nel vizio di omessa pronuncia, non avendo esaminato l’eccezione formulata dall’appellante principale nelle note autorizzate per l’udienza dell’Il ottobre 2012.
2. La seconda censura addebita alla sentenza impugnata «omesso esame di un punto decisivo su cui le parti hanno interloquito con riguardo alle giustificazioni dei contratti a tempo determinato». Sostiene l’Università che, in relazione all’asserita assenza di temporaneità delle esigenze sottese alla stipula dei contratti, la motivazione è meramente apparente, perché non esamina le deduzioni dell’originaria resistente, la quale aveva dedotto che gli studenti stranieri, a differenza di quelli italiani, frequentano corsi di studio mensili, bimestrali o trimestrali, concentrati nel periodo estivo, sicché non è possibile predeterminare le esigenze di carattere didattico, in quanto i corsi sono di numero e di durata variabile. Aggiunge che non a caso l’art. 51 del C.C.N.L. del Comparto Università 21/5/1996 prevede che la riduzione dell’attività di formazione linguistica costituisce giustificato motivo di recesso.
3. Con la terza critica la ricorrente principale si duole della violazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 183/2010 e rileva che l’indennità prevista dalla norma richiamata in rubrica è onnicomprensiva ed assorbe anche il pagamento delle differenze retributive che, pertanto, non potevano essere riconosciute.
4. L’unico motivo di ricorso incidentale denuncia «violazione e/o falsa applicazione artt. 2935 e 2948 comma 1 n. 4, 2955 n. 1, 2956 n. 1 c.c.» perché durante la successione dei contratti a termine, attesa la non stabilità del rapporto, il termine di prescrizione non decorre né in relazione all’indennità onnicomprensiva né con riferimento ai diritti che derivano dalla pronuncia di conversione. Aggiunge che la Corte territoriale ha richiamato a fondamento della decisione pronunce di legittimità relative a fattispecie nelle quali si era in presenza di contratti a tempo determinato legittimi ed efficaci.
4. Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
Va premesso che il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omessa pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso in cui non vengano esaminate domande o eccezioni di merito ( Cass. n. 321/2016).
Si deve, poi, aggiungere che la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. si configura solo qualora manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, non già allorquando, pur in assenza di una specifica argomentazione, la questione deve ritenersi implicitamente superata o assorbita da altre statuizioni della pronuncia ( cfr. fra le tante Cass. n. 1360/2016), come si è verificato nel caso di specie perché la Corte territoriale, nel pronunciare sull’appello incidentale ritenendolo fondato, ha, evidentemente, ritenuto superabile l’eccezione di inammissibilità del gravame.
Detta eccezione, riproposta in questa sede con il primo motivo di ricorso principale, è in effetti infondata perché l’art. 334 cod. proc. civ., che consente alla parte, contro cui è stata proposta impugnazione di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza, è rivolto a rendere possibile l’accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l’avversario tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorché autonomo rispetto a quello investito dall’impugnazione principale (Cass. S.U. n. 652/1998 e negli stessi termini, fra le più recenti, Cass. n. 6470/2012).
4.1. L’Università in relazione al capo della sentenza riguardante la qualificazione del contratto, l’inapplicabilità del d.lgs. n. 165/2001 e la possibilità di convertire il rapporto a termine ex art. 4 del d.l. n. 120/1995 in contratto a tempo indeterminato, non ha formulato alcuna specifica censura, sicché la formazione del giudicato interno impedisce a questa Corte di valutare la correttezza della statuizione, ormai intangibile.
5. La seconda censura formulata con il ricorso principale non può essere scrutinata in quanto, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la doglianza relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza ( cfr. fra le tante Cass. nn. 9752,15350, 18641/2017).
Nello storico di lite si è evidenziato che la Corte territoriale, oltre ad escludere la temporaneità dell’esigenza didattica, ha rilevato che non era stata «smentita l’allegazione formulata dalla F. secondo cui i contratti a termine erano formalizzati con una sottoscrizione a posteriori rispetto all’inizio dell’esecuzione del contratto. Il che sarebbe già di per sé sufficiente per ritenere la nullità della clausola temporale» ( pag. 5, punto 2a).
Si tratta non di un obiter dictum né di un’argomentazione rafforzativa resa ad abundantiam bensì di un’autonoma ratio decidendi, che il giudice di merito ha espressamente ritenuto idonea a giustificare, anche a prescindere dall’indagine sulla presenza di una causale valida, la ritenuta nullità della clausola di durata.
Ne discende che, alla luce del principio di diritto sopra richiamato, l’assenza di censure formulate avverso detto capo della decisione rende inammissibile, per difetto di interesse, il secondo motivo del ricorso principale.
6. La sentenza impugnata, nella parte in cui ha escluso che l’indennità onnicomprensiva di cui all’art. 32 della legge n. 183/2010 possa assorbire le differenze retributive maturate nel corso del rapporto, è conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui «rientra nell’ambito previsionale della norma il pagamento delle differenze retributive relative al periodo compreso fra l’allontanamento dal posto di lavoro e la sentenza di merito, siccome riferite al danno subito dal lavoratore e da liquidare con carattere forfettario ed omnicomprensivo (Cass. 29 febbraio 2012, n. 3056). Sicché, tutto quanto dovuto, entro questi limiti temporali, a titolo di retribuzione, compresi eventuali scatti di anzianità non pagati, deve essere compreso nell’indennità risarcitoria dell’art. 32 cit. Non altrettanto può dirsi di quanto, fuori dai detti limiti temporali, spetti al lavoratore per la ricostruzione della carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un unico rapporto a tempo indeterminato: riguardando la ricostruzione i periodi di effettiva prestazione dell’attività lavorativa, con conseguente riconoscimento dell’anzianità retributiva e contributiva e relativi scatti successivi al periodo di cui sopra» ( Cass. n. 13630/2014 e negli stessi termini, fra le tante, Cass. n. 6236/2017, Cass. n. 18591/2015, Cass. n. 262/2015).
Il terzo motivo del ricorso principale è, pertanto, infondato.
7. Merita, invece, accoglimento il ricorso incidentale.
La Corte territoriale, nel sostenere che nel caso di plurimi contratti a termine in successione la prescrizione del diritto alle differenze retributive decorre dalla scadenza di ciascun rapporto, ha richiamato il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 575 del 2003, principio poi ribadito da Cass. n. 19351/2003, Cass. n. 6322/2004 e più di recente da Cass. n. 22146/2014.
Dette pronunce, peraltro, si riferiscono a fattispecie non assimilabili a quella oggetto di causa perché in quei casi venivano in rilievo più contratti di lavoro a termine “ciascuno dei quali legittimo ed efficace“. Si è osservato, infatti, che il metus, ritenuto dal Giudice delle leggi motivo decisivo per addivenire alla dichiarazione di illegittimità costituzionale, presuppone l’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato nel quale non sia prevista alcuna garanzia di continuità. Invece, nel contratto a termine legittimamente stipulato, poiché il lavoratore ha solo diritto a che il rapporto venga mantenuto in vita sino alla scadenza concordata e l’eventuale risoluzione ante tempus non fa venir meno alcuno dei diritti derivanti dal contratto, non è configurabile quel metus costituente ragione giustificatrice della regolamentazione della prescrizione nel rapporto a tempo indeterminato non assistito dal regime di stabilità reale. Le Sezioni Unite, peraltro, hanno precisato in motivazione che il principio affermato non opera nei casi di successione di contratti a termine stipulati in frode alla legge o in violazione dei limiti posti dalla legge n. 230/1962 perché in detta diversa fattispecie si opera una conversione dei diversi contratti in un unico rapporto a tempo indeterminato e, quindi, «seppure per una fictio iuris, si presentano tutti i presupposti (esistenza di un unico rapporto lavorativo a tempo indeterminato e metus) che portano ad escludere – alla stregua dei summenzionati pronunziati della Corte Costituzionale – la decorrenza della prescrizione sino alla cessazione del rapporto lavorativo; momento che funge da dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale potendo il lavoratore da detto momento fare valere ex art. 2935 c.c. (anche previo accertamento incidentale dell’unicità del rapporto lavorativo attraverso la conversione dei contratti a termine) i propri diritti senza alcun condizionamento psicologico.». Il principio è stato più di recente ripreso e ribadito da Cass. n. 14996/2012, con la quale, circoscritto l’ambito di applicazione di Cass. S.U. n. 575/2003 ai soli rapporti a termine legittimi ed efficaci, si è evidenziato che al di fuori di detta ipotesi «in considerazione del metus del lavoratore nei confronti del datore di lavoro tipico dei rapporti senza stabilità, che non può essere valutato in base alla successiva declaratoria, pur retroattiva, di nullità del termine e di conversione del rapporto a tempo indeterminato, durante la successione dei contratti a termine non è configurabile un decorso della prescrizione dei diritti derivanti dalla detta conversione (v. Cass.13-8-1997 n. 7565, Cass. 3.- 10-2000 n. 13122, Cass. 17-3-2001 n. 3869)».
Detto orientamento, al quale il Collegio intende dare continuità, porta ad escludere che nella fattispecie la prescrizione del diritto alle differenze retributive potesse decorrere dalla data di scadenza dei contratti a termine, stipulati in successione e ritenuti affetti da nullità.
Va osservato che non possono essere invocati i principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 143 del 1969, perché, come già evidenziato al punto 4.1., si è formato giudicato sul capo della sentenza che ha qualificato di diritto privato il rapporto intercorso fra le parti e che, nel disporre la conversione dello stesso, ha escluso la possibilità dell’assimilazione all’impiego pubblico.
8. In via conclusiva merita accoglimento il ricorso incidentale mentre va rigettata l’impugnazione principale.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al ricorso accolto, con rinvio, anche per il regolamento delle spese, alla Corte territoriale indicata in dispositivo, che procederà ad un nuovo esame attenendosi al principio di diritto di seguito enunciato: «nel caso di una serie di contratti di lavoro di diritto privato a tempo determinato, poi convertiti in un unico contratto a tempo indeterminato in conseguenza della ritenuta nullità dell’apposizione del termine, la prescrizione dei crediti derivanti dal rapporto non decorre dalla scadenza dei singoli contratti a termine e resta sospesa sino alla cessazione del rapporto lavorativo, non rilevando che a seguito della conversione il rapporto medesimo risulti assistito dalla garanzia della stabilità reale».
9. Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo ( Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).
P.Q.M.
Accoglie il ricorso incidentale e rigetta il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione.
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