CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 gennaio 2019, n. 351
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Prestazioni di consulenza esterna – Prestazioni accessorie
Fatti di causa
1. Con l’impugnata sentenza la CTR, rigettato l’appello principale della Società contribuente, accolto quello incidentale dell’ufficio, in parziale riforma della prima decisione che aveva disapplicato le sanzioni, confermava integralmente l’avviso di accertamento con il quale l’amministrazione aveva recuperato IVA 2007 ritenendo indebita la detrazione di imposta in relazione ad una fattura <<passiva>> per prestazioni di consulenza esterna, considerate dall’ufficio <<accessorie>> ai sensi dell’art. 12 d.p.r. 26 ottobre 1972 n. 633, rispetto all’operazione principale esente IVA di acquisto di partecipazioni azionarie.
2. La Regionale, dopo aver premesso di condividere le ragioni dell’ufficio, nonché in parte qua le motivazioni della sentenza della CTP, con riferimento alla <<concorde e costante giurisprudenza comunitaria e nazionale di legittimità>>, statuiva nel merito la <<non assoggettabilità a IVA delle operazioni accessorie rispetto all’operazione principale>>, essendo le prime <<rappresentate dalla consulenza prestata da S.p.A. Crab Holding, precedentemente denominata Abac Group S.p.A., in occasione della cessione delle partecipazioni in Abac Aria Compressa S.p.A. tra la venditrice Aria 13 Holding S.p.A. e l’acquirente Società contribuente>>; la Regionale terminava statuendo che, quanto sopra, <<non consentiva di configurare nella fattispecie la buona fede al fine di evitare l’irrogazione delle sanzioni>>.
3. La contribuente ricorreva per cinque motivi, mentre l’ufficio resisteva con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, formulato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., lamentando la violazione dell’art 36 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, la contribuente deduceva la nullità della sentenza, per aver la Regionale motivato in modo apparente per relationem alla decisione della CTP, cioè attraverso una <<mera adesione>> a quest’ultima.
1.1. Il motivo è infondato perché la sentenza non presenta la struttura della motivazione per relationem – pur richiamando genericamente le argomentazioni adottate dalla Provinciale – avendo in effetti la CTR spiegato di aver accertato <<in fatto>> che la consulenza era stata posta in essere <<in occasione della cessione delle partecipazioni>> e di aver per tale ragione ritenuto <<in diritto> il carattere <<accessorio>> della stessa.
2. Con il secondo motivo, formulato in relazione al <<nuovo>> art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la contribuente lamentava l’omesso esame delle singole prestazioni di consulenza, dalle quali la Regionale avrebbe dovuto in thesi ricavare la non <<accessorietà>> dell’attività di consulenza.
2.1. Il motivo è inammissibile perché – come sopra anticipato – la CTR ha <<in fatto> accertato che le attività di consulenza erano state poste in essere <<in occasione della cessione delle partecipazioni>>. Trattasi quindi di un accertamento <<in fatto>
– che non solo ha complessivamente preso in considerazione le prestazioni di consulenza – con la conseguente impossibilità di censura ai sensi del <<nuovo>> art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. che garantisce esclusivamente <<il minimo costituzionale>> della mancanza materiale della motivazione (Cass. sez. un. n. 8053 del 2014). Ma trattasi altresì di un accertamento che – reiterando <<in fatto>> quello identico compiuto dalla Provinciale – lo rende anche incensurabile in ragione della <<doppia conforme>> (art. 348 ter c.p.c.).
3. Con il terzo motivo di ricorso, formulato in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., lamentata la violazione dell’art. 12 d.p.r. n. 633 cit., dopo ampi richiami alla indiscussa giurisprudenza unionale, la contribuente deduceva che la CTR era incorsa in errore laddove aveva ritenuto la consulenza <<accessoria>> rispetto all’operazione di cessione di azioni, a riguardo evidenziando che la consulenza era stata successiva all’acquisto, che era stata fatta da un soggetto terzo, che sotto il profilo strumentale non poteva considerarsi unitariamente alla cessione di azioni, che le spese sostenute per la ridetta consulenza dovevano quindi farsi rientrare in quelle <<generali>> dell’impresa, con il conseguente diritto alla detrazione IVA.
3.1. Il motivo è infondato – in disparte la non perfetta coincidenza della definizione di <<accessorietà>> che parte della dottrina ha ritenuto di dover ravvisare tra giurisprudenza unionale che prescinderebbe del tutto dall’identità soggettiva tra chi ha posto in essere l’operazione principale e chi ha posto in essere quella <<accessoria>> e prassi domestica che considera al più che l’operazione <<accessoria>> possa essere fatta anche da un terzo per conto di chi ha posto in essere l’operazione principale (Corte giust. sez. VI n. 76 del 2001, con riferimento all’art. 11, Parte A, par. 2, lett. b dir. 17 maggio 1977 n. 388 c.d. VI Direttiva; risol. min. 8 marzo 1988 n. 550145, con riferimento all’art. 12, comma 1, d.p.r. n. 633 cit., laddove viene stabilito che le ridette operazioni <<accessorie>> possono essere effettuate <<direttamente dal cedente o prestatore ovvero per suo conto e a sue spese>>) – deve essere dapprima sottolineato che secondo la più convincente dottrina il tratto <<oggettivo>> che si considera caratterizzante la natura << accessoria >> dell’operazione è quello della sua unitarietà declinato sotto diversi profili come p.es. quello del nesso di strumentalità ovvero quello della dipendenza ecc. Soluzione che viene peraltro condivisa anche dalla giurisprudenza unionale e di legittimità per le quali quello che in effetti rileva è che l’unica operazione non venga artificiosamente frazionata. Ciò che secondo la rammentata giurisprudenza si verificherebbe quando più operazioni costituiscano in realtà un tutto unico, cioè quando l’operazione <<accessoria>> non sarebbe stata posta in essere se non fosse stata posta in essere quella principale, con la conseguenza che entrambe debbono ritenersi funzionalmente collegate ad ottenere lo stesso identico bene o lo stesso identico servizio (Corte giust. sez. I n. 88 del 2010; Corte giust. sez. VI n. 76 cit. : Cass. sez. trib. n. 13312 del 2013; Cass. sez. trib. n. 20029 del 2011).
3.2. In ragione delle superiori considerazioni la CTR ha quindi correttamente deciso – avendo dapprima fatto emergere senza contestazione <<in fatto>> che la consulenza era stata predisposta dalla controllante la cedente il << pacchetto azionario>> – con la conseguente illazione <<in diritto>> per cui la stessa era stata fatta per conto della contribuente siccome previsto dall’art. 12, comma 1, d.p.r. n. 633 cit. E con ciò evitando ogni possibile frizione con la giurisprudenza unionale che – come ricordato – ammette che l’operazione possa essere <<accessoria>> anche se non posta in essere direttamente da chi ha compiuto l’operazione principale o per suo conto. E in secondo luogo avendo la CTR altrettanto correttamente deciso <<in diritto>> – per l’appunto dopo aver accertato in fatto che la consulenza era stata svolta <<in occasione della cessione delle partecipazioni>> – la natura oggettivamente <<accessoria>> dell’operazione. E questo in modo conforme alla rammentata giurisprudenza che come s’è visto individua il carattere <<accessorio>> della operazione nel caso in cui questa non vi sarebbe stata se non fosse stata posta in essere quella principale. E cioè – come affermato dalla Regionale con espressione sostanzialmente equivalente – quando l’operazione <<accessoria>> sia stata posta in essere <<in occasione>> di quella principale.
4. Con il quarto motivo, formulato senza specifica indicazione del tipo di censura tra quelle indicate dall’art. 360 c.p.c., lamentando però chiaramente sia la violazione dell’art. 6 d.lgs. 18 settembre 1997 n. 472, sia la violazione dell’art. 10 I. 27 luglio 2000 n. 212, sia infine la violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 546 cit., la contribuente deduceva che la CTR avrebbe dovuto disapplicare le sanzioni in ragione della mancanza di colpa derivata dalla obbiettiva incertezza delle disposizioni che disciplinavano la concreta fattispecie.
4.1. Il motivo è da rigettarsi semplicemente ricordando la consolidata giurisprudenza della Corte secondo cui l’obbiettiva incertezza che comporta la disapplicazione delle sanzioni è soltanto quella del giudice in ragione delle plurime possibilità interpretative delle disposizioni – obbiettiva incertezza che può anche essere dimostrata dalla contraddittorietà dei formanti di riferimento – e non invece come nel nostro caso in cui la prospettata <<<incertezza>> interpretativa è quella semplicemente soggettiva della contribuente (Cass. sez. trib. n. 18405 del 2018). E’ utile anche precisare – atteso il non limpido coinvolgimento di altri istituti all’interno dell’illustrazione del motivo – che l’obbiettiva incertezza niente ha a che fare con la differente problematica della non colpevolezza (Cass. sez. trib. n. 13076 del 2015).
5. Con il quinto motivo, anche in questo caso formulato senza specifica indicazione del tipo di censura tra quelle indicate dall’art. 360 c.p.c., ma chiaramente lamentando la violazione dell’art. 7 d. lgs. n. 472 cit., la contribuente deduceva sotto vari profili, p.es. in relazione alla sua condotta, nonché p.es. in relazione alla non gravità dell’evasione, che la sanzione era stata applicata in modo <<sproporzionato>>, questo perché l’amministrazione l’aveva <<incrementata del 20%>> rispetto al minimo edittale.
5.1. Il motivo è inammissibile perché – pur dovendosi dare atto che deve riconoscersi al giudice il potere di graduare la sanzione entro i limiti edittali (Cass. sez. trib. n. 9255 del 2013) – occorre tuttavia osservare che sulla richiesta di riduzione delle sanzioni <<per sproporzione>> la CTR non ha affatto pronunciato. Cosicché la contribuente non solo era tenuta a censurare la Regionale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. – per violazione dell’art. 112 c.p.c. (Cass. sez. lav. n. 22759 del 2014) – ma avrebbe altresì dovuto aver cura di indicare ai fini del rispetto del principio dell’autosufficienza che la domanda di riduzione della sanzione <<per sproporzione>> era stata proposta con l’originario ricorso e coltivata in appello (Cass. sez. trib. n. 9108 del 2012).
6. In appendice la contribuente faceva infine presente che il d.lgs. 24 settembre 2015 n. 158 <<aveva apportato modifiche alla misura delle sanzioni>>, di cui si sarebbe dovuto comunque tenere conto ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 3, d.lgs. n. 472 cit.
6.1. Con riferimento alla appena veduta richiesta di prendere in considerazione la successiva lex mitior – ai fini dell’applicazione dell’eventuale favor rei – deve condividersi l’orientamento che ritiene di dover rinviare al giudice di merito la verifica della concreta applicazione del principio (Cass. sez. trib. n. 14406 del 2017).
7. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, tranne che per il profilo accolto, per il quale solo la sentenza deve essere quindi cassata, con rinvio alla Regionale per i necessari accertamenti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei limitati sensi di cui in motivazione, cassa l’impugnata sentenza, rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che, in altra composizione, dovrà decidere la controversia uniformandosi ai superiori principi, nonché regolare le spese di ogni fase e grado.
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