CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 giugno 2020, n. 11005
Licenziamento disciplinare – Illecita sottrazione di beni aziendali – Proporzionalità della sanzione – Idoneità a ledere il vincolo fiduciario – Modico valore economico del bene sottratto – Mancata offerta da parte del ricorrente di una giustificazione plausibile del fatto accertato
Fatti di causa
Con sentenza del 30 maggio 2018, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione resa dal Tribunale di Cassino e rigettava la domanda proposta da B.S. nei confronti di F.C.A.I. S.p.A. (già F.G.A. S.p.A.) avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato allo S., in relazione al ritrovamento nella sua borsa al termine del turno di due pennelli considerati, per la somiglianza a quelli in uso nell’azienda e presenti in magazzino, di provenienza aziendale.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto provato l’addebito per non aver lo S. dimostrato la proprietà da parte sua dei pennelli né fornito una logica alternativa a quella dell’illecita sottrazione da parte sua dei pennelli al fine di trarne un ingiusto profitto ai danni dell’azienda e per aver, di contro, i testi confermato l’identità con quelli adoperati in azienda, verificata, pertanto, la fattispecie di cui all’art. 32 del CCNL applicabile assoggettata alla sanzione del licenziamento, proporzionata, in ogni caso, la sanzione, rilevando l’idoneità della stessa a ledere il vincolo fiduciario, a prescindere dal modico valore economico dei pennelli, da ritenersi anche tempestivamente irrogata nel rispetto dell’art. 32 del CCNL.
Per la cassazione di tale decisione ricorre lo S., affidando l’impugnazione a cinque motivi, cui resiste, con controricorso, la Società.
Il Banco di Napoli resistente ha poi presentato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, l. n. 300/1970, imputa alla Corte territoriale di non aver tenuto conto della circostanza per la quale la fotografia in base alla quale la prova testimoniale avrebbe consentito l’accertamento della provenienza aziendale dei pennelli la cui sottrazione era imputata al ricorrente non riproduceva i pennelli sottratti, come sarebbe dimostrato dall’assenza nella foto dei codici di identificazione indicati nella stessa lettera di contestazione bensì due dei pennelli in uso nell’azienda, sicché il rilievo attribuito al riconoscimento dei pennelli in foto come quelli rinvenuti nello zaino del ricorrente ed alla dichiarazione del loro essere identici o comunque simili a quelli adoperati in azienda ai fini dell’attribuzione in proprietà all’azienda medesima si risolve nell’ammettere illegittimamente una modifica del fatto contestato per la quale la sottrazione è riferita non più ai pennelli contrassegnati dai codici indicati nella lettera di contestazione ma a due qualsiasi dei pennelli utilizzati in azienda.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, l. n. 604/1966, 2697 e 2119 c.c., il ricorrente imputa alla Corte territoriale il malgoverno delle regole sull’onere della prova per aver ritenuto quell’onere assolto dal datore di lavoro su cui gravava per non aver il ricorrente offerto la prova contraria.
Con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 624 c.p. e 32 del CCNL di categoria, il ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale l’erroneità del convincimento espresso in ordine alla riconducibilità della fattispecie all’ipotesi astratta di cui al CCNL applicabile, data dalla commissione di un furto in azienda, non essendo qualificabile come tale, tenuto conto della figura di reato quale delineata dal codice penale, l’appropriazione di una res nullius.
Nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. è prospettata in relazione all’inidoneità lesiva del vincolo fiduciario della sottrazione di un bene di esiguo valore tanto più che la disponibilità all’ispezione mostrata dal ricorrente una volta scattato il controllo a campione valeva di per sé ad attestarne la buona fede.
Con il quinto motivo il ricorrente deduce il vizio di omessa pronunzia in violazione dell’art. 112 c.p.c. relativamente al mancato pronunciamento della Corte territoriale in ordine ai rilievi mossi dal ricorrente in sede di gravame a contrastare la ricostruzione dell’accaduto operata dal giudice di prime cure ed a ribadire la sussistenza di elementi idonei ad avallare la propria versione dei fati incentrata sulla sua estraneità alla vicenda.
Va innanzitutto rilevata l’infondatezza di quest’ultimo motivo, atteso che il pronunciamento su quanto dal ricorrente eccepito in sede di gravame avverso il decisum del giudice di primo grado deve ritenersi implicito nell’adesione della Corte territoriale all’apprezzamento del fatto operato dal primo giudice che ha ritenuto di disattendere la versione perorata dal ricorrente intesa ad affermare la ricorrenza di elementi di fatto tali da escludere la prova dell’imputabilità a suo carico dell’indebita appropriazione. Piuttosto si tratta di valutare se il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine all’imputabilità al ricorrente del fatto addebitato sia da ritenersi legittime alla stregua delle censure qui sollevate con i primi tre motivi.
E la risposta deve ritenersi positiva.
In effetti, da un lato, è a dirsi come la Corte territoriale abbia derivato il convincimento della proprietà aziendale dei pennelli valendosi della fotografia, che in effetti riproduceva l’immagine di due pennelli generici in uso nell’azienda, non come sostiene il ricorrente nel primo motivo, da ritenersi perciò infondato, per il riconoscimento degli oggetti sottratti ma per stabilire, sulla base della testimonianza dei dipendenti della società incaricata dei controlli a campione che avevano effettuato l’ispezione, se quegli oggetti generici mostrati in foto corrispondevano agli oggetti rinvenuti nello zaino del ricorrente, indagine che deve dirsi aver la Corte correttamente valutato come approdata ad un esito positivo, stante il tenore delle dichiarazioni rese dai predetti testi riportate nello stesso ricorso alla pag. 21.
Dall’altro va rilevato come la ritenuta imputabilità al ricorrente dell’appropriazione degli oggetti, lungi dal derivare, come infondatamente afferma il ricorrente con il secondo motivo, da una illegittima inversione dell’onere della prova, sia conseguenza della mancata offerta da parte del ricorrente di una giustificazione plausibile del fatto accertato, dato dal ritrovamento nel proprio zaino di oggetti dal medesimo dichiarati non di sua proprietà, evenienza che ha quale unica alternativa che quegli oggetti si trovino nello zaino del ricorrente in quanto sia stato il ricorrente stesso ad inserirli.
Ne discende la conseguenza ulteriore per cui, dovendosi logicamente escludere che, come pretenderebbe il ricorrente nel terzo motivo, quegli oggetti possano considerarsi res nullius, è addebitabile al ricorrente la mancanza riconducibile all’ipotesi del furto in azienda che lo stesso contratto collettivo include tra le fattispecie passibili della massima sanzione, di modo che va considerato immune da vizi il giudizio di proporzionalità espresso dalla Corte territoriale fondato sull’idoneità della condotta addebitata a ledere il vincolo fiduciario, inteso come possibilità di affidamento del datore nell’esatto adempimento delle prestazioni future, a fronte della quale alcuna rilevanza può essere attribuita all’esiguo valore dei beni sottratti, viceversa infondatamente sostenuta nel quarto motivo.
Il ricorso va, dunque, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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