CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 novembre 2022, n. 33013
Previdenza – Cittadina bosniaca residente in Italia – Pensione di vecchiaia – Integrazione al minimo in misura pro rata – Ripartizione tra ente del paese di residenza ed ente del paese di non residenza
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado che aveva negato a M.B., cittadina Bosniaca naturalizzata italiana e residente in Italia, il diritto all’integrazione al minimo in misura piena, anziché solo prò rata, della pensione di vecchiaia erogata in regime di prò rata dall’Inps e dall’ente previdenziale bosniaco.
Riteneva la Corte che, ai sensi dell’art.21 della Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Popolare Federale di Jugoslavia in materia di assicurazioni sociali del 14 novembre 1957, ratificata in Italia con l. n. 885/60, l’Inps dovesse erogare non l’intera integrazione al minimo, ma la sola quota proporzionata al periodo assicurativo compiutosi in Italia.
Contro la sentenza, M.B. ricorre per un motivo, illustrato da memoria.
L’Inps resiste con controricorso.
Considerato in diritto
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art.21 della Convenzione tra l’Italia e la Jugoslavia in materia di assicurazioni sociali, ratificata dall’Italia con l. n.885/60. Sostiene la ricorrente che, in base all’art.21, paragrafo 1 della Convenzione suddetta, l’ente del paese di residenza concede l’integrazione al minimo per intero. È solo nei rapporti interni, tra gli enti dei due paesi, che l’onere economico dell’integrazione va ripartito secondo il regime del prò rata. Né potrebbe condurre a diversa conclusione l’art.23 dell’Accordo amministrativo concluso tra gli stessi due paesi il 10.10.58 per l’applicazione della Convenzione.
Il motivo è infondato.
L’art. 21 della Convenzione tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Popolare Federale di Jugoslavia in materia di assicurazioni sociali del 14 novembre 1957 così dispone: “Se, ai sensi dell’art. 18 della presente Convenzione, l’assicurato matura un diritto a prestazioni a carico degli Enti assicuratori di entrambi i Paesi contraenti e se la somma di queste prestazioni non raggiunge la pensione minima del Paese in cui il beneficiario risiede, l’Ente assicuratore di questo Paese concede in aggiunta l’importo necessario per raggiungere la pensione minima.
Tale importo aggiuntivo sarà corrisposto a carico degli Enti assicuratori di ciascuno dei due Paesi contraenti per la parte che corrisponda e al rapporto dei periodi di assicurazione ed equivalenti compiuti al momento della determinazione delle pensioni in ciascuno dei due Paesi con la somma totale dei periodi di assicurazione ed equivalenti compiuti in entrambi i Paesi.”
L’art.29 della Convenzione citata ha poi rinviato al comune accordo delle autorità competenti dei due Stati le disposizioni per l’applicazione della Convenzione stessa.
In attuazione dell’art. 29 è stato concluso l’Accordo amministrativo del 10.10.58 per l’applicazione della Convenzione italo-jugoslava del 14.11.1957.
L’art.22 dell’Accordo amministrativo dispone che: “Nei casi previsti dall’art. 21 della Convenzione, l’Ente assicuratore che deve concedere l’importo necessario per raggiungere la pensione minima, comunica al competente Ente assicuratore dell’altro Stato contraente la parte di detto importo che è posta a carico di questo Ente assicuratore. Questo Ente assicuratore corrisponde detta parte unitamente alla pensione da esso dovuta”.
Il quadro normativo è stato interpretato da questa Corte, in due precedenti conformi (Cass. 12815/93, Cass.4187/99), nel senso per cui: il primo paragrafo dell’art. 21 Convenzione pone l’obbligo di integrazione al minimo in capo al solo ente del paese di residenza del beneficiario, tenuto a corrisponderla per intero e non prò rata, mentre il secondo paragrafo riguarda i rapporti interni tra i due enti, ai fini della suddivisione dell’onere. Ciò sarebbe confermato dall’art. 22 dell’Accordo amministrativo.
Ritiene il collegio di non poter prestare condivisione a tale orientamento.
L’individuazione dell’ente obbligato verso l’assicurato – se il solo ente del paese di residenza, salva rivalsa nei confronti dell’altro, o invece entrambi gli enti, ciascuno prò rata – non appare sicura alla luce del testo dei due paragrafi dell’art.21, considerato che: il primo paragrafo indica l’ente del paese di residenza come quello che “concede” l’integrazione al minimo, mentre il secondo comma parla dei due enti come dei soggetti “a carico” dei quali viene “corrisposto”.
Quale fosse la effettiva volontà degli Stati contraenti risulta chiarito dall’art.22 dell’Accordo amministrativo, il quale – diversamente da quanto opina la ricorrente – è fonte normativa di diritto internazionale (cui rinvia l’art.29 della Convenzione), come tale soggetta al principio jura novit curia, sebbene non ratificato con legge italiana, rientrando nel novero degli accordi conclusi in forma semplificata e destinati ad avere efficacia con la sola sottoscrizione da parte dei plenipotenziari (v. art. 12 Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23.5.1969).
In base all’art.31, paragrafo 3, lett. a) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23.5.1969, nell’interpretazione di un trattato si deve tener conto, tra l’altro, di ogni ulteriore accordo intervenuto tra le parti circa l’attuazione delle disposizioni in esso contenute. Come detto, l’Accordo amministrativo è stato concluso per dare esecuzione alla Convenzione, in forza del suo art. 29.
Ebbene, l’art.22 dell’Accordo amministrativo, dopo aver previsto che l’ente del paese di residenza comunica all’altro ente la parte di prestazione a suo carico, stabilisce che tale ultimo ente corrisponde la sua parte “unitamente alla pensione da esso dovuta”. Da tale disposizione emerge che l’art.21, paragrafo 2 della Convenzione non può essere interpretato come relativo alla sola regolazione economica dell’onere previdenziale nei rapporti interni tra i due enti, ma abbia efficacia esterna e riguardi direttamente il rapporto obbligatorio tra ente previdenziale e soggetto assicurato. In particolare, la prestazione dell’integrazione al minimo nei confronti dell’assicurato è oggetto di un obbligo di entrambi gli enti, compreso il paese di non residenza, tenuto a versare all’assicurato, insieme al trattamento pensionistico dovuto, anche una parte dell’integrazione al minimo.
Non osta a tale interpretazione l’art.8, co.2 l. n. 153/69, secondo cui: “I trattamenti minimi di cui al primo comma sono dovuti anche ai titolari di pensione il cui diritto sia acquisito in virtù del cumulo dei periodi assicurativi e contributivi previsto da accordi o convenzioni internazionali in materia di assicurazione sociale, a condizione che l’assicurato possa far valere nella competente gestione pensionistica una anzianità contributiva in costanza di rapporto di lavoro svolto in Italia non inferiore a dieci anni”. Da un lato, la norma di diritto internazionale pattizio ratificata in Italia prevale sulle fonti di diritto interno (art.117, co.1 Cost.); dall’altro lato, l’art.8, co.2 l. n.153/69 nulla dice sul fatto che, in caso di cumulo dei periodi assicurativi e contributivi previsto da accordi o convenzioni internazionali in materia di assicurazione sociale, l’integrazione al minimo debba essere a totale carico dell’ente previdenziale italiano. Tanto è previsto nel primo comma dell’art.8 l. n.153/69 che però regola il diverso caso del trasferimento della posizione assicurativa (dall’Inps all’istituto nazionale di assicurazione sociale libico), non quello di pensioni che vengono erogate prò rata da enti previdenziali di Stati diversi.
Il ricorso va dunque respinto.
Nulla sulle spese attesa la dichiarazione ex art. 152 d.a. c.p.c. prodotta in giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; dà atto che, atteso il rigetto, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art. 13, co.1 quater, d.P.R. n. 115/02, con conseguente obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
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