CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 ottobre 2019, n. 25346
Rapporto di lavoro – Contratto a termine – Nullità – Accertamento della illegittimità del licenziamento per cessazione dell’attività produttiva
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1168/2016, depositata il 29 novembre 2016, la Corte d’appello di Milano, pronunciando nella causa promossa da J.D.M. per l’accertamento, fra altre domande, della nullità del termine apposto al contratto stipulato con la N. s.a.s. di D.V.S. & C. nonché per l’accertamento della illegittimità del licenziamento intimatogli, in data 7 marzo 2011, per cessazione dell’attività produttiva, ha rigettato il gravame della società avverso le sentenze non definitiva e definitiva del Tribunale della stessa sede, rilevando come il richiamo nella pronuncia di primo grado alla lettera di impugnazione del licenziamento, già oggetto di stralcio in quanto prodotta soltanto con la memoria di replica alla domanda riconvenzionale, dovesse valere quale revoca implicita di tale provvedimento, in base ai poteri conferiti al giudice dall’art. 421 cod. proc. civ. e avuto riguardo alla indispensabilità del documento ai fini della decisione.
2. La Corte riteneva poi inammissibile, per intervenuta decadenza, la produzione in grado di appello del Modello Unico 2012, trattandosi di documento che era nella disponibilità della società già dal maggio 2012 e che, pertanto, la parte avrebbe potuto depositare prima dell’udienza di discussione relativa alla sentenza non definitiva, e comunque irrilevante ai fini della decisione, posto che da esso non era possibile evincere, in maniera univoca, l’avvenuta cessazione dell’attività in mancanza di ulteriore documentazione per gli enti previdenziali e gli altri uffici competenti.
3. La Corte osservava infine come la cessazione dell’attività di impresa avesse trovato smentita nella deposizione del teste D., indicato da entrambe le parti, il quale aveva dichiarato che il locale era stato chiuso solo per alcuni giorni e poi aveva riaperto e di avere appreso da conoscenti che sulla ricevuta fiscale era ancora presente, nell’ottobre 2011, la denominazione della società e la sua partita Iva.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la N. s.a.s. di D.V.S. & C., affidandosi a quattro motivi.
5. Il D.M. è rimasto intimato.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo viene dedotta la nullità della sentenza impugnata ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. per violazione degli artt. 414 e 420 cod. proc. civ., anche in relazione alle regole del giusto processo, avendo la Corte ritenuto legittimamente respinta dal giudice di primo grado l’eccezione di decadenza ai sensi dell’art. 6 I. n. 604/1966, nonostante che la lettera di impugnazione del licenziamento fosse stata oggetto in precedenza di un provvedimento di stralcio in quanto tardivamente prodotta in replica alla riconvenzionale del datore di lavoro.
2. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 421 cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 111 Cost., per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che la previsione normativa di poteri di ufficio abilitasse il giudice di primo grado a revocare implicitamente la propria precedente ordinanza, di conseguenza ammettendo tra gli atti del processo un documento (la lettera di impugnazione del licenziamento) già oggetto di stralcio e senza concedere le facoltà di cui all’art. 420, comma 6, cod. proc. civ. alla parte resistente.
3. Con il terzo viene dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 345, comma 3, e 437, comma 2, cod. proc. civ. per avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile la produzione in grado di appello del Modello Unico 2012, sul rilievo che tale documento era già nella disponibilità della parte dal maggio 2012: rilievo peraltro erroneo, posto che il documento era stato formato nel dicembre successivo e, quindi, in data posteriore all’udienza di discussione, in esito alla quale era stata pronunciata la sentenza non definitiva.
4. Con il quarto viene dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 244 ss. e 257 cod. proc. civ. per avere la Corte attribuito rilevanza decisiva alla deposizione de relato di R.D., pur in assenza dei presupposti per ritenere le affermazioni del teste efficaci ai fini probatori.
5. Il primo e il secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
6. La Corte di merito si è, infatti, uniformata al consolidato orientamento (cfr. già Sez. U n. 8202/2005 e le numerose successive che lo hanno costantemente ribadito), secondo il quale, nel rito del lavoro, l’omessa indicazione di un documento, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, e l’omesso deposito del medesimo contestualmente a tale atto, determina la decadenza del diritto alla produzione (e ciò non solo per il convenuto ma anche per l’attore, in virtù del principio di reciprocità fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 13/1977), salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o, come nella fattispecie, dall’evolversi della vicenda processuale nel tempo successivo al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad es., a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo); fermo restando che tale rigoroso sistema di preclusioni trova un contemperamento – ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale”, cui è funzionale il rito del lavoro, teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento – nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ove indispensabili ai fini della decisione della causa.
7. Nel caso concreto, la necessità di indicare e depositare la lettera di impugnazione del licenziamento è sorta per effetto delle difese della società datrice di lavoro, e, pertanto, a seguito del contraddittorio fra le parti (cfr. ancora sentenza cit.), trovando poi attuazione, come è pacifico, con la memoria di replica alla domanda riconvenzionale della resistente, quale prima difesa o risposta successiva alla proposizione dell’eccezione.
8. Né rileva, sul piano della conformità all’art. 421 cod. proc. civ. dell’esercizio dei poteri officiosi, che l’utilizzo in sede decisionale della lettera di impugnazione del licenziamento, a sostegno dell’accertata sussistenza del fatto impeditivo della decadenza, non fosse stato preceduto dalla concessione di un termine per il deposito di note difensive ex art. 420, comma 6°, cod. proc. civ., non essendo trascritto dalla ricorrente il verbale di udienza 19 aprile 2002, in cui venne assunto dal giudice il provvedimento di stralcio, né comunque dedotto che nei confronti del documento – al di là della questione relativa alla tardività e irritualità della sua produzione – fossero stati proposti anche temi di indagine diversi, attinenti alla sua idoneità ed efficacia probatoria, o formulate riserve di qualsiasi genere in tal senso, tali da rendere necessaria l’instaurazione fra le parti di uno specifico contraddittorio.
9. Il terzo e il quarto motivo, anch’essi da trattare in via congiunta per la loro evidente connessione, non possono egualmente trovare accoglimento.
10. Con essi, invero, la ricorrente propone censure che muovono da una scomposizione del più articolato percorso seguito dalla Corte territoriale con riguardo alle ragioni del licenziamento, peraltro e chiaramente ponendosi come periferiche rispetto al nucleo fondante della decisione, là dove la sentenza ha ritenuto comunque irrilevante il Modello Unico 2012, a fronte del difetto di altra documentazione connotata da maggiore efficacia probatoria, e – sulle stesse basi argomentative – meramente aggiuntiva (e non decisiva) la deposizione del teste (cfr. sentenza, p. 10).
11. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
12. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, il Di Marco essendo rimasto intimato.
P.Q.M.
respinge il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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